“Contatto” è forse il termine che meglio descrive la XXXVI edizione del Todi Festival, che ha aperto le sue porte al pubblico sabato 27 agosto e che proseguirà fino al 4 settembre (qui il programma completo).
Il bisogno di tornare vivo tra il pubblico e di sentirne il contatto con la parte più umana e intima si avverte ogni volta che una folata di vento corre tra le strade del centro storico che apre, come fossero polmoni, i suoi palazzi all’evento dell’anno. Nove giorni costellati da appuntamenti che hanno già iniziato a formare un mosaico colorato di cultura e arte con i loro primi tasselli che si vanno a incastrare perfettamente tra i vicoli cittadini: pezzi di puzzle che si toccano e trovano lo spazio giusto all’interno di una cornice dinamica e fluida.
Un festival che non solo cerca il respiro del pubblico, ma che abbraccia svariate tematiche in modo verticale, viaggiando trasversalmente su diversi media e mezzi di comunicazione oltre che di espressione artistica.
Non è un caso che l’apertura sia stata accompagnata da un’improvvisa pioggia che ha fatto da sfondo alla mostra di Fabrizio Plessi, autore dell’installazione posta al centro della piazza principale (Piazza del Popolo) che rappresenta, appunto, una fontana digitale: quattro colonne di acqua elettronica che si incontrano ed entrano in contatto con l’acqua vera di un temporale di fine estate, quasi un omaggio della natura all’arte contemporanea.
All’interno della Sala delle Pietre, il palazzo medievale più antico della città, i protagonisti sono i grandi progetti e dipinti dell’artista che si è lasciato ispirare da alcune grandi città del mondo: da Roma a Bombay, da Kyoto a Maiorca etc. Le opere si presentano al pubblico italiano per la prima volta dalla loro realizzazione e ideazione (2013) e rappresentano schizzi, idee e collage di video installazioni immaginate o davvero portate a compimento dal Plessi. Appunti, suggestioni, pensieri in bianco e nero che fanno parte dell’immaginario dell’artista che, attraverso l’utilizzo del video e dei materiali che l’ambiente mette a disposizione, naviga perennemente all’interno del contatto tra immaginazione, virtuale e realtà.
A rendere tutto più suggestivo è ovviamente l’ambiente, la Sala delle Pietre correlata da un enorme arazzo medievale sulla parete di fondo che sembra accogliere, con una sorta di continuità mai spezzata, le opere contemporanee dell’artista che si dispongono ai lati, quasi fosse una corsa all’interno della linea del tempo. Corsa che trova il suo epilogo in un grande schermo, posto proprio di fronte all’arazzo antico: contemporaneità e antichità che si confrontano e si osservano e che trovano il punto di contatto nel pubblico, inserito perfettamente nel mezzo della storia.
Dall’arte al teatro, sempre proseguendo sul sentiero della contiguità tracciato fino a ora. Contatto che, come l’arte scenica ci ha abituati dai tempi antichi, può trasformarsi in un poco tempo in impatto violento che ci fa osservare e ci avvicina a mondi così lontani e differenti che si scoprono uniti sul palco ma anche nella vita e nella storia.
“Il corpo della donna come campo di battaglia” è lo spettacolo inaugurale del Todi Festival.
Andato in scena sabato sera presso il Teatro Comunale con la regia di Matëi Vişniec, l’opera mette di fronte due figure femminili: una psicologa americana (interpretata da Marianella Bargilli) e una donna bosniaca vittima di uno stupro di guerra (Annalisa Canfora). Sullo sfondo il conflitto in Bosnia che diventa inevitabile collante tra un passato mai del tutto passato e un presente che è ancora troppo correlato a un nero futuro. Anche in questo caso il contatto diventa parte dominante della scena e il racconto tende a dividersi in vari spezzoni, scene di un incontro tra culture: quella occidentale devastata psicologicamente dalle scene di una guerra che entra nell’immaginario ordinario come e forse anche più di quella nel Vietnam grazie anche a un’esposizione mediatica nuova, e quella balcanica che vive sulla pelle e sul corpo la ferocia di un conflitto tra nazioni, tra fratelli che hanno trasformato la vicinanza geografica in pura violenza tra confini.
Ma il Todi Festival vive anche di contatto architettonico e la domenica mattina si apre con una visita agli androni dei palazzi e delle residenze d’epoca del centro. Anche in questo caso si sente la voglia di ricercare nel pubblico e nei visitatori quella curiosità e quella volontà di tornare a riempire le piazze e i cortili. Con “Todi open doors” si entra nella città, si entra nella sua umanità storica e strutturale, si cammina tra gli spazi aperti di ciò che solitamente è chiuso: mai come questa volta emblema di qualcosa che si riapre al contatto con il mondo.
Non poteva mancare, infine, in questo primo weekend di Festival, l’incontro con l’amore e con l’umana voglia di mettere in gioco le emozioni. È qui che diventa protagonista lo spettacolo “In Fedeltà” dell’autore scozzese Rob Drummond, portato in scena, tradotto e riadattato dal regista Roberto Rustioni.
Il regista milanese realizza e porta in Italia un esperimento giocoso, originale e creativo che si realizza attraverso l’incontro diretto con il pubblico. Gli spettatori, infatti, quasi come se fossero alle prese con un’app di dating, vengono chiamati in causa per conoscersi tra loro, per mettere a nudo i propri sentimenti e per entrare in contatto con l’universo che si pone tra realtà e finzione, tra teatro e vita di tutti i giorni, quell’universo chiamato e conosciuto con il nome di amore. Verità e bugia flirtano tra loro, ora nascondendosi, ora palesandosi dietro quiz, test psicoattitudinali e giochi empatici che cercano di far collaborare il pubblico all’interno di un esperimento transmediale che dalla comunicazione “schermo a schermo” torna improvvisamente a essere “vis-a-vis”, facendo tappa in quella mediata dal teatro. Innamorarsi del teatro è facile e può succedere attraverso svariate modalità, ma innamorarsi a teatro? Forse è solo questione di contatti.
Federico Cirillo
29 agosto 2022