Sabato, 18 Maggio 2024
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Recensione della prima giornata di Roma Live Arts, rassegna internazionale di spettacoli di prosa, musica, teatrodanza e arti varie dedicata alla memoria di Peter Brook.

 

Il  21 novembre ha preso il via il “ Roma Live Arts”, la rassegna internazionale di spettacoli di prosa, musica, teatrodanza e arti varie dedicata alla memoria di Peter Brook. L’ apertura è stata affidata al Maestro Eugenio Barba che nella magica atmosfera dello “Spazio Rossellini”, dopo di lui lo spettacolo “Ave Maria” diretto da Eugenio Barba e ancora a seguire le esibizioni performative di Abraxa Teatro. Tra un evento e l’altro il pubblico è potuto intervenire, proporre, manifestare la propria idea di teatro.

Eugenio Barba, un uomo di oramai 86 anni, con la freschezza e la curiosità di un giovane alle prime armi, ha raccontato la sua storia di teatro con la semplicità di chi continua a giocare con lo stupore che gli regala quest’arte meravigliosa. Eugenio parte dalla Puglia, dopo che è rimasto orfano di padre, per andare in Norvegia, dove lavorerà come saldatore e marinaio. Il contatto con un paese straniero, negli anni cinquanta, lo racconta come drammatico, perché l’altro allora, era davvero un “diverso”, sul quale si percuotevano episodi di razzismo quotidiano. La distanza era soprattutto quella linguistica e la sofferenza della perdita della lingua madre portarono Barba ad affinare il senso cinestetico, poiché alla mancanza di lingua doveva sopperire necessariamente l’affinarsi degli altri sensi. Questa “empatia sensoriale”, non a caso, diverrà un motivo dominante del lavoro pedagogico e teorico del Maestro; eppure questa “scoperta semplice” nasce dal dolore della lontananza. Stesso dolore che lo porterà a scegliere di fare teatro, cosa a cui lui fino ad allora non aveva mai pensato; il teatro gli permetteva di muoversi e mettere una maschera attraverso la quale poteva nascondere il suo essere straniero.

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L’espressione “teatro dell’assurdo” identifica una tipologia di opere scritte da alcuni drammaturghi europei tra gli anni ’40 e ’60 del secolo scorso. Il suo carattere distintivo è l’abbandono della drammaturgia razionale, che viene scalzata da una successione di eventi illogica e all’apparenza priva di significato, e del linguaggio logico-consequenziale, il quale viene sostituito da dialoghi insensati e ripetitivi che seppur tragici possono scatenare il riso. In questo modo si mostra l’alienazione, l’angoscia, la crisi, la solitudine e l’impossibilità a comunicare dell’uomo contemporaneo. 

L’opera forse più rappresentativa del teatro dell’assurdo è Aspettando Godot di Samuel Beckett. In essa due mendicanti, Estragone e Vladimiro, si incontrano su una scena vuota e non fanno altro che aspettare un certo Godot (che non arriva), ma nel mentre parlano giusto per fare qualcosa. L’attesa è movimentata dal transitare di due strani personaggi, di cui il ricco Pozzo porta al guinzaglio l’altro, il suo servitore Lucky. Quando i due lasciano la scena, l’attesa ricomincia fino all’arrivo di un ragazzo, il quale comunica che Godot non verrà più quel giorno, ma il seguente. Allora Estragone e Vladimiro ricominciano ad aspettare e tutto si ripete, compresi l’incontro con Pozzo e Lucky e l’arrivo del messaggio, identico al precedente. Lo spettacolo si conclude proprio con l’attesa dei protagonisti.           

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“Contatto” è forse il termine che meglio descrive la XXXVI edizione del Todi Festival, che ha aperto le sue porte al pubblico sabato 27 agosto e che proseguirà fino al 4 settembre (qui il programma completo). 

Il bisogno di tornare vivo tra il pubblico e di sentirne il contatto con la parte più umana e intima si avverte ogni volta che una folata di vento corre tra le strade del centro storico che apre, come fossero polmoni, i suoi palazzi all’evento dell’anno. Nove giorni costellati da appuntamenti che hanno già iniziato a formare un mosaico colorato di cultura e arte con i loro primi tasselli che si vanno a incastrare perfettamente tra i vicoli cittadini: pezzi di puzzle che si toccano e trovano lo spazio giusto all’interno di una cornice dinamica e fluida.

Un festival che non solo cerca il respiro del pubblico, ma che abbraccia svariate tematiche in modo verticale, viaggiando trasversalmente su diversi media e mezzi di comunicazione oltre che di espressione artistica. 

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31 ottobre, domenica mattina. Mi sposto da una Roma in parte blindata per il G20, in parte svuotata per il ponte di Ognissanti, per giungere ad Aprilia e scoprire un mondo.

La motivazione che mi spinge ad allontanarmi dall’amata capitale è l’invito allo spettacolo Tramonto, nel nuovissimo teatro Sala Gigi Proietti. La rappresentazione è un adattamento del racconto di A. Ghebreigziabiher e narra la storia del figlio di Buio e Luce. Tramonto nasce in mezzo a due culture, due popoli, due diversi modi di vedere la vita, ed è alla continua ricerca di se stesso e del suo posto del mondo. 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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