Sabato, 18 Gennaio 2025
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Lo spettacolo Feste prodotto dalla compagnia tedesca Familie Flöz, in scena proprio in questi giorni alla Sala Umberto di Roma, mostra in maniera inequivocabile l’assoluta capacità comunicativa di postura, azioni sceniche e soprattutto gesti, in una performance di oltre 90 minuti nella totale assenza di linguaggio verbale, come illustrato dalla recensione di Demian Aprea proprio per la nostra rivista (clicca qui per leggerla).

Sono numerosi gli studi sull’importanza del gesto da innumerevoli punti di vista. Se dovessimo darne una definizione, il gesto sarebbe un movimento delle braccia e delle mani che può far parte di un atto comunicativo intenzionale ma che non ha una conseguenza diretta sul mondo reale. I gesti facilitano la comprensione dell’atto comunicativo, hanno un ruolo fondamentale nella pianificazione e l’organizzazione del discorso, il problem solving e il ragionamento (l’essere umano infatti gesticola anche quando studia, riflette o parla al telefono ovvero quando non è alla presenza fisica di un ascoltatore). Vari approfondimenti e sperimentazioni dimostrano quanto i gesti possano modificare e influenzare positivamente i processi cognitivi, non ultima la memoria e alleggeriscono il carico di lavoro della working-memory. In ultimo, ma non meno importante, i recenti studi di neuroimaging mostrano che i gesti e il linguaggio siano controllati dallo stesso sistema neurale tanto che si ipotizza che il linguaggio verbale si sia evoluto proprio a partire da gesti delle braccia e delle mani (fonte: Ianì, Formichella, Università di Torino, 2018).

Tutti questi recenti studi offrono basi neuroscientifiche sull’importanza del gesto ovviamente se prodotto in maniera congruente e corretta. Ancora una volta la scienza, parafrasando Peter Brook, sperimenta e illustra quel che il teatro ha sempre saputo. Di certo anche stavolta l’eminente regista da poco scomparso (ricordiamo il suo commento all’indomani della scoperta dei neuroni specchio) direbbe che qualsiasi attore in qualsivoglia epoca o parte del globo sa bene quanto la correttezza gestuale sia parte integrante e imprescindibile della recitazione, della creazione del personaggio, della riuscita della performance. E citando Eduardo, un altro colosso del teatro novecentesco, ricordiamo quanto diceva ad Anna Magnani affetta da un brutto raffreddore che l’aveva resa quasi afona: “Nannare’, di che ti preoccupi? Tu non reciti con la voce. Tu reciti con le mani”.

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Avverto sempre più quanto ormai viviamo in una società che esprime chiari sintomi del Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività, chiamato comunemente ADHD. Quanti adulti sostengono una conversazione guardando in continuazione lo smartphone; oppure distraendosi e smettendo di ascoltare l’interlocutore a ogni minima afferenza esterna che giunga ai loro sensi. Quante conversazioni in cui si salta da un tema all’altro senza approfondirne nessuno, senza ascoltarsi veramente, nelle quali si delinea evidente solo l’estremo bisogno di parlare, parlare e ancora parlare, giammai comunicare. E quante volte il parlatore seriale non decodifica affatto le informazioni non verbali del malcapitato di turno, che dopo svariati minuti di questa insalata di parole vorrebbe giustamente riuscire a sganciarsi e andarsene per la propria strada.

Non sono nuove le scoperte di eminenti neuroscienziati sulla neuroplasticità del nostro cervello, che continua a modificarsi anche in età adulta. Pertanto, non è difficile intuire quanto lo smodato uso dei dispositivi elettronici, traboccanti di stimoli visivi e uditivi che bombardano l’attenzione di tutti noi, abbia in qualche modo modificato i tempi attentivi, il comportamento verbale, le modalità di entrare in relazione. E tanto altro ancora.

Non a caso troviamo tra le mura dei nostri istituti scolastici un numero sempre più alto di bambini e ragazzi che esprimono tale disagio attentivo e incapacità motoria a fermare o quantomeno ridurre il perenne movimento, del quale spesso non hanno neppure consapevolezza.

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Sia sulle pagine della nostra autorevole rivista che in ambiti differenti, mi sono spesso ritrovata a riflettere su quanto il Teatro Ragazzi, la Teatroterapia e altrettanto la Logoteatroterapia possano avere un impatto fortemente positivo nei confronti dell’età evolutiva e delle fragilità che essa esprime. Dalla frenesia dei tempi moderni nei quali viviamo all’eccessiva esposizione delle giovani generazioni a beni di consumo quali smartphone e tablet; da modalità educative disfunzionali o quantomeno discutibili alla reclusione dovuta alla scorsa pandemia (e molto altro ancora), molteplici sono le cause di vari disturbi comportamentali che negli ultimi anni tengono in scacco una significativa porzione delle giovani generazioni.

Con il termine “Disturbi del Comportamento” ci si riferisce a quella condizione nella quale bambini e adolescenti mostrano comportamenti aggressivi, difficoltà a regolare le proprie emozioni, scarsa empatia e quasi nullo rispetto nei confronti delle regole fornite dagli adulti. All’interno di questo ampio spettro si colloca il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) che si esprime con comportamenti collerici, aggressivi, polemici e sfidanti. Le sue manifestazioni appaiono in diversi contesti e l’individuo che ne è soggetto è sempre preda di un umore irritabile e denso di emozioni negative (fonte: Muratori, Papini – Erickson 2023).

Damiano, 13 anni. Lorenzo, 12 anni. Elettra, 11 anni. Andrea, 9 anni. Pietro, 6 anni. Mariastella, 5 anni (tutti nomi di fantasia). In differenti luoghi e contesti ho incontrato questi bambini e ragazzi. Di diverse età, differenti percorsi scolastici, diverse famiglie e luoghi di provenienza. Ma avevano tutti un tratto comune: comportamenti oppositivi con i quali relazionarsi con gli adulti, il gruppo dei pari e l’ambiente. Ciascuno di loro esprimeva il disagio in un modo proprio. Lorenzo mostrava rabbia verso tutto e tutti; Damiano tendeva a ritrarsi come un paguro nella conchiglia; Elettra pronunciava in continuazione frasi svalutanti il lavoro e il gruppo dei pari; Pietro dava le spalle o stava tutto il tempo a braccia conserte e gli occhi fissi sul pavimento; Mariastella si rifiutava di dire persino “ciao” a chi la salutava con un sorriso. E così via.

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Dopo :il ‘ Caruso’  e quello “Una vita per la musica” il vocal coach riceve il premio ‘Thomas Schippers’

Qualche mese fa, proprio per questa pagina,  avevamo a lungo intervistato il Maestro Massimo Iannone, un vocal coach conosciuto in Italia, ma popolarissimo all’estero.

Con piacere abbiamo appreso che il 30 settembre verrà insignito del premio  “Thomas Schippers”, all’interno del Menotti Art Festival. Quasi una ulteriore conferma  del valore di questo musicista preparato ed appassionato.

Schippers, americano, è stato una figura importantissima per la musica del Novecento. Ma soprattutto uno dei pilastri su cui poggiò le basi il festival di Spoleto.

Bambino talentuosissimo, tanto da prendere la licenza liceale a soli 14 anni, si distinse da subito  come pianista .Frequentò la mitica Juilliard School of Music a New York e l’Università di Yale, dove studiò composizione con Paul Hindemith.

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Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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