Venerdì, 22 Novembre 2024
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Parla ai nostri microfoni Emilia Miscio, regista, insieme a Marco Petrino, dello spettacolo Porta Chiusa, di Jean –Paul Sartre, andato in scena al Teatro Le Salette, dal 18 al 22 marzo 2015.

Come nasce l’idea di Porta Chiusa?

Nasce dalla volontà di mettere in scena qualcosa sul teatro esistenzialista francese, dove la parola è protagonista. Volevamo un testo che riportasse in scena l’intimità fra pubblico e attore. Per questo motivo abbiamo scelto il teatro Le Salette, intimo già nel suo essere. Poi A Porte Chiuse, di Sartre, che è uno dei testi più rappresentativi del teatro esistenzialista francese, si prestava bene all'idea di regia doppia. 

 

Regia doppia, in che senso?

Lo spettacolo, così come nell’opera di Sartre, è composto da due momenti differenti. A metà spettacolo quindi con un avvisatore luminoso posto sia sulla platea che sul palco si segnala il cambio di regia. C’è un distacco netto fra i due momenti, si cala nel buio per poi tornare alla luce sotto una diversa regia.

"E' lo spazio interiore, non quello esterno, che dobbiamo esplorare."

("Which Way to Inner Space" , James Ballard, New Worlds, 1962)

 

 

In seguito alla proroga, fino al 12 aprile 2015, di Body Worlds ci siamo fatti raccontare dal curatore Fabio Di Gioia la mostra "Il ciclo della Vita".

 

 

 Fabio Di Gioia

 

Com'è iniziata l'esperienza di Body Worlds?

 

L'esperienza di Body Worlds in Italia è iniziata con la curiosità di chi, facendo il curatore di eventi, gira per il Mondo e cerca di portare da noi quello che non c'è e che potrebbe essere interessante.

Questa mostra, che vidi per la prima volta a Bruxelles, fu per me una rivelazione anche per quel che riguardava (e riguarda) l'interesse del pubblico per il corpo umano; quindi chiesi il perché di tutto questo, mi diedi delle risposte, e dissi che in Italia sarebbe stato molto interessante ed utili cominciare ad interessarsi al corpo e alla salute in modo diverso e non lasciare tutto questo solo ad un'educazione molto scolastica che poi il più delle volte non viene approfondita.

 

Da Bruxelles ad oggi cosa è cambiato?

 

E' cambiata non la mostra ma l'atteggiamento nei suo confronti, il modo in cui il pubblico ci si rapporta.

Questa è una mostra che nei suoi primi allestimenti creò scandalo, più che altro in coloro che neanche l'avevano vista e che vollero giudicarla, come spesso accede, senza sapere. Oggi invece si sa che è una mostra estremamente utile e divulgativa.

Paolo Soriani, Marco Barretta e Fabrizio Caperchi ci parlano di Ombre mostra fotografica allestita al Teatro Studio Uno dal 6 al 26 marzo 2015

Come nasce l'idea di questa Collettiva?

Paolo Soriani: Nasce dall'unione di spiriti comuni, nel senso di persone che si conoscono perché si stimano. Nell'ambito fotografico i fotografi hanno spesso quell'atteggiamento di "cane e gatto" o "di paura di...", noi invece abbiamo un rapporto di stima reciproca e la voglia di condividere, comunicare e anche di mostrarci attraverso un percorso che non sia individuale ma comune, che parte ovviamente da tre differenti ricerche personali ma poi trova elementi comuni. Il gioco di questa mostra è proprio quello di portare le persone all'interno di un percorso individuale ma far sentire che in fondo c'è uno spirito che ci accomuna.

Fabrizio Caperchi: L'idea nasce dall'amicizia, dalla stima che lega me Paolo e Marco e dalla passione comune per la "fotografia d'arte" (non "l'arte della fotografia") ovvero il cercare di immortalare eventi artistici.

Marco Barretta: Questo progetto nasce dall'amicizia e da questa passione comune che abbiamo sia per l'arte sia per il teatro. Come fotografo mi piace catturare questo tipo di immagini e questa collettiva è un occasione per mostrare quello che ho fatto. Ovviamente nella mia ricerca non mi fermo solo al teatro in se ma nei miei scatti ci sono anche gli artisti di strada, quindi mi piace cogliere l'artista nel suo insieme e nella sua essenza del momento. Infatti ogni mia foto ha un nome preciso (Passione, Equilibrio, Forza...) che sottolinea l'emozione dell'istante immortalato e l mie istantanee prese nel loro insieme definiscono cosa sono il teatro e l'artista nelle loro molteplici sfaccettature. Poi io sono un fotografo di viaggio e mi piace ogni volta che torno avere quella consapevolezza in più per poter raccontare storie all'interno di un mondo che amo.

Parla ai nostri microfoni Viviana Di Bert, regista di Fuoco su tre Sorelle, che debutterà in anteprima nazionale al teatro Sala Uno di Roma dal 20 al 22 marzo 2015.

Parlaci di questo spettacolo, un buon motivo per venirlo a vedere?

Per prima cosa c’è da dire che chi conosce Anton Čechov potrebbe essere avvantaggiato nel comprendere i meccanismi della messa in scena, ma ritengo che il pubblico sia intelligente e credo che Fuoco su Tre Sorelle possa esser interessante anche per chi non conosce l’autore. In quest’opera Čechov, attraverso delle storie di ordinaria amministrazione, parla dell’incapacità dell’uomo nello stare al mondo ed essere felice.

 

In che senso?

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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