È innegabile il fatto che il teatro sia l’arte del “qui e ora”, dell’attimo presente.
Lo spettacolo esiste appena si accendono i fari e si apre il sipario, e un attimo dopo la chiusura dello stesso, non esiste più. Come la vita reale, non può essere racchiuso, inscatolato in un oggetto concreto come un dipinto, un libro, un disco, un film o una scultura. Mentre gli attori recitano, ciascuna battuta, ogni singolo movimento del corpo, qualsiasi espressione o azione sono compiuti esattamente lì, in quel momento, e anche se l’attore conosce a menadito le battute che seguiranno, le vive in quel preciso istante, come se tutto accadesse per la prima e unica volta.
Il teatro è altresì l’arte della relazione. Alla prima lezione di Storia del Teatro all’università, il professore tentò di dare una definizione del teatro (cosa alquanto ardua per chiunque) arrivando poi a affermare che “teatro è tutto ciò che si dichiari tale”. Ma, cosa ancora più importante, “teatro è ciò che accade quando c’è almeno un attore che recita e almeno uno spettatore che guarda”. Ovvero, il teatro si fa almeno in due. La scrittura è un’attività solitaria, alla stregua della pittura, la scultura e la composizione musicale. Un musicista potrebbe anche non esibirsi mai di fronte al pubblico (vedi Mina degli ultimi decenni) ma comporre e suonare musica che gli ascoltatori possono fruire autonomamente in qualsiasi momento desiderino farlo.
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