Giovedì, 21 Novembre 2024
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Recensione del film “Il mistero scorre sul fiume” di Wei Shujun

 

Tratto dal romanzo “Mistakes by the river” dello scrittore Yu Hua, considerato uno dei più importanti autori cinesi del nostro tempo, il film del regista Wei Shujun racconta una serie di omicidi che avvengono nella Cina degli anni ’90, un Paese che ancora non è diventato il più tecnologicamente avanzato del pianeta.

A indagare su queste morti misteriose è il detective della polizia Ma Zhe, interpretato dall’attore Zhu Yilong, che incontra non poche difficoltà. Né le diverse testimonianze raccolte, né gli indizi trovati sulla scena del crimine o i principali sospettati lo aiutano a districare la matassa. Così si ritrova, suo malgrado, a doversi addentrare sempre più a fondo negli strani comportamenti dei sospettati a rischio della propria sanità mentale restando sempre più coinvolto nell’oscurità delle loro anime.

Colpisce fin da subito la volontà del regista di raccontare in modo più intimo la storia. Attingendo alla concezione più classica e tradizionale del noir, in cui non sono le indagini in sé a rappresentare il fulcro della narrazione ma più le pressioni psicologiche e le tensioni generate dal caso, Shujun dimostra di saper rielaborare e far proprie anche storie non ideate direttamente da lui. Prevalgono anche qui, infatti, la componente riflessiva, apatica e le ambientazioni dai colori forti che già caratterizzano le sue opere.

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Recensione del film Shadow of Fire di Shinya Tsukamoto

 

Presentato nella sezione Orizzonti della Biennale di Venezia 2023, Shadow of Fire è una pellicola cruda, dura e senza filtri su quella che è stata la realtà della Seconda Guerra Mondiale in Giappone, sia dal punto di vista dei soldati sopravvissuti che della popolazione ridotta alla fame e al vagabondaggio.

In una piccola locanda nipponica ormai ridotta all’osso a causa degli incendi e della devastazione, una donna si prostituisce per guadagnarsi da vivere quanto basta per andare avanti senza stentare troppo. Una sera un orfano di guerra entra furtivamente nella locanda in cerca di cibo e un soldato le si presenta come cliente: si forma così una strana convivenza a tre in cui ognuno spera di trovare una parvenza di pace nell’altro, ma l’idillio non durerà a lungo.

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Lo scorso giovedì 29 febbraio, all’età di 92 anni, si è spento Paolo Taviani, film importante per il Cinema Italiano, sia dal punto di vista di regia sia per quanto concerne la sceneggiatura. Insieme al fratello Vittorio – precedentemente scomparso nel 2018 – hanno girato film, dalle storie pittate dal ricordo e, spesso, dall’esaltazione della provincia, nonché dall’esplodere dell’animo umano nella sua natura più morbosa, scabrosa e pura. Capolavoro indiscusso della loro produzione fu La notte di San Lorenzo del 1982.

Nell’estate del ’44, il paese di San Martino, occupato dalle truppe naziste, è in attesa dell’arrivo degli alleati. Gli invasori, sempre più nell’ansia di quello che sta per accadere, ordinano alla popolazione di riunirsi nel duomo. Per paura di una rappresaglia, nel cuore della notte, un gruppo di contadini, con tanto di donne e bambini – capeggiati da Galvano (Antonutti) – decide di scappare verso la campagna e di andare incontro agli americani. Il mattino dopo un’esplosione dal paese fa capire che l’intuizione era giusta. Uniti ai partigiani, i protagonisti vivranno momenti di dolcezza e serenità, ma anche di forti paure, macabri avvenimenti e cruente violenze da parte dei fascisti e dei nazisti, dove l’attesa dell’arrivo delle “truppe liberatrici” sembra eterna e mietere sempre più vittime.

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La settimana che è terminata è stata, oltre che per “martedì grasso”, con i suoi dolci, le sue maschere e i suoi coriandoli, anche per la festa di San Valentino, ovvero la festa degli innamorati. Tanto criticata e odiata, quanto ancora apprezzata e festeggiata, oltre che essere una scusa per le coppie di volersi, uscire e confrontarsi, è anche utile per vedere film romantici. A mio avviso, non credo che esista un film più romantico – dalla sceneggiatura originale - di Pretty woman del 1990, diretto da Gerry Marshall.

Edward Lewis (Gere) è un miliardario e si trova a Los Angeles per concludere un affare. Cercando la strada per il suo albergo, chiede informazioni a Vivian (Roberts), una giovane prostituta, la quale si propone di accompagnarlo personalmente in cambio di una piccola somma di denaro: una cosa poco importante per Edward e vitale per lei. L’uomo accetta e la ragazza lo accompagna, aumentando sempre più la cifra, fino in camera e arrivando a passare la notte con lui. La personalità della giovane colpisce Edward: è fuori dagli stereotipi di quel genere di donna. Decide quindi di stringere un patto con lei: rimanere con lui per un’intera settimana, in cambio di 3000 dollari. Dovrà essere una sua “dipendente” (non quindi una schiava) e poi ognuno tornerà per la sua strada. Vivian è al settimo cielo, anche perché con quei soldi non solo potrà pagare l’affitto arretrato per lei e la sua collega-maestra-coinquilina Kit (San Giacomo); ma potrà anche lasciarsi qualcosa da parte. Un affare! Una settimana, però, è abbastanza per far sì che nasca qualcosa. Anche Edward ha qualcosa che colpisce Vivian: malgrado il loro rapporto, lui non la tratta come una prostituta ma…come una donna. La porta con sé agli eventi d’affari, presentandola come amica; le compra vestiti e la difende dai mal-pensanti superficiali. La loro unione si trasformerà da mera sessuale a una più profonda. Sette giorni però passano anche in fretta: cosa accadrà quando Edward andrà via?

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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