Sabato, 18 Maggio 2024
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La scena che si apre sotto gli occhi degli spettatori presenti a una performance di Palyback Theatre è minima. Da un lato due sedie, che ospiteranno il conduttore e i vari narratori che dal pubblico troveranno il coraggio di alzarsi per condividere con tutti la propria storia. Sul fondo cinque o sei cubi, su cui siedono gli attori in un silenzio attento che tra pochi minuti diverrà azione. Quindi un attaccapanni con appese stoffe colorate, aventi la funzione di scenografia, costumi e oggetti. Chiudono la scena uno o più musicisti con vari strumenti a portata di mano. Dopo una breve introduzione, il conduttore invita gli spettatori a sedersi uno alla volta accanto a lui per raccontare un particolare vissuto in tema con l’argomento della serata.

Le parole escono dalle labbra del narratore, entrano nel pubblico e negli artisti, trovano spazio nel cuore, nei pensieri, nei ricordi. Magari risvegliano qualcosa, fanno risuonare eventi di ciascuno, portano in luce cose sepolte e dimenticate. E il loro viaggio è appena cominciato. Ora escono dai corpi in cui hanno trovato casa e si trasformano in musica, rumore, scena, azione drammaturgica, voce sussurrata, voce urlata, caos o armonia, forti sentimenti o leggera delicatezza. 

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Il teatro ha la funzione di costruire cittadini

 

Nella città di Firenze e più precisamente nel suo I.P.M. Meucci, è appena partito un ambizioso quanto affascinante progetto. Streaming Theater: un ponte fra carcere e città nasce con l’intento di educare e formare i giovani ospiti dell’istituto penitenziario ai mestieri dello spettacolo, con particolare attenzione alla formazione dell’attore. Il teatro risponde quindi a due bisogni fondamentali del carcere minorile: comunicare con l’esterno e lavorare quotidianamente per imparare un mestiere in grado di aprire strade future.  

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È innegabile il fatto che il teatro sia l’arte del “qui e ora”, dell’attimo presente. 

Lo spettacolo esiste appena si accendono i fari e si apre il sipario, e un attimo dopo la chiusura dello stesso, non esiste più. Come la vita reale, non può essere racchiuso, inscatolato in un oggetto concreto come un dipinto, un libro, un disco, un film o una scultura. Mentre gli attori recitano, ciascuna battuta, ogni singolo movimento del corpo, qualsiasi espressione o azione sono compiuti esattamente lì, in quel momento, e anche se l’attore conosce a menadito le battute che seguiranno, le vive in quel preciso istante, come se tutto accadesse per la prima e unica volta.

Il teatro è altresì l’arte della relazione. Alla prima lezione di Storia del Teatro all’università, il professore tentò di dare una definizione del teatro (cosa alquanto ardua per chiunque) arrivando poi a affermare che “teatro è tutto ciò che si dichiari tale”. Ma, cosa ancora più importante, “teatro è ciò che accade quando c’è almeno un attore che recita e almeno uno spettatore che guarda”. Ovvero, il teatro si fa almeno in due. La scrittura è un’attività solitaria, alla stregua della pittura, la scultura e la composizione musicale. Un musicista potrebbe anche non esibirsi mai di fronte al pubblico (vedi Mina degli ultimi decenni) ma comporre e suonare musica che gli ascoltatori possono fruire autonomamente in qualsiasi momento desiderino farlo. 

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Nel mondo globalizzato del quale tutti ormai facciamo parte, numerose sono le iniziative che abbattono i confini geografici, superano le differenze linguistiche e culturali, travalicano i chilometri e il fuso orario, per unire le più varie personalità a spendere il proprio tempo e le proprie energie per un ideale comune. 

Una di queste meravigliose esperienze si chiama Storytellers for Peace.

 

Il progetto Storytellers for Peace nasce nel giugno del 2016, ideato e diretto da Alessandro Ghebreigziabiher (scrittore, narratore e attore di Roma). Si tratta di una rete internazionale di artisti, narratori, autori, attori e musicisti, che creano storie collettive attraverso la realizzazione di un video a più voci. Gli artisti provengono da tutto il mondo e narrano storie di pace, giustizia, uguaglianza e diritti umani. Ogni partecipante racconta nella propria lingua madre. Il risultato finale è quindi un video di narrazione multilingue che mostra quanto il mondo possa essere bello, interessante, ricco, variegato, quando si unisce per una causa importante che riguarda tutti. Il motto degli Storytellers for Peace è proprio “costruiamo la pace attraverso le storie”.

 

Il network è ormai giunto al decimo video. Dopo aver affrontato argomenti come il 30° anniversario della caduta del muro di Berlino o il 70° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, il video attuale è stato realizzato in occasione del prossimo 2 dicembre. In questa data si celebra la Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù, evento istituito dall’Assemblea dell’ONU nel 1986:

 

 Il video realizzato per questa importante ricorrenza narra storie sulla schiavitù passata e alcune forme di quella attuale. Proprio in quest’occasione, si è aggiunta la compagnia indiana “Theatre for change”, da sempre al fianco dei cittadini poveri e sfruttati attraverso il teatro e la narrazione. Gli altri storytellers che hanno partecipato a questo video provengono dagli Stati Uniti, dall’Argentina, dall’Eritrea, dalla Germania, dalla Spagna e naturalmente dall’Italia. Le scorse edizioni avevano visto la partecipazione anche di storytellers dall’Australia, dal Cile, dal Portogallo e dal Bangladesh.

Dai cinque continenti quindi, narratori di diverse culture, lingue, religioni, usanze, si uniscono perché accomunati da un’idea più grande delle loro differenze, un’idea che è la stessa per tutti gli esseri umani: la pace.

 

Cecilia Moreschi

28 novembre 2020

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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