Blas Roca Rey è un attore di successo, popolare in televisione, apprezzato sia al cinema che a teatro. Attualmente porta in tournée ‘Vincent Van Gogh- Le lettere a Theo’ e‘Calcoli’ e noi lo abbiamo incontrato proprio mentre recitava, all’interno della ricca stagione dell’ERT Friuli Venezia Giulia, questo titolo di Gianni Clementi, applauditissimo in tutte le tappe friulane. Gli abbiamo sottoposto una lunga serie di domande e con grande pazienza e disponibilità ha accettato di rispondere a tutte, affrontando le tematiche più diverse: dal lavoro ai figli, dalla carriera al Covid. Ironico, attento, sensibile, si è dimostrato innamorato del suo lavoro, ma anche cosciente di come l’Arte , che innanzitutto è un modo di essere, possa, vorremmo dire debba, essere strumento di rinascita per il nostro Paese; di come passione ed etica siano doti distintive dell’artista vero; di quanto per calcare con dignità le tavole del palcoscenico, siano importanti il sacrificio, il senso del dovere, il rispetto. Un piacere ascoltare tante risposta senza cogliere il profumo, in altri ammorbante, dell’autoreferenzialità, sentendo, invece, la passione dell’attore, l’affetto del padre, la gratitudine verso i Maestri e la responsabilità nei confronti degli allievi. Una chiacchierata, lunga e divertente, ma anche una lezione di stile.
Lei nasce in una famiglia nella quale l’arte ha da generazioni un grosso ruolo. Suo padre era lo scultore peruviano Joaquin Roca Rey, artista raffinato cui è stata dedicata una interessante antologica, ‘La forma del mito’, qualche anno fa a Roma. Come si è avvicinato al mondo del teatro?
Mio padre era un grandissimo scultore e quella mostra, che venne francamente molto bene, l'ho organizzata io stesso con mesi e mesi di duro lavoro e fatica.
Mi sono avvicinato al mondo del teatro durante un'occupazione del mio liceo a Roma. Erano gli anni della contestazione, il ’77 od il ’78. C 'erano dei corsi autogestiti sulla figura della donna nella pubblicità. Senza soffermarci troppo sui particolari, a me toccò una parte femminile, con una parrucca bionda . Feci molto ridere tutta l'Aula Magna del liceo. Ci fu uno scrosciante applauso e una sonora risata e proprio li ebbi la prima scintilla e pensai: -ma sai che non è brutto fare un lavoro in cui ti applaudono?- ed ebbi la consapevolezza che mi divertiva molto stare su un palcoscenico. Da lì decisi, l’anno dopo, a 17 anni, di fare una scuola privata di teatro dove mi preparai con molto impegno per provare poi aadentrare all'Accademia Nazionale Silvio D'Amico. E l'anno seguente effettivamente fui ammesso. Avevo 18 anni, ero uno dei più giovani del mio corso. Entrai, tra l'altro, con un'ottima posizione: quarto, quindi fu veramente un successone. Mi diplomai a 21 anni, che era più o meno l'età in cui entravano i miei colleghi, quindi sono stato molto avvantaggiato all'inizio della carriera.
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