Lavoro con il Teatro Ragazzi da oltre 25 anni, sia all’interno degli istituti scolastici che al di fuori di essi, in teatri o altre realtà che offrono il laboratorio teatrale come occasione di crescita da innumerevoli punti di vista.
Alcuni dei bambini o adolescenti partecipano ai miei laboratori solo per una stagione; altri per alcuni anni; altri ancora, una volta raggiunta la maggiore età, intraprendono percorsi universitari o accademici per fare dell’arte scenica la propria professione. Ma non sono la maggioranza. In ogni caso, ho sempre avuto chiaro fin dal mio primo incarico in questo ambito, che il Teatro Ragazzi è una magnifica occasione per crescere nella maniera più armoniosa possibile; il teatro migliora gli aspetti relazionali, linguistici comunicativi; aumenta l’empatia, stimolando a essere persone migliori; opera su funzioni esecutive importantissime quali la memoria, l’attenzione, la concentrazione, il problem solving; implementa la collaborazione con tutti, facendo in modo che ciascuno si senta parte di un gruppo che coopera per un obiettivo comune; e potrei andare avanti.
Spesso vengo a conoscenza di magnifiche esperienze condotte da miei colleghi, che hanno suscitato nei loro giovani allievi l’amore per il teatro (e di conseguenza per l’arte, la musica, la letteratura, la bellezza) tirando fuori da essi talenti che non sapevano di avere; aumentando l’autostima e la costruzione di autentici rapporti che durano nel tempo.
Purtroppo però non è sempre così. Mi accade sovente di ascoltare racconti di genitori o docenti nei quali appaiono frasi come “… in tre o quattro avevano una bella parte, gli altri tra cui mio figlio, avevano giusto due battute…” oppure “...a mia figlia non piace affatto il teatro. Lo scorso anno nello spettacolo a scuola faceva l’albero…”. O anche “… è normale che il regista abbia assegnato a ciascun ragazzo un personaggio mentre mio figlio fa solo il narratore?” Ho sentito persino racconti quali: “Ho dovuto portar via mio figlio perché si annoiava a fare sempre lo stesso minuscolo pezzetto, mentre tutti gli altri si divertivano con le loro parti lunghe e corali” ma il peggiore è stato: “Mi hanno detto che mia figlia non è adatta al teatro, visto che ha difficoltà a rimanere ferma e in silenzio” e così via. Tali frasi sono poi seguite dai racconti nei quali il bambino o la bambina interessata è rimasta dispiaciuta, e spesso dice al genitore che questa sarà l’ultima volta che parteciperà a un laboratorio teatrale.
Capisco benissimo la difficoltà degli operatori teatrali. Spesso si trovano a gestire gruppi numerosi, con alcuni bambini affetti da qualche fragilità linguistica o comportamentale, che spesso scompensano l’intero gruppo. Ma desidero anche porre l’attenzione di chiunque si trovi a condurre un laboratorio teatrale sul fatto che nel binomio “Teatro Ragazzi” la parola importante è RAGAZZI, non Teatro. Che non vale la pena di realizzare un bellissimo spettacolo assegnando le parti migliori ai più talentuosi, se poi gli altri restano male. Che in questo momento della loro vita, i bambini sono esseri umani fragili, affidati alle nostre mani affinché crescano attraverso il teatro. L’arte scenica, nell’età evolutiva, è un mezzo, non un fine. Poi una volta terminata la scuola superiore, decideranno loro se diventare il nuovo Vittorio Gassman o la nuova Anna Magnani, ma nell’attimo presente in cui i genitori li affidano a noi, dobbiamo operarci al meglio per far in modo che l’esperienza sia entusiasmante per ciascuno di loro. Assolveremo così a un grandissimo compito umanitario, oltre che teatrale: lavoreremo per formare esseri umani migliori. Più empatici, più rispettosi di se stessi, degli altri e dell’ambiente. Che hanno imparato l’arte dell’ascolto, del dare spazio all’altro. Che hanno sperimentato che il vero successo è completo solo se condiviso con tutti. Che hanno provato sulla loro pelle quanto il teatro sia fonte di sana adrenalina e non serve nient’altro per renderli felici.
E noi vorremmo farli rinunciare a tutto questo per avere uno spettacolo ben confezionato in cui recitano solo i migliori? Be’, mi sembrerebbe come rinunciare al cibo di tutta una vita per un unico pranzo con tre o quattro ricche portate.
Cecilia Moreschi
20 febbraio 2023