La teoria della mente, argomento di numerosi studi e sperimentazioni, è sostanzialmente la capacità di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri, ma soprattutto il riconoscere che persone diverse possono avere stati mentali diversi, intesi come idee, intenzioni, desideri, comprensione della realtà, fino ad arrivare a reazioni, emozioni e sentimenti. In alcune patologie come il Disturbo dello Spettro Autistico o la schizofrenia, questa abilità è deficitaria anche se può essere continuamente stimolata. È evidente quanto essa sia fondamentale in ogni interazione sociale e soprattutto nello sviluppo dell’empatia, la quale affonda sempre le sue radici nella comprensione dell’altro, soprattutto laddove mostri pensieri, reazioni o emozioni differenti dalle proprie.
Molteplici approfondimenti a opera di eminenti psicologi e neuroscienziati ci mostrano quanto la teoria della mente si sviluppi durante la primissima infanzia, grazie a un’armoniosa relazione con le figure di riferimento, fatta (tra le altre cose) di giochi condivisi, di imitazione, di narrazione e gioco simbolico. È però possibile continuare nel tempo a stimolarla e svilupparla affinché il comportamento sociale del bambino, dell’adolescente e dell’adulto siano sempre più funzionali alla costruzione di serene relazioni con le persone e con l’ambiente circostante.
Il teatro si pone come strumento sopraffino per lo sviluppo di tale abilità: la recitazione di un personaggio, per forza di cosa differente dall’attore o attrice che lo interpreta, allena inevitabilmente la comprensione e accettazione di stati mentali differenti dai propri. Ma, a ben guardare, già dal racconto di una storia possono scaturire elementi interessanti.
Da alcune settimane, nel corso del laboratorio di Logoteatroterapia, sto narrando a circa trentacinque bambini dai sei ai dieci anni la celebre storia di Gianni Rodari La torta in cielo. Il racconto sarà poi alla base della drammaturgia del nostro prossimo spettacolo. I piccoli sono suddivisi in gruppi, che vanno da un minimo di tre a un massimo di sei individui. Ciascuno ascolta le avventure di Rita e Paolo, i bambini protagonisti del racconto, con grande interesse.
La vicenda è presto detta. I due fratellini si ritrovano loro malgrado alle prese con la cecità e la paura degli adulti verso un enorme oggetto apparso una mattina nei cieli di Roma. Le autorità sono convinte che si tratti di un’astronave aliena, probabilmente con intenzioni niente affatto amichevoli. In realtà l’oggetto volante altro non è che una enorme torta, squisito sbaglio di un esperimento bellico finito male. Rodari non è certo nuovo alla divulgazione di idee pacifiche e pacifiste, e la Torta in cielo ne è forse l’esempio più eclatante.
Ma torniamo a noi e ai trentacinque bambini che si stanno appassionando alle avventure di Paolo e Rita e che ogni settimana, come fossimo davanti a una serie tv a puntate, riassumono gli eventi già accaduti e aspettano con grande curiosità di conoscere il seguito. Nonostante le più o meno lievi fragilità presenti in alcuni di loro (che spaziano dal disturbo sull’attenzione e iperattività al ritardo di linguaggio; dalla difficoltà di memoria a quella di comprensione; solo una piccola parte di essi è affetta dal Disturbo dello Spettro Autistico) sono davvero stupita di quanto il racconto li abbia appassionati e quanto esso sia presente nella loro mente. Spesso li esorto a narrarlo a loro volta, sia per implementare le capacità espositive che per verificare la memoria della corretta sequenza. Ed è qui che mi accorgo di una piccola difficoltà presente nella maggioranza di loro.
All’inizio della vicenda, tutti i personaggi credono che l’oggetto volante apparso in cielo sia un UFO. Solo successivamente Paolo e Rita scoprono che è una torta, ma ovviamente non vengono creduti da nessuno. E quando chiedo ai miei piccoli eroi di tornare con la memoria all’inizio della storia e di dirmi cosa appare nei cieli di Roma una mattina d’autunno, quasi tutti affermano che è una torta gigante. Il fatto che all’inizio nessuno dei personaggi lo sappia e che per buona parte del racconto solo Paolo e Rita lo abbiano scoperto senza essere creduti dagli altri, è un elemento che proprio non riesce a prendere piede nella mente di tanti dei miei ascoltatori.
Riprendo quindi la narrazione, con l’aiuto degli altri operatori mi dispongo a recitare per rendere ancor più chiara la vicenda e le differenti percezioni dei vari personaggi in merito all’oggetto volante. Finalmente i bambini (chi prima, chi dopo) riescono a connettersi con l’idea che nello stesso momento Rita, Paolo e loro stessi sanno una cosa, ma i genitori, gli scienziati e i soldati ne credono un’altra.
Mi sovvengono tanti altri momenti nei quali l’ascolto o la recitazione di un dato personaggio ha lavorato esattamente sullo stesso tema. Persino la celeberrima favola di Cappuccetto Rosso ha un momento nel quale tutti sanno che il lupo ha mangiato la vecchietta e si è travestito da lei, ma la bambina cade vittima dell’animale perché ha uno stato mentale diverso: crede che sia sua nonna. In quasi tutti i gruppi o classi ai quali ho narrato la storia nel corso degli anni, c’era sempre almeno uno o anche più bambini che non riuscivano proprio a capacitarsi del fatto che Cappuccetto Rosso non fosse a conoscenza di quel che tutto il pubblico sapeva benissimo.
Di conseguenza possiamo affermare che, oltre agli innumerevoli benéfici effetti sulle giovani generazioni del fare teatro o ascoltare una storia, anche l’implemento della teoria della mente emerge forte e chiaro da tali attività. Insieme all’aumento dell’empatia (a opera dello stimolo dei neuroni specchio) ecco quindi un altro elemento da non sottovalutare affinché le giovani generazioni possano trascorrere il più possibile una serena e pacifica convivenza nella società di cui fanno parte.
Cecilia Moreschi
11 marzo 2025