La lunga intervista a Nicolò Ceriani, vicepresidente di Assolirica, continua con la seconda parte.
Il baritono, che si è esibito con successo nei principali teatri e che vanta un repertorio vastissimo e che continua con successo una carriera prestigiosa, affronta, con lo stile diretto e la trasparenza che gli appartengono da sempre, diverse questioni: il rapporto che si viene a creare fra agente e cantante; confronta la situazione odierna con quella del recente passato, smantellando alcuni luoghi comuni ricorrenti ; parla di fondazioni e teatri d tradizione ed interviene nel dibattito sulla presenza di tante voci straniere nella programmazione teatrale italiana.
Buongiorno Maestro.
Riprendiamo, con grande piacere per quel che mi riguarda, la nostra chiacchierata sulla situazione attuale del mondo dell’opera in Italia.
Prima di iniziare, però, mi permetta di sottolineare il grande apprezzamento ottenuto dalla precedente puntata, per il suo modo di essere franco e diretto, per non aver edulcorato nessuna risposta e per non aver evitato nessuna questione.
Credo che solo la verità, buona o brutta che sia, possa far uscire il teatro da quelle ombre e quel clima di diffidenza che certamente non lo rendono né popolare, né trasparente.
Quanta è la libertà di scelta di un cantante? Può cantare quello che si sente di cantare o le agenzie pongono dei vincoli precisi?
Dipende innanzitutto dalla fama e dunque dal potere contrattuale del cantante: più un cantante è celebre più ha la possibilità di scegliere soprattutto cosa NON cantare, quando invece sovente all’inizio della carriera si è più propensi ad accettare qualsiasi tipo di scrittura su repertori indiscriminati pur di lavorare e di far girare in qualche modo il proprio nome.
Ovviamente non per tutti è così, in quanto esistono casi (non proprio frequentissimi a dire il vero) di cantanti che fin da subito stabiliscono che, oltre un certo limite o un certo repertorio, non vorranno mai inoltrarsi (a meno di verificare poi, nel corso degli anni, che grazie all’evoluzione naturale della loro voce, oltre che all’esperienza e al consolidamento della tecnica, ciò che a priori sembrava difficile da affrontare, poi si sarebbe potuto eseguire, perché ciò che all’inizio della carriera poteva sembrare un repertorio lontano dalla naturale predisposizione timbrica/tecnico vocale ora iniziava a diventare connaturato e consono ai propri mezzi.)
In linea generale comunque la libertà di un cantante non è così grande, ma non sempre ciò è un male, in quanto talvolta le scelte di un direttore artistico competente e coraggioso (e talora ce ne sono) potrebbero riservare delle sorprese anche al cantante stesso che, di suo, non immagina di poter riuscire a risolvere certe specificità vocali. Quanto alle agenzie, anche qui il discorso dovrebbe essere analizzato caso per caso e molte agenzie provano (anche contro le ambizioni del cantante stesso) a proteggere la sua vocalità; per contro ce ne sono alcune (anche di grande giro) che sfruttano senza alcuno scrupolo il cantante di grido del momento, facendolo cantare troppo, in troppi repertori. Ve n’è chi se ne accorge per tempo e lascia la grande agenzia senza scrupoli, talvolta rimettendoci molto nella fase dell’abbandono, e chi, ignaro delle conseguenze e soddisfatto degli immediati guadagni, alla lunga ci rimette le penne. Ecco perché sarebbe sempre il caso di iniziare le prime collaborazioni con agenzie medio piccole che tendenzialmente suggeriscono la via corretta per una omogenea carriera progressiva, e solo dopo, in un secondo momento, ma con la piena consapevolezza dei propri mezzi, iniziare a relazionarsi con le grandi agenzie internazionali, con la piena conoscenza dei rischi e dei vantaggi che ciò potrebbe comportare.