Sabato, 23 Novembre 2024
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Francesco Saponaro ci parla della rassegna “L’eredità Scarpetta”, in scena al teatro Trianon Viviani di Napoli, diretto da Marisa Laurito. La rassegna, composta da due spettacoli, debutterà il 6 maggio con “Titina la magnifica” e proseguirà con “La donna è mobile” di Vincenzo Scarpetta a partire dal 13 maggio.

 

Perchè è importate la figura di Titina?

L’attenzione su Titina dovrebbe sempre essere alta, non solo perchè è stata un’esponente fondamentale della famiglia De Filippo ma perchè incarna la figura della donna che in anticipo sui tempi ha cercato la strada di indipendenza dal resto della famiglia, in un periodo storico in cui la società era decisamente declinata al maschile. Anche Marisa Laurito che è direttrice artistica del Trianon Viviani ha pensato che sarebbe stato doveroso dedicare uno spettacolo a questa figura.

 

Quali sono gli aspetti che conosciamo meno di Titina e che emergono dallo spettacolo?

Lo spettacolo lo abbiamo scritto partendo dalla biografia di suo figlio Augusto Carloni “Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro”. Ci sono molte cose che non si conoscono della sua arte, molti la ricordano come la  Filumena ma è stata anche una grande sceneggiatrice, una penna ineguagliabile. Negli ultimi anni della sua vita, quando si è dovuta allontanare dalla scena per una malattia cardiaca, si è poi dedicata alla pittura con grandi risultati. Proprio dalla sua tecnica di collage pittorico abbiamo preso spunto per costruire la struttura dello spettacolo. È stata una donna, una madre, una sorella, una persona semplice che ha fatto della sua vita un vera e propria opera d’arte, anticipando, come detto in precedenza, i tempi. Con Domenico Ingenito, che ha scritto con me lo spettacolo,  siamo riusciti a inserire anche aspetti del suo privato, dal rapporto con i fratelli a quello con il marito Pietro Carloni.

 

Secondo spettacolo della rassegna è “La donna è mobile” perchè la scelta di questa pièce?

Si tratta di una commedia-parodia musicale di Vincenzo Scarpetta, fratello maggiore di Titina. E' uno spettacolo  pirotecnico ricco di interventi musicali dove il repertorio dell’operetta, famosa fra fine ‘800 inizio ‘900, tocca anche note avanguardistiche grazie ad una scrittura scenica che oscilla fra tradizione e innovazione. Uno spettacolo veramente importante dal punto di vista della scrittura. Titina fra l’altro lavorò allo spettacolo quando era giovanissima. Portare in scena uno spettacolo come questo è importante perché come diceva Eduardo De Filippo la tradizione è la vita che continua e se la usiamo come un trampolino voleremo più alti. Ciò è fondamentale per costruire percorsi futuri nell’ambito teatrale. Inoltre il cast dello spettacolo è veramente stellare, la protagonista Antonella Stefanucci è affiancata da un grande Edoardo Sorgente. Sul palco ci saranno quattordici attori e un nutrito corpo musicale accompagnerà la messa in scena.

 

Il suo è un modo di raccontare quell’epoca teatrale facendo attenzione alla tradizione. Cosa ne pensa di altri tipi di rappresentazioni, come ad esempio quella di Antonio Latella e della sua versione del “Natale in casa Cupiello”? 

Siamo in un’epoca in cui lo scandalo fa più scena del racconto. Io parto dalla partitura che è scritta e cerco di dargli vita senza mettermi contro l’autore. Adotto un piano narrativo fedele all’autore e cerco di incendiare di vita quella che è la promessa di teatro che era prevista inizialmente. Apprezzo comunque anche certi tipi di rottura come quello proposto da Latella, a patto che questa rispetti sempre l’autore, quindi partire da un testo e attraverso la scena creare una vitalità diversa che non sia contraria agli intenti originari. Mi sento un artigiano della scena e allo stesso tempo un tranviere che deve portare in viaggio lo spettatore cercando di far scoprire le bellezze che stanno intorno. 

Enrico Ferdinandi

6 maggio 2022

 

Informazioni

Venerdì 6 e sabato 7, ore 21 – domenica 8 maggio, ore 18

Titina la magnifica drammaturgia di Domenico Ingenito e Francesco Saponaro tratta dal libro Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro di Augusto Carloni regia e spazio scenico Francesco Saponaro con Antonella Stefanucci, Edoardo Sorgente produzione teatro Trianon Viviani

 

 

Venerdì 13 e sabato 14, ore 21 – domenica 15 maggio, ore 18

La donna è mobile commedia di Vincenzo Scarpetta regia e spazio scenico Francesco Saponaro arrangiamenti e direzione musicale Mariano Bellopede con Luigi Bignone, Giuseppe Brunetti, Viviana Cangiano, Salvatore Caruso, Elisabetta D’Acunzo, Tony Laudadio, Ivana Maione, Davide Mazzella, Biagio Musella, Serena Pisa, Marcello Romolo, Luca Saccoia, Ivano Schiavi, Federica Totaro Mariano Bellopede, pianoforte | Arcangelo Michele Caso, violoncello e plettri | Giuseppe Di Maio, clarinetto produzione teatro Trianon Viviani

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Angelo Savelli ci parla de Il principio di Archimede, di Josep Maria Mirò, del quale ha curato la traduzione e la regia. Lo spettacolo sarà in scena al teatro di Rifredi di Firenze dal 31 marzo al 10 aprile 2022

 

Come sta andando questa ripresa teatrale per il teatro di Rifredi?

Per noi, come per altri, la ripresa non è stata facile. La nostra programmazione punta su spettacoli che sicuramente attirano meno rispetto ad altri nei quali il personaggio “famoso” fa da richiamo per il pubblico. In un momento storico come quello che stiamo vivendo è normale che le persone siano più lontane dal teatro e da spettacoli più introspettivi come quelli che proponiamo noi.

Continuiamo comunque il nostro lavoro, il teatro di Rifredi ha da sempre ha una vocazione per l’innovazione, da tutti i punti di vista e nella ricerca di nuovi autori. Ci fa piacere ad esempio vedere in questi giorni in scena al teatro Grassi di Milano lo spettacolo Zoo di Sergio Blanco, che ha mosso i primi passi proprio da noi. Siamo ancora su questa strada e speriamo che il pubblico, che avevamo conquistato anno dopo anno prima dell’emergenza causata dalla Covid-19, possa tornare a sedere sulle nostre poltrone. Chissà che magari proprio grazie a Il Principio di Archimede si possa riallacciare questo rapporto fra il nostro teatro e quel pubblico che ci ha seguito fino a due anni fa sempre più numeroso.

 

Prima di entrare nei dettagli dello spettacolo una domanda sull’allestimento scenografico. La platea farà in qualche modo parte della scena e si troverà ai due lati del palcoscenico, in che modo questa scelta valorizza la pièce? 

Si tratta di una scelta fondamentale. Ho voluto lasciare l'impianto scenografico così come Josep Maria Mirò l’aveva pensato in origine. Ho scoperto questo spettacolo a Barcellona e fin da subito ho pensato che funzionasse molto bene, è una scelta giusta perchè l’intera scena si svolge all’interno di una piscina, siamo davanti ad una storia intima, che riguarda il privato delle persone in un luogo dove la privacy è fondamentale. Per il pubblico trovarsi così vicino all’azione, poter vedere chi è seduto dall’altra parte del palco, rispecchiarsi nell’altro, ma anche poter vedere o non vedere ciò che viene visto dall’altra parte valorizza lo spettacolo. Palco e platea diventano una vera propria agorà, una piazza pubblica dove progressivamente viene persa l’intimità.

 

Lo spettacolo ruota intorno ad una notizia da verificare: un istruttore di nuoto sarebbe stato visto baciare un suo allievo. Presto, proprio come avviene quotidianamente nella cronaca nostrana, la notizia diventa di dominio pubblico e si perde il controllo della situazione. Cosa vuole far emergere lo spettacolo: quanto i social possono influenzare negativamente un fatto come quello raccontato?

Il tema della violenza sui minori è forse quello che più di tutti accende le nostre paure, quando questa paura si riversa sui social network allora l’amplificazione mediatica può prendere strade impreviste. Un piccolo fatto diventa subito di tutti. Lo spettatore per tutto lo spettacolo si farà un’opinione sua, personale, data da ciò che viene raccontato dalle parti in causa. L’istruttore passa nel giro di poco da personaggio tremendo a vittima e di nuovo in mostro… la storia non viene raccontata in maniera lineare ma con dei continui flash back che rendono il tutto ancora più intricato e fa prendere alla verità percorsi imprevedibili. Si tratta di una storia che si svolge nell’arco di due, tre ore ma che grazie alla condivisione sui social diventa molto più veloce di quello che è in realtà.

Prima dell’arrivo dei social i tempi erano più dilatati, c’era la possibilità di dare conferma o rettifica su una notizia, oggi invece, come avviene nello spettacolo questa possibilità manca, basta scriverlo su un social e la gogna mediatica comincerà il suo lavoro ben prima che venga chiarito il vero andamento dei fatti. Una macchina che è in grado di produrre senza verifica delle fonti una valanga di insulti, che alimenta un odio che spesso non ha senso di esistere. Questo Josep Maria Mirò lo aveva visto già dieci anni fa, quando lo spettacolo ha debuttato e i social stavo cominciando a produrre questo tipo di meccanismo che oggi è all’ordine del giorno.

 

È stato fatto un grande lavoro psicologico sui personaggi…

Sì, è stato fondamentale, la ricaduta sociale collettiva di questi movimenti psicologici dei personaggi è il vero fulcro dello spettacolo. Le loro reazioni sono come dei sassi lanciati in uno stagno che producono onde che inevitabilmente vanno a modificare tutta la situazione, comprese le reazioni che la platea ha durante lo spettacolo.

 

Alla fine della messa in scena cosa rimane del concetto di verità?

Lo spettacolo gioca sempre sull’ambiguità, sulla contraddizione. Si tratta di terreno nebbioso dove i social passano come un carro armato eliminando ogni nuance, appiattendo tutto e lasciando affiorare solo ciò che è eclatante, ciò che prende i sentimenti. Alla fine la verità non sarà svelata ma ogni spettatore costruirà la sua personale verità in base all’idea che si sarà fatto durante lo spettacolo.

 

 

Enrico Ferdinandi

1 aprile 2022

 

Informazioni

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

di Josep Maria Miró

traduzione e regia Angelo Savelli

con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini, Samuele Picchi

scene di Federico Biancalani | luci Alfredo Piras

spettacolo a posti limitati

Firenze, Teatro di Rifredi

da giovedì 31 marzo a domenica 10 aprile

(feriali ore 21.00; festivi ore 16.30; lunedì 4 aprile riposo)

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Intervista Livia Gionfrida registra dello spettacolo Inedito Scaldati, che debutta al teatro Biondo di Palermo il 23 marzo dove sarà in scena fino al 3 aprile 2022

 

Inedito Scaldati o Scaldati inedito?

Inedito da tutti i punti di vista. Questa è la prima tappa di un percorso di ricerca, partito in realtà con il suo Pinocchio andato in scena a Catania lo scorso anno. Ho fatto un lungo lavoro di ricerca ed ho preso spunto dalla sua radice shakespeariana come pretesto di studio. Si tratta di un’opera inedita perchè mette in risalto questo aspetto presente in molte opere di Scaldati. Mi sono soffermata soprattutto sulla presenza del Macbeth nelle sue opere e che emerge in particolare modo nel Libro Notturno, nato da una traduzione de La Tempesta che è poi diventato un vero e proprio flusso di coscienza. Lì ho trovato molto materiale, personaggi e situazioni da cui ho costruito una storia iniettandovi dentro le visioni, gli squarci che Scaldati aveva. Inedito Scaldati è quindi sia uno spettacolo inedito, nel senso di nuovo sia un pezzo di storia inedita dello stesso Scaldati.

 

Qual è il fil rouge che unisce Scaldati a questo spettacolo?

La storia racconta di un poeta, interpretato da Melino Imparato, che abita in un quartiere fantasma, una scena molto cara a Scaldati ed anche a me. Si tratta di palazzi del post bombardamento, ancora presenti in città e attuali, come purtroppo vediamo tutti i giorni dai telegiornali. Un luogo ferito dove questo poeta è l’ultimo dei sopravvissuti e dove proietta il suo vivere sugli abitanti del condominio: la lavascale, il giovane disabile, il muto, il topo. Come faceva Scaldati che andava nei quartieri dell’Albergheria e faceva recitare le persone del posto anche il protagonista del mio spettacolo trasforma gli abitanti del suo condominio in personaggi che sembrano usciti dal Macbeth. Questo gioco teatrale è il fil ruoge che unisce lo spettacolo alla figura di Franco Scaldati.

 

Quanto è importante la figura di Melino Imparato per questo spettacolo?

Melino Imparato è un vero e proprio compagno di avventura. L’ho conosciuto in occasione del mio studio su Pinocchio ed è stato subito un amore reciproco. Abbiamo deciso di intraprendere una vera e proprio avventura teatrale e con lui ho molti progetti in mente. In lui ritrovo molto della modalità e dell’approccio che Scaldati aveva con il teatro. Questa ricerca è il motivo per cui mi ritrovo a Palermo dopo aver dedicato 14 anni della mia vita nella ricerca del teatro in carcere a Prato. Melino Imparato inoltre, proprio come me, è dell’avviso che il tipo di operazione che stiamo facendo con questo spettacolo non vada a “tradire” Scaldati, anzi sperimentare sulle sue opere e riportarlo ai giorni nostri serve per farlo riscoprire.

 

Il vostro scopo quindi è portare Scaldati anche fuori dai confini siciliani? 

Sicuramente Scaldati è relegato, anche fin troppo, alla Sicilia e a Palermo e ciò dipende anche dalla mentalità campanilistica che ci circonda. Basti pensare alle polemiche che ci sono state quando ho realizzato il suo Pinocchio a Catania. A parte questo la figura di Scaldati è senza confini, tradurlo e portarlo oltre i confini siciliani è d’obbligo, condannare un autore al suo luogo d’origine è sempre sbagliato. È inevitabile che Palermo sia parte integrante delle sue opere, ma all’interno di esse ci sono molti comuni denominatori che rendono la sua arte universale. Anche i temi trattati da Scaldati sono molto attuali.

 

Quali saranno i prossimi step in questo percorso alla ricerca dell’arte di Franco Scaldati?

Con Melino Imparato stiamo pensando di intraprendere un’avventura di approfondimento shakespeariana. Per ora sono concentrata sul Macbeth ma ci sono almeno altre due o tre influenze molto interessanti da indagare. La prima è quella che riguarda La Tempesta dove vorrei dedicarmi alla ricerca dall’aspetto sonoro, cosa per la quale mi piacerebbe avere molto tempo a disposizione. L’aspetto sonoro in Scaldati è qualcosa da approfondire. Lo scorso mese ho fatto un laboratorio con tutti gli attori che hanno lavorato con lui all’Albergheria, oggi tutti over 60, che dopo pochi secondi hanno cominciato a recitare a memoria le opere di Scaldati nelle quali avevano preso parte in passato. Quei suoni, quei ricordi, sono materiale vivo su cui lavorare e che voglio portare in scena.

 

Inedito Scaldati è un titolo interessante, ma cosa si può trovare di veramente inedito a teatro?

Portare in scena uno spettacolo come Inedito Scaldati nonostante tutto, nonostante i tempi sempre più ridotti per fare ricerca teatrale, questo è inedito. Così come lo è puntare sulla ricerca e sul peso che hanno le parole. Oggi le parole sono state svuotate dal di dentro del loro significato, abbiamo bisogno delle parole giuste per muoverci, per orientarci.  

 

 

Enrico Ferdinandi

22 marzo 2022

 

 

Informazioni

Inedito Scaldati

prima assoluta

Teatro Biondo di Palermo 

Dal 23 marzo al 3 aprile 2022

testi di Franco Scaldati

drammaturgia e regia Livia Gionfrida

con Melino Imparato, Paride Cicirello, Oriana Martucci, Daniele Savarino

scene e costumi Emanuela Dall’Aglio

consulenza per il suono Serena Ganci

assistente alla regia Giulia Aiazzi

produzione Teatro Biondo Palermo

in collaborazione con Teatro Metropopolare

 

 

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Intervista a Eleonora Gusmano attrice e regista dello spettacolo Apparatus Matri, della compagnia Focus_2 andato in scena al teatro Spazio Rossellini dal 11 al 13 marzo 2022.

 

Apparatus Matri è uno spettacolo che vuole raccontare l’idea della donna e del femminile oggi, ma siete riuscite a capire cosa vuol dire essere donna oggi?

Raccontiamo la donna oggi cercando di ragionare sul suo ruolo nella società. La nostra compagnia è composta da donne trentenni, siamo figlie delle femministe e partecipiamo alla lotta di genere attivamente. Proprio perché siamo figlie di questa realtà sentiamo di avere addosso l’eredità della battaglia di genere. Ciò ci porta a domandarci se portare avanti un ideale qualunque esso sia estremizzandolo e imponendolo agli altri come univoca verità non rischi di sminuire la complessità che ogni individuo detiene. Cerchiamo quindi di rendere l’idea della donna oggi focalizzandoci su questo pensiero e anche sui tanti cliché che gli ruotano intorno: una donna può fare carriera come un uomo? Una donna di successo può essere al tempo stesso madre?

 

Apparatus Matri è una riscrittura de La casa di Bernarda Alba di Federico Garcia Lorca, come avete adattato lo spettacolo?

Ci troviamo nella Spagna di inizio ‘900, in una famiglia totalmente al femminile che si ritrova a fare i conti con la morte dell’uomo, marito e padre. La madre decide di chiudere le figlie in casa per dedicarsi a tessere il corredo del matrimonio per la prima figlia. Questo è ciò che avviene nel romanzo di Garcia Lorca dove sono gli uomini a dettare le regole, qui invece abbiamo deciso di rivoluzionare completamente le dinamiche. Per prima cosa abbiamo traslitterato ai giorni nostri il contesto cattolico presente nell’opera originaria, ci siamo domandate: cosa può essere altrettanto forte? Così lo abbiamo sostituito con una mentalità femminista che permea tutto lo spettacolo e le caratterizzazioni dei personaggi. Abbiamo estremizzato questa mentalità. La Mater, protagonista dello spettacolo, impone un mondo senza uomini, ma nel farlo, senza volerlo, ne ricalca completamente le sembianze. Il suo femminismo diventa così autoritarismo, un femminismo che per emanciparsi dal maschile non si applica nel seguire principi di uguaglianza, ma diventa simulazione dei comportamenti patriarcali maschili.

 

Non ci sono figure maschili nello spettacolo eppure quella dell’uomo è una figura fondamentale per lo spettacolo: che idea dell’uomo trapela dalla messa in scena?

A differenza de La casa di Bernarda Alba, dove l’uomo è il vero burattinaio che muove le sorti delle protagoniste, qui avviene esattamente il contrario. Le relazione che le protagoniste hanno con gli uomini sono ovviamente ridimensionate, ad esempio la scelta di sposarsi è fondata sul fatto che si crede veramente nel matrimonio.

 

Perchè questo titolo, Apparatus Matri?

Il titolo latino punta a sottolineare, appunto, l’arcaicità di questo sistema distopico che vuole essere rivoluzionario ma degenera in senso quasi reazionario: come un immenso orologio a cucù o macchina infernale i personaggi entrano e escono dalla scena, nel passaggio da spettatori a attori di un meccanismo degenerativo immanente che sembra impossibile da fermare.

 

Lo spettacolo è arricchito da alcuni performer che nei giorni precedenti allo spettacolo hanno partecipato al laboratorio "Identitas" e che poi sono stati selezionati per interpretare la comunità del paese in cui sorge Palazzo Maya, dove ha luogo l’intera scena dello spettacolo. Cosa ti è rimasto di questo laboratorio?

Durante il laboratorio abbiamo lavorato sulla tematica dell’individuo nella società. Chi ha partecipato si è ritrovato a pensare a quale sia il limite fra individuo e collettività: chi siamo quando siamo in gruppo e chi siamo come individuo? Da queste riflessioni nascono dei personaggi che aprono e chiudono lo spettacolo ogni volta in maniera diversa. Con ognuno di loro scriviamo dei piccoli monologhi che nascono dai loro pensieri e che danno un valore aggiunto a tutta la messa in scena. La cosa bella è che, avendo fatto questo laboratorio in diverse città, abbiamo potuto anche constatare come queste percezioni siano diverse anche a livello territoriale. 

 

Enrico Ferdinandi

21 marzo 2022

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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