Recensione del monologo GOD'S NEW FROCK di Jo Clifford, diretto e interpretato da Massimo Di Michele, in scena il 2 e 3 novembre 2021 al Teatro Belli di Roma all’interno del Festival Trend - nuove frontiere dalla scena Britannica.
Nell'accogliete ed intima sala del teatro trasteverino Belli, uno dei più antichi teatri di Roma, ieri sera è andato in scena God's new frock, "La nuova tonaca di Dio", un monologo di Jo Clifford, diretto ed interpretato da uno straordinario Massimo Di Michele.
L'opera, proposta nell'ambito della XX edizione della rassegna Trend a cura di Rodolfo Di Gianmarco, ha avuto in sala un notevole consenso di pubblico.
Trend è una rassegna teatrale diventata ormai un appuntamento fisso ed attesissimo nella capitale; tante ed interessanti le proposte in programma, tutte scelte nel vasto panorama drammaturgico britannico. Trend non ha abbandonato il suo affezionato pubblico neanche in periodo di lockdown, "resistendo" a distanza, in versione streaming, per tornare in questi giorni nuovamente in presenza e portare sul palco tematiche attuali e discusse.
Ecco che, in una piacevole serata autunnale, sul palco della sala di un teatro, che in realtà in passato era un edificio religioso, la chiesa del Monastero di Sant'Apollonia, viene raccontata una storia dolorosa, che intrecciando a sua volta sacro e profano, si trasforma in un percorso di consapevolezza individuale e accettazione di se stessi, faticoso, struggente ma "liberatorio".
L'interprete, Massimo Di Michele, artista intensissimo e completo, porta in scena il dramma di un bambino, di un adolescente, di un giovane uomo, che ripercorre, in un continuo flusso di coscienza, i momenti più dolorosi dell' infanzia e dell'adolescenza, come l'ora di catechismo o la recita degli scout... "spazi educativi" pensati per insegnare ai bambini ad essere uomini e alle bambine ad essere donne, secondo una consuetudine che non prende in considerazione tutti, producendo sofferenza in "chi si sente nel mezzo".
Se un ragazzo sogna di avere nell'armadio un vestitino giallo...che male c'è? Da dove hanno inizio le rigide regole che "incastrano" gli esseri viventi in un genere piuttosto che in un altro e che inducono un individuo a sentirsi "un abominio"? La chiesa e la società classificano gli uomini e conferiscono etichette...forse è l'interpretazione errata dell'origine del creato, "una storia antica, anzi vecchia", che ci insegna a temere il giudizio di Dio. Appena nasciamo siamo tutti "esseri straordinari"... è nel momento in cui diventiamo "umanità" che veniamo trattati in modo disumano.
Sul volto dell'attore, grazie ad un trucco marcato ed efficace, si legge chiaramente, attraverso la mimica facciale, un dramma interiore ed interiorizzato, percepibile esplicitamente anche attraverso l'ascolto. L'insofferenza del tono della voce, difatti, ora ironico, beffardo, ora arrabbiato, poi rassegnato, infine sicuro e consapevole scandiscono i tempi del monologo, che sono anche le fasi del lungo e complesso percorso di consapevolezza di genere del protagonista. Tutto il corpo si muove nervosamente, si contrae, si allunga, esprime un disagio interiore che viene come "somatizzato". Il dramma è raccontato e trascinato dall'artista in ogni angolo del palco, a sinistra poi a destra, poi di nuovo a sinistra, in piedi su una panca come un bambino capriccioso che chiede di essere ascoltato, poi seduto sulla stessa panca a ragionare con la sua stessa ombra, ancora accovacciato, con le gambe incrociate, al centro del palco, in cerca di comprensione e conforto da parte di un pubblico caldo e partecipe. Una carrellata di esperienze di vita vissuta, raccontate a volte in maniera autoironica, a volte dolorosa, di riflessioni amare espresse con rabbia e impotenza contro una società che non vuole ascoltare. Frammenti di vita interpretati sul palco sotto un gioco sapiente di luci e ombre, la cui alternanza conferisce ritmo al monologo. Un dramma ballato, espresso meravigliosamente anche a passo di danza... un dramma nascosto sotto un vestito a giacca elegante... e pian piano svelato sul palco. Ed ecco che tolta la giacca, poi la camicia, le scarpe, i calzini, i pantaloni anche il dolore si alleggerisce e, a mano a mano, nel corso del monologo, anche la sofferenza appare più sopportabile al protagonista che la condivide. Spogliandosi, il protagonista mette simbolicamente a nudo anche le proprie sofferenze, le condivide con un pubblico finalmente "non giudicante", le conserva in una grande scatola gialla, dalla quale alla fine del monologo tira fuori un paio di zeppe ed un meraviglioso abito da sera, lungo, luccicante di paillettes e con lo spacco, un abito che solo ora che si è nudi si può finalmente indossare per essere se stessi.
Bello, catartico e trendy il finale dedicato alla Carrà! Il monologo lascia spazio alla musica e alle emozioni; l'attore si muove a passo di danza sulle note della celebre canzone "Io non vivo senza te" e sullo sfondo un'immagine della grande artista.
Cristina Fasolino
4 novembre 2021