Domenica, 23 Marzo 2025
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La teoria della mente, argomento di numerosi studi e sperimentazioni, è sostanzialmente la capacità di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri, ma soprattutto il riconoscere che persone diverse possono avere stati mentali diversi, intesi come idee, intenzioni, desideri, comprensione della realtà, fino ad arrivare a reazioni, emozioni e sentimenti. In alcune patologie come il Disturbo dello Spettro Autistico o la schizofrenia, questa abilità è deficitaria anche se può essere continuamente stimolata. È evidente quanto essa sia fondamentale in ogni interazione sociale e soprattutto nello sviluppo dell’empatia, la quale affonda sempre le sue radici nella comprensione dell’altro, soprattutto laddove mostri pensieri, reazioni o emozioni differenti dalle proprie.

Molteplici approfondimenti a opera di eminenti psicologi e neuroscienziati ci mostrano quanto la teoria della mente si sviluppi durante la primissima infanzia, grazie a un’armoniosa relazione con le figure di riferimento, fatta (tra le altre cose) di giochi condivisi, di imitazione, di narrazione e gioco simbolico. È però possibile continuare nel tempo a stimolarla e svilupparla affinché il comportamento sociale del bambino, dell’adolescente e dell’adulto siano sempre più funzionali alla costruzione di serene relazioni con le persone e con l’ambiente circostante. 

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Numerosi attori, registi e drammaturghi (nonché insegnanti, educatori, psicologi e varie altre figure professionali) di diverse epoche storiche hanno sottolineato l’importanza del laboratorio teatrale all’interno degli istituti scolastici affinché fosse alla portata delle giovani generazioni. Dal migliorare l’apprendimento di materie quali letteratura, storia, scienze o filosofia, al potenziare le abilità dialogiche, il public speaking e la corretta dizione; dall’ampliare il lessico e la pragmatica, all’allungare i tempi di attenzione e il bagaglio mnemonico, possiamo davvero dirci tutti d’accordo nell’affermare che l’arte scenica sia uno strumento sopraffino per lavorare su tutto questo e tanto altro ancora.

Negli ultimi anni inoltre, dati spiacevolissimi fatti di cronaca, si è spesso affrontato l’argomento della mancanza di empatia presente (a volte) nell’adolescenza. Di conseguenza, nel riflettere sul ben doloroso fenomeno, eminenti psicologi, educatori, medici e terapisti si sono trovati ulteriormente d’accordo nell’affermare che nulla quanto il teatro stimoli l’attore o attrice a “mettersi nei panni dell’altro” dovendo giocoforza interpretare personaggi sempre differenti dalla propria realtà. 

Eppure, le immense possibilità del Teatro Ragazzi non si fermano qui.

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Lo spettacolo Feste prodotto dalla compagnia tedesca Familie Flöz, in scena proprio in questi giorni alla Sala Umberto di Roma, mostra in maniera inequivocabile l’assoluta capacità comunicativa di postura, azioni sceniche e soprattutto gesti, in una performance di oltre 90 minuti nella totale assenza di linguaggio verbale, come illustrato dalla recensione di Demian Aprea proprio per la nostra rivista (clicca qui per leggerla).

Sono numerosi gli studi sull’importanza del gesto da innumerevoli punti di vista. Se dovessimo darne una definizione, il gesto sarebbe un movimento delle braccia e delle mani che può far parte di un atto comunicativo intenzionale ma che non ha una conseguenza diretta sul mondo reale. I gesti facilitano la comprensione dell’atto comunicativo, hanno un ruolo fondamentale nella pianificazione e l’organizzazione del discorso, il problem solving e il ragionamento (l’essere umano infatti gesticola anche quando studia, riflette o parla al telefono ovvero quando non è alla presenza fisica di un ascoltatore). Vari approfondimenti e sperimentazioni dimostrano quanto i gesti possano modificare e influenzare positivamente i processi cognitivi, non ultima la memoria e alleggeriscono il carico di lavoro della working-memory. In ultimo, ma non meno importante, i recenti studi di neuroimaging mostrano che i gesti e il linguaggio siano controllati dallo stesso sistema neurale tanto che si ipotizza che il linguaggio verbale si sia evoluto proprio a partire da gesti delle braccia e delle mani (fonte: Ianì, Formichella, Università di Torino, 2018).

Tutti questi recenti studi offrono basi neuroscientifiche sull’importanza del gesto ovviamente se prodotto in maniera congruente e corretta. Ancora una volta la scienza, parafrasando Peter Brook, sperimenta e illustra quel che il teatro ha sempre saputo. Di certo anche stavolta l’eminente regista da poco scomparso (ricordiamo il suo commento all’indomani della scoperta dei neuroni specchio) direbbe che qualsiasi attore in qualsivoglia epoca o parte del globo sa bene quanto la correttezza gestuale sia parte integrante e imprescindibile della recitazione, della creazione del personaggio, della riuscita della performance. E citando Eduardo, un altro colosso del teatro novecentesco, ricordiamo quanto diceva ad Anna Magnani affetta da un brutto raffreddore che l’aveva resa quasi afona: “Nannare’, di che ti preoccupi? Tu non reciti con la voce. Tu reciti con le mani”.

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Avverto sempre più quanto ormai viviamo in una società che esprime chiari sintomi del Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività, chiamato comunemente ADHD. Quanti adulti sostengono una conversazione guardando in continuazione lo smartphone; oppure distraendosi e smettendo di ascoltare l’interlocutore a ogni minima afferenza esterna che giunga ai loro sensi. Quante conversazioni in cui si salta da un tema all’altro senza approfondirne nessuno, senza ascoltarsi veramente, nelle quali si delinea evidente solo l’estremo bisogno di parlare, parlare e ancora parlare, giammai comunicare. E quante volte il parlatore seriale non decodifica affatto le informazioni non verbali del malcapitato di turno, che dopo svariati minuti di questa insalata di parole vorrebbe giustamente riuscire a sganciarsi e andarsene per la propria strada.

Non sono nuove le scoperte di eminenti neuroscienziati sulla neuroplasticità del nostro cervello, che continua a modificarsi anche in età adulta. Pertanto, non è difficile intuire quanto lo smodato uso dei dispositivi elettronici, traboccanti di stimoli visivi e uditivi che bombardano l’attenzione di tutti noi, abbia in qualche modo modificato i tempi attentivi, il comportamento verbale, le modalità di entrare in relazione. E tanto altro ancora.

Non a caso troviamo tra le mura dei nostri istituti scolastici un numero sempre più alto di bambini e ragazzi che esprimono tale disagio attentivo e incapacità motoria a fermare o quantomeno ridurre il perenne movimento, del quale spesso non hanno neppure consapevolezza.

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Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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