Recensione del romanzo Hard Rain Falling di Don Carpenter edito da Edizioni Clichy.
“La noia di quell’esistenza, la monotonia, il rumore costante e l’odore della prigione lo stavano facendo ammattire.”
Ripubblicato recentemente, dopo anni di oblio in USA, e inedito in Italia fino a un mese fa, Hard Rain Falling è stato più volte aggettivato (ma anche liquidato) dalla Critica Americana come romanzo poliziesco. Insomma rilegato più strettamente alla letteratura di consumo di massa che a quella con la L maiuscola. Non che la cosa interessasse all’Autore, però…
Un’opera prima fuori dai canoni, ieri come ancora oggi, nella quale convivono, senza ombra di dubbio, due nature biunivoche: Dostoevskiana e Beat. Entrambe riconducibili a un Realismo di matrice Popolare (più che Populista) spesso e volentieri di una crudezza disarmante. Talmente disincantato che se, nel 1966, fosse stato ancora vivo e attivo il Senatore Joseph McCarthy lo avrebbe sicuramente tacciato di Comunismo.
Inserire superficialmente questo romanzo nel genere Hard Boiled per il semplice fatto che i protagonisti non fanno altro che entrare e uscire da orfanotrofi, riformatori, istituti penitenziari (per scontare pene più o meno gravi) e bische ha ben poco senso, è il modus operandi di chi elogia(va) ad occhi chiusi Norman Mailer ma non si accorge(va) di avere tra le mani un romanzo esplosivo.
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