Recensione de Il ritorno a casa in scena al Teatro Vascello dal 24 al 29 marzo 2015
Due piani di un'abitazione, un salotto all'inglese un po' vecchio, e una specie di famiglia, per dirla alla Pinter. In questa casa ci sono tutti i membri maschili del nucleo: la figura femminile è scomparsa molto tempo prima, sono tre fratelli e un padre di famiglia che nel corso del tempo si sono adattati alla vita che gli è spettata, accompagnati dalla figura dello zio, che da parente stretto costituisce un elemento esterno ed intimo allo stesso tempo. Uno dei figli, Teddy, è appena tornato dal Nuovo Mondo dopo sei anni di silenzio insieme alla moglie Ruth e decide di presentarla ai familiari, rompendo il loro equilibrio tutto al maschile e facendosi testimone inerme di una serie di anomali accadimenti che ne conseguono. O meglio, tutt'altro che anomali, se ci si pensa un po': l'opera affronta le meschinità insite nella natura dell'uomo, l'inesauribile conflitto tra i due sessi, il maschilismo unito alla mercificazione della donna, il retrogusto ipocrita della società borghese in un misero deserto d'amore.
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