Domenica, 24 Novembre 2024
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Recensione dello spettacolo Il Giardino dei ciliegi, in scena al Teatro Argentina dal 25 Febbraio al 8 marzo 2020 – ANNULLATO.

 

Questo articolo esce dopo che le ultime repliche, per le restrizioni imposte dalle esigenze di tutela della salute pubblica, sono state annullate. Abbiamo riflettuto sull’opportunità di pubblicare un articolo di commento, nel momento in cui il mondo del teatro è afflitto da tanta incertezza sul suo futuro. Omaggiare, come riteniamo di fare, uno spettacolo capace di mettere in mostra così efficacemente la potenza evocativa del teatro, ci sembra un augurio, il più sentito, e come tale speriamo sia letto.

 

Dalla stanza dei bambini non si esce mai. Si cade in un lungo sonno chiamato vita. Quando una scure arriva a recidere il giardino dove abbiamo deposto l’anima, è il momento di destarsi per andare avanti. Ma su quel pavimento si continua e si torna a giacere e tutto quello che era il nostro passato rimane sospeso nell’aria, sopra di noi.

Quando la proprietaria terriera Ljubov' (Valentina Sperlì), assieme alla figlia adolescente Anja (Marta Cortellazzo Wiel), la cameriera Carlotta (Chiara Michelini), il lacchè Jaša (Andrea Bartolomeo) ritorna da Parigi nei luoghi dell’infanzia, ad attenderla c’è, intatto, tutto il suo mondo. Il fratello Gaiev (Fabio Monti), la figlia adottiva Varja (Petra Valentini), la governante Duniaša (Arianna Aloi), il vecchio servitore Firs (Bruno Stori). Figure che, sollevate dal sonno della mente, ricominciano la loro fatua danza.

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Recensione dello spettacolo: Un tram che si chiama Desiderio, di Tennesee Williams. Regia di Pier Luigi Pizzi. In scena al Teatro Quirino dal 3 al 15 marzo 2020

 

I discorsi interrotti e i gesti mai agiti seguitano a vivere dentro di noi come un cerchio non chiuso in cerca di conclusione: solo così tali “affari insoluti” potranno avere una degna sepoltura.

Si sarà sentito fin da fuori casa l’odore di alcool, misto a quello delle carte da gioco appesantito di imprecazioni e sudore. Chissà che delusione avrà avvolto Blanche quando, scesa dal tram chiamato Desiderio, si è trovata di fronte all’abitazione di sua sorella minore Stella e del marito polacco Stanley: personaggio burbero, poco propenso a cerimoniali, preda dell’alcool e del gioco. Rimasta vedova del suo giovane marito morto suicida dopo esser stato scoperto da lei omosessuale, Blanche si presenta dopo tempo a casa della sorella con un bagaglio contenente un passato da dimenticare e la ricerca di una risposta credibile al perchè seguitare a vivere. Ma il tempo passato non offusca e non sana le criticità relazionali irrisolte: le stesse riprendono vita ricominciando esattamente da lì, dove sono state momentaneamente riposte.

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Recensione dello spettacolo La famiglia Malocchio, liberamente tratto da Sante Stern dalle novelle di Pirandello. Regia di Sergio Ammirara. In scena al Teatro Anfitrione dal 13 febbraio al 1 marzo 2020

 

Forse non sappiamo più quale sia la nostra vera identità, smarrita in qualche palcoscenico della vita dove ci troviamo costretti a recitare più ruoli divenendo tante maschere all’interno di un unico “giuoco”: quello delle parti. In tale ribalta, si recitano tanti ruoli quanti sono gli sguardi che li contemplano, ognuno con il diritto di vedere secondo la propria verità mai univoca, ma terribilmente soggettiva. Guai a pensarci diversi da come la collettività ci vuole, guai ad imporre la nostra verità. È necessario per sopravvivere recitare fino in fondo quel ruolo per i quali siamo stati scritturati da altrui regìe, decidendo però noi la trama e soprattutto il finale della stessa.

Grande ed indistricabile risulta il conflitto interiore del giudice Igino D’Andrea nel voler tutelare un pover’ uomo condannato dal destino e dai suoi simili. Rosario Chiarchiaro è additato ingiustamente dalla comunità come “iellatore” poichè vittima di coincidenze che lo hanno visto sempre presente in occasione di tragedie e strani avvenimenti: tale reputazione è costata lui anche il posto di lavoro. Esasperato dalla situazione che ha il suo apice negli odiosi atteggiamenti scaramantici della gente al suo passaggio, egli denuncia due giovani, paradigmi di un’intera comunità che sarebbe dovuta essere denunciata in toto.

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Recensione dello spettacolo Spettri (un dramma familiare), in scena al Teatro Palladium dal 20 al 23 febbraio 2020

 

Casa Alving è popolata di spettri. Non gli eredi di un remoto passato, ma i suoi stessi abitanti. Perché ognuno può diventare lo spettro che aleggia nella vita del prossimo. La realtà del nostro essere non può essere esplicita, la necessità dell'ordine sociale lo impedisce. Ma essa permane, come una presenza fantasmatica appunto, inafferrabile, incontrollabile, ma inevitabilmente incombente.

Quando in una piccola cittadina norvegese ci si appresta a celebrare la inclita memoria dell'Onorevole Alving, con l'inaugurazione di un asilo intitolato al suo nome, in modo repentino si scopre la verità su di lui e le tremende conseguenze che il suo operato ha avuto sulla sua famiglia. La scintilla che appicca l'incendio (che poi si materializzerà realmente) è il ritorno da Parigi di Osvald (Igor Mattei), il figlio che ha deciso di sfuggire all'Ordine imposto, seguendo l'estro di artista. Il severo giudizio del pastore Sanders (Giorgio Crisafi), che quell'Ordine impersona, e le accuse da lui rivolte alla madre Helene (Micaela Esdra) danno la stura a una tempesta di rivelazioni, che travolgerà tutti, compresa la giovane cameriera Regine (Dalila Reas), vittima finale.

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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