Sabato, 23 Novembre 2024
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Recensione di ‘La Cenerentola’, in scena al Giovanni da Udine il 25 maggio 2024

 

Il teatro Verdi, in una meritoria azione di decentramento che porta avanti da anni,  ha proposto al ‘Giovanni da Udine’ ‘La Cenerentola’ di Rossini, andata in scena fino a pochi giorni fa a Trieste.

Lo spettacolo in terra friulana è stato preceduto da un interessante incontro  con  l’eclettico Andrea Merli, firma internazionale di prima grandezza, giunto dalla Spagna per parlare del titolo rossiniano. 

Si tratta di una di quelle occasioni preziose, introdotte quest’anno dalla Direttrice Artistica Fiorenza Cedolins, per cercare di radicare ancora di più, soprattutto fra i più giovani, la passione per la Grande Musica e che meriterebbero ben un ampio sostegno.

Ma anche per far si che lo spettacolo  proposto ad Udine  non sia solo una trasferta eccellente, ma abbia una sua identità, una ragione in più per spostarsi a vedere lo spettacolo.

Queste iniziative, cui andrebbe tributato un supporto pubblicitario, così come sarebbe stata opportuna una presenza meno timida delle istituzioni agli spettacoli, sono un seme prezioso.

Non basta proporre l’ascolto di un titolo per sperare che attecchiscano l’entusiasmo, la voglia di ritornare a vedere  altre opere, la curiosità: è necessario motivare, raccontare, spiegare,  far entrare piano piano in un mondo che è un caleidoscopio di sensazioni, permettere alle persone di diventare comunità artistica, aiutarli a specchiare il proprio quotidiano in una partitura di due secoli fa che, se ben interpretata, diventata palpitante di vita ed attualità.

Cedolins lo sa bene, perché la capacità di rendere autentici i personaggi è da sempre uno dei suoi punti di forza e si sta prodigando per portare fuori da provincialismo e stereotipi un teatro che alle volte è sembrato sordo a questi inviti.

Venendo allo spettacolo, il cambio della sede e diverse variazioni del cast rendono la serata decisamente meritoria di una recensione.

Prima di tutto si conferma, su una struttura moderna e lineare come quella del teatro udinese, la validità dell’impianto scenico .

Il gioco delle cornici ideate da Lele Luzzati viene reso ancora più suggestivo dal contrasto con il rigore del boccascena  ligneo, quasi un gioco di scatole cinesi, tanto per citare un altro dei lavori del Maestro genovese

La regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, peraltro presenti, evidentemente per le prove di regia con i nuovi inserimenti,   si fa più interessante ad ogni visione e si conferma caratterizzata da magnifici tempi teatrali e da grande scorrevolezza narrativa.

Tante le citazioni al mondo incantato dello scenografo e pittore, dai  telefoni che rimandano alla sequela dei Pulcinella  ai tennisti, dai movimenti del coro che riprendono i buffi passi dei personaggi dei suoi famosi cartoni animati, fino alla foresta proiettata dal bravo Giuseppe Ragazzini, che riporta alla mente quella inventata per il celebre  filmato del ‘Flauto Magico’ .

Spettacolo arguto e garbato, che tiene viva l’attenzione per le oltre tre ore di rappresentazione, senza cali  e non forzando mai.

Di grande impatto i costumi di Nicoletta Ceccolini , capaci di non far rimpiangere la grande Santuzza Calì, abituale collaboratrice del pittore.

Sempre di grande suggestione la prova offerta dal Maestro Calesso,  che ha diretto con sicurezza e competenza l’orchestra del Verdi .

Questo musicista si dimostra ancora una volta una delle bacchette più promettenti della sua generazione.

Attento nel gesto, punta ad una lettura essenziale della partitura, senza indugiare in  quegli orpelli e manierismi che hanno ammorbato  per anni  la musica di Rossini  ed  offre una interpretazione che porta in risalto le sfumature più drammatiche ed intense della storia di Angelina.

Già la Sinfonia iniziale ci trasporta in un mondo tutt’altro che favolistico, con una tavolozza di sfumature intense che in alcuni passaggi sanno essere struggenti.

Accanto al grande lavoro svolto con l’orchestra, quello attento sui cantanti, accompagnati con sapienza, senza mai prevaricare le voci e fornendo il supporto  tanto nelle arie, palestra complessa soprattutto per le voci più giovani, che negli articolati pezzi d’insieme, nei quali il controllo deve essere ferreo, senza però ingabbiare le personalità degli interpreti. 

Esemplare l’inserimento dei nuovi interpreti, che sono risultati perfettamente a loro agio su un tessuto che i colleghi avevano a lungo provato e cantato insieme.

Il coro maschile , diretto dal Maestro Longo,  ha riaffermato il proprio spazio narrativo determinante,  confermando, però, la sensazione di una tendenza a spingere che spesso lo ha portato a coprire le voci nei pezzi d’insieme, come nel primo quartetto ed in diversi momenti del secondo atto.

Una sorta di horror vacui forse legato all’esiguità dell’organico, che però il Verdi sta meritoriamente provvedendo ad ampliare.

Veniamo quindi alle voci.

Alcune già presenti nelle recite triestine,  altre interessanti novità.

Matteo D’Apolito  si conferma un  Alidoro adeguato, dalla voce ben impostata. Una corretta presenza scenica, un volume  non sempre potente ma impiegato con maniera ed uno spessore interpretativo interessante soprattutto nelle arie solistiche. 

Impagabili le due sorellastre, pirotecniche caratteriste che in più occasioni suscitano franche risate del pubblico. Se il Festival dell’Operetta avesse ancora lo spessore di un tempo, sarebbero anche due interpreti ideali per la’ piccola lirica’.

Tisbe, soavemente antipatica, capricciosa, viziata ed opportunista è la brava  Carlotta Vichi. Simpatica e divertente sulla scena, mette in evidenza una voce interessante, con un colore dai toni ambrati ed acuti sicuri, che sarebbe bello sentire anche in un repertorio di maggior spessore.

Federica Sardella è Clorinda. Sgraziata, anche nei movimenti,  volutamente stridente nella voce, buffa nei modi  e piacevole nelle espressioni, suscita, come la sorella, le risate più franche del pubblico. Vocalmente in qualche passaggio la si sente un po’ in difficoltà, ma oggettivamente una prova così complessa fisicamente metterebbe in affanno anche la più esperta delle interpreti.

Dave Monaco era Don Ramiro. 

La parte è ostica ed il giovane tenore ha  sostanzialmente superato le criticità concentrandosi più sugli aspetti musicali che su quelli interpretativi, puntando sull’estensione di una voce che, pur piccola, si muove con una certa sicurezza nel pentagramma..

La parte di Don Magnifico, per la sola replica udinese,  era affidata a Pablo Ruiz, che del ruolo ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, tanto da interpretarlo in questi giorni anche a Barcellona.  Lo ricordiamo  al Verdi come brillante ‘Don Pasquale’ e confermiamo l’impressione avuta : vocalità sicura, buoni tempi anche nel canto sillabato, fiati ampi ed acuti stentorei. Forte l’impronta della sua visione personale del personaggio, un po’ più estroverso  ed immediato rispetto  alla versione raffinata offerta da Carlo Lepore,  ma l’interpretazione è stata apprezzata dalla sala, decisamente affollata anche se non esaurita completamente come lo spettacolo avrebbe meritato.

Giorgio Caoduro è Dandini.

 Nel senso che in questo momento non vediamo altri interpreti in grado di rivaleggiare con la sua interpretazione: vocalità sontuosa, una gamma amplissima di  sfumature, di accenti, una  ammirevole pulizia nel canto, grande facilità nel virtuosismo, un trionfo di colorature,  una estensione solida che spazia dalle note alte del registro baritonale a quelle tenebrose del basso ed una straordinaria capacità interpretativa che lo rendono ideale per questo ruolo.

Il suo Dandini è spiritoso, ironico, arguto,   mai  scontato ed ancor meno ridicolo.

Caoduro è un attore di razza, che sa utilizzare tutto il corpo con grande cognizione: recita con il volto dalle tante espressioni, con le mani che narrano con gesti mai prevedibili, con la schiena che si incurva man mano che ritorna al suo umile ruolo. A seconda della situazione cambia il modo di camminare, i ritmi dei movimenti, persino la maniera di indossare il costume.

Ogni movimento è coordinato con la musica: non un dito che si muova senza un rimando alla partitura, non una spinta delle gambe che non corrisponda ad una frase musicale, non un sospiro che non sia a tempo.

Magnetico e carismatico nei pezzi solistici, è il motore di quelli d’insieme, nei quali succede di tutto scenicamente, ma è tale la carica del carisma di questo cantante, che gli sguardi sono tutti su di lui: tutti corrono, saltano, ballano, si agitano, ma noi siamo rapiti dalla leggiadria delle colorature, dalla maestria dei passaggi, dall’intensità del racconto e ci sembra che non accada null’altro.

Dote questa che ritroviamo anche nella protagonista: Annalisa Stroppa.

La Stroppa, già applauditissima ad Udine a marzo  nella ‘Messa da Requiem’ di Verdi diretta da Roberto Abbado, è un mezzosoprano di grandissimo valore.

Una voce dal colore interessante, ricca di sfumature, con le note basse rigogliose e gli acuti pieni e solidi.

Una tecnica rigorosa.

Una presenza scenica di grande impatto, per capacità attoriali ed innegabile bellezza.

Un repertorio che comprende ‘Carmen’,  ‘Andrea Chenier’, ‘La Gioconda’, ‘Madama Butterfly’, titolo con il quale ha inaugurato, come Suzuki, la stagione della Scala nel 2016. Tanto per dire alcuni fra i titoli più frequenti nei cartelloni di questi anni.

Eppure le sue presenze in Italia sono rare. Ancora una volta siamo davanti a quei fenomeni  che vorremmo definire inspiegabili  ma che invece spesso hanno spiegazioni fin troppo  palesi, per cui esistono indiscutibili talenti che trovano le porte dei teatri nostrani chiuse e sicuramente non per loro scelta.

Raccolgono successi in giro per il mondo, trionfano in teatri prestigiosi, ma il pubblico italiano fa fatica a trovarli sui cartelloni.

Ghiotta quindi l’occasione di poterla riascoltare, anche se solo per una replica e non è un caso che ci fossero, fra il pubblico, melomani giunti  da tante località dell’Italia del Nord ed alcuni addirittura dall’estero.

Arrivata due giorni prima, sottoposta ad un fuoco di fila di prove, reduce da una applaudita ‘Carmen’ in Brasile, lontana da anni dal repertorio rossiniano, si poteva temere una prova in tono minore.

Invece già dall’aria iniziale ‘C’era un re’, così intensa,  capiamo che è una scommessa vinta alla grande. 

Nel duetto ‘Io vorrei saper perché’ incanta per la delicatezza delle sfumature messe in campo, trasportandoci in una dimensione narrativa mai scontata e mai meramente estetica.

Dotata di un colore ambrato sempre ricco di sfumature, di una  raffinata misura nel canto, che riesce a stupire per la capacità di raggiungere ogni accento, di volare fra le note, senza mai eccedere, mai forzare, mai ostentare, ci regala una grande Angelina.

Giovane donna autentica, non personaggio favolistico, che commuove nel disappunto per non essere portata al ballo, travolta dal colpo di fulmine per il principe, stupita dall’incontro con Alidoro, entusiasta dai vestiti per la festa, conquista la sala e man mano che lo spettacolo va avanti sembra sempre più fresca nel canto, nelle agilità, nella coloratura fino ad una   conclusione realmente pirotecnica, nella quale le note sembrano  sgorgare, purissime, come zampilli di  una sorgente di montagna, senza sforzo apparente, tanto da giocarci nell’ironico finale che chiude uno spettacolo realmente riuscito.

Alla fine applausi  per tutti, con vere acclamazioni per Caoduro, Stroppa e Calasso: un tris d’artisti autentici che hanno saputo cogliere l’essenza profonda di questo Dramma giocoso, ai quali sicuramente Rosini, come il pubblico presente,  è grato.

 

Gianluca Macovez

27 maggio 2024

 

 

informazioni

Udine, Teatro Giovanni da Udine, stagione d’opera e balletto 2023-24

“La Cenerentola”

di Gioachino Rossini

Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti

 

Maestro Concertatore e Direttore ENRICO CALESSO

Regia PAOLO GAVAZZENI e PIERO MARANGHI  

Costumi ripresi da NICOLETTA CECCOLINI  

Contributi video a cura di GIUSEPPE RAGAZZINI

Scene e costumi ispirati all'allestimento di EMANUELE LUZZATI del 1978

Maestro del Coro PAOLO LONGO

Allestimento della FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA

Personaggi e interpreti

Angelina ANNALISA STROPPA 

Don Ramiro  DAVE MONACO

Don Magnifico PABLO RUIZ

Dandini GIORGIO CAODURO

Alidoro MATTEO D’APOLITO

Tisbe CARLOTTA VICHI

Clorinda FEDERICA SARDELLA

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

produzione: Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

Allestimento della FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA

Udine, 25/05/2024

 

 

Recensione di Giselle, balletto  di Adam, in scena a Trieste dal 14 al 19 maggio 2024

 

Il Verdi di Trieste propone come titolo di balletto una pregevole edizione di ‘Giselle’, messa in scena dalla ’compagnia della SNG Opera in balet Ljubljana, diretta dal Maestro Renato Zanella.

Il primo plauso va al teatro che, pur non avendo più il proprio glorioso corpo di ballo, nelle cui file brillarono, fra gli altri Rigano e Principini,  riesce sempre a proporre spettacoli che incontrino il gusto del pubblico.

Già dalla scorsa stagione il Verdi ha iniziato una collaborazione con il Teatro di Ljubljana, che ha una compagnia di respiro internazionale , con danzatori di grande spessore e che conta su  figure come il già citato Zanella ed il coreografo Josè Carlos Martinez, dal 2022 direttore del balletto dell’Operà di  Parigi.

Recensione de Il principe del varietà di Antonello Costa in scena al Nuovo Teatro Orione di Roma dal 9 maggio al 12 maggio 2024

 

Il Varietà è stato un genere di spettacolo in voga dagli anni ’20 fino ai ’70 del XX secolo. Si mischiavano ballerini e giocolieri a macchiettisti e comici, passando per cantanti e scene dal carattere dolce e malinconico. Tutto contornato da abiti sfarzosi e minuziosi, scenografie magiche che facevano invidia agli odierni effetti speciali, capaci di cambiare improvvisamente una spiaggia con un’abitazione benestante, con tanto di tavoli e mobili. Da qui sono nate personalità come Delia Scala, Erminio Macario, Totò, Ettore Petrolini, Bice Valori, Nino Taranto, Franca Valeri e molti altri. Nel corso degli anni il genere – anche per rispetto ai “mostri sacri dello spettacolo” che ne erano nati – ha sempre destato interesse nelle nuove generazioni di attori. Tra questi c’è Antonello Costa, che con “Il principe del Varietà”, in scena al Nuovo Teatro Orione di Roma dal 9 maggio al 12 maggio 2024, ha voluto donare al pubblico un assaggio di questo genere, in maniera più moderna.

Recensione dello spettacolo La casa delle api in scena al Teatro Belli dal 7 al 19 maggio 2024

 

La sensazione è quella di addentrarsi in un sogno: schiuse le tende della platea ci si trova di fronte a un palco dove un uomo e una donna, separati da un tavolo, sono tenuti per i polsi da lunghe funi che dal soffitto finiscono per fissarsi al pavimento. Ai lati una serie di schermi televisivi, il tutto sovrastato da un nodo scorsoio. Il tempo di far sistemare il pubblico in sala e la scena si anima: Melisso De Sapio (Josafat Vagni), nel momento in cui sta per suicidarsi, è disturbato dalla visita della dottoressa Deborah Moncinelle (Mariné Galstyan): la terapista lo ha in cura all’interno di quello che si capisce essere un manicomio. Tra loro incombe un’oscura figura (Manuèl Palumbo) che, alla guisa di un burattinaio, tira le fila delle azioni di entrambi. Melisso fa presto a liberarsi dagli ingombranti lacci: una conseguenza della connaturata inquietudine che lo porta a non stare mai fermo o perché, un tempo affermato linguista, è abituato a risalire all’origine delle cose senza farsi distrare dalle apparenze. Gli scambi con la terapeuta non hanno nulla di tranquillizzante: alle domande di lei, risponde seminando ulteriori dubbi che riguardano tanto le azioni più banali quanto le questioni esistenziali che da sempre agitano il genere umano.  

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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