Domenica, 24 Novembre 2024
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Recensione dello spettacolo Luci (e ombre) della ribalta, di Jean-Paul Alègre. Regia di Leonardo Buttaroni. In scena al Teatro dè Servi dal 22 ottobre all’8 novembre 2020

 

In un presente dove la sopravvivenza della specie umana è in discussione e si assiste alla quasi definitiva estinzione delle arti, vitale è astrarsi e guardare ciò che ne è stato di noi da una prospettiva temporale “altra”. 

Alcuni improbabili scienziati provenienti da un futuro remoto, in un viaggio a ritroso nel tempo approdano sulla Terra nell’ottobre 2020, data che decretò la fine del teatro, per studiare le caratteristiche di quei “sapiens” che su un palco parlavano e recitavano davanti ad altri “sapiens” che ascoltavano. Quasi con taglio cinematografico, prendono così forma cinque episodi tematici narranti ciascuno un determinato aspetto dell’imperfezione umana applicata al mondo dello spettacolo. Sfileranno quindi attori eccessivamente schiavi del loro personaggio da assumerne l’identità, presentatori televisivi dai sentimenti anestetizzati che, inebriati dal facile sensazionalismo, smarrirscono il contatto con la realtà, registi teatrali frettolosi e nevrotici alle prese con attori di dubbio talento. L’incomunicabilità, declinata fino al surreale, appare essere lo sfondo costante che abbraccia ed accomuna, sotto un unico significante, i nuclei tematici dei singoli episodi.

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Recensione dello spettacolo Diamoci del tu, di Norm Foster. Con Pietro Longhi e Gaia De Laurentiis. Regia di Enrico Maria Lamanna. In scena al Teatro Roma dal 20 ottobre al 1 novembre 2020

 

Succede che la solitudine diviene scelta ed abitudine e a volte rimane la sola a fare compagnia. Ma anche nella più estrema indifferenza verso il mondo, implacabile ed inaspettato sarà “quel” momento che come una voce interiore griderà il bisogno di contatto, tanto vibrante e tormentato quanto piatta e asettica la nostra noncuranza fino ad allora. Ciò che era abitudine e tranquillità diviene paura ed urgenza. Nelle emergenze, infatti, non si cerca mai una persona bensì la persona: quella a cui affidare per la prima volta le nostre emozioni e custodire le sue. 

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Recensione dello spettacolo “Glory Wall” in scena al teatro Vascello dal 13 al 18 ottobre 2020

 

In principio era La Parola: Censura. Questa è la genesi dello spettacolo di Leonardo Manzan (autore e regista) e Rocco Placidi. Cos’è la censura? Come può uno spettacolo sulla censura non essere censurato? E soprattutto: perché qualcuno dovrebbe censurarlo? Karl Kraus disse: “La libertà di pensiero c’è, il problema è che manca il pensiero”. Manzan traspone questo aforisma in una verità più provocatoria: “Se nessuno ci censura è perché nessuno si interessa del teatro”. Un cortocircuito che costringe il regista ad unica scelta: autocensurarsi. 

Appena lo spettatore entra in sala deve confrontarsi con una prima provocazione: un muro divide palco e platea. La parete, però, presenta dei fori, i cosiddetti Glory Hole (con l'espressione glory hole si intende un buco praticato in una parete attraverso il quale è possibile svolgere attività sessuali, mantenendo tuttavia l’anonimato). Da questi escono braccia, parti del corpo e oggetti che animano lo spettacolo. In “Glory Wall” Manzan capovolge le convenzioni teatrali: alla platea viene chiesto di agire, di rompere le regole. La rappresentazione non procede finchè qualcuno nel pubblico non accende una sigaretta che spunta dal muro, o finchè non vengono lette battute proiettate sulla parete. Così lo spettatore diventa attore, la platea diventa parte della messa in scena e la censura incontra un altro cortocircuito: non può agire sul pubblico stesso. Nello spettacolo tutti si ribalta: il muro non nasconde gli attori al pubblico, ma nasconde il pubblico (che diventa attore) agli attori, che diventano spettatori.

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Recensione dello spettacolo: Maurizio IV un Pirandello pulp, di Edoardo Erba. Con Gianluca Guidi e Giampiero Ingrassia. Regia di Gianluca Guidi. In scena al Teatro Sala Umberto dal 9 al 25 ottobre 2020

 

Il gioco delle parti ci impone una maschera che, distogliendoci dalla nostra identità, ci plasma sull’aspettativa altrui. Arduo diventa, quindi, riconoscere la nostra anima dietro un velo sociale con cui l’abbiamo coperta e nascosta. Ma sorprendentemente a volte è ancora possibile contattare la nostra essenza dismettendo o invertendo i ruoli a quei personaggi che la vita ci ha assegnato. Tuttavia, quando per vendetta si smette di giocare per tacitare un passato che non vuol passare, brusco sarà il passaggio che dalla perfezione della maschera conduce alla drammatica imperfezione dell’essere umano.  

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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