Martedì, 04 Marzo 2025
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Le suggestioni del Trittico di Puccini ritornano, dopo oltre mezzo secolo, a Trieste

Recensione di ‘Il Tabarro’,’ Suor Angelica’, ‘Gianni Schicchi’ di Puccini in scena al Verdi di Trieste

 

Dopo oltre mezzo secolo ritorna a Trieste il ‘Trittico di Puccini..

In questo tempo tante le edizioni di ‘Gianni Schicchi’, alcune di ‘Suor Angelica’ e non ricordiamo nessun ‘Tabarro’. Potremmo sbagliare, ma oltretutto il programma non ci aiuta avendo optato per la citazione  delle sole edizioni complete.

Certamente proporre la terna dei titoli è un grosso impegno produttivo ed il Verdi, in questa stagione di grandi nomi, ha fatto bene ad osare.

Due le compagnie e questa recensione si riferisce alla prima.

Lo spettacolo, in coproduzione con il Teatro Comunale di Parma, è di grande impatto. 

L’idea è di ambientare le vicende fra Inferno e Purgatorio dantesco e lo spettacolo funziona. Grazie alle scene suggestive di Nicolas Boni, ai costumi di Stefania Scaraggi ed al gran lavoro del Light designer Daniele Naldi, che supportano l’idea del regista Pier Francesco Maestrini, che ancora una volta si dimostra acuto uomo di teatro ma soprattutto intellettuale raffinato e profondo conoscitore dell’Arte in tutte le sue forme.

Le citazioni pittoriche sono infinite, da Cranach ai preraffaeliti, da Segantini a Dore’, da Fussli alla Secessione.

Altrettanti i rimandi letterari, ricchi, dotti, mai ovvi e mai scontati.

Abbiamo avuto il piacere, non comune, di assistere ad uno spettacolo pensato, costruito con attenzione e ‘digerito’ , smussato, adattato agli interpreti, che in  molti casi mettono in risalto una abilità teatrale finora espressa in parte soltanto.

Si potrà discutere se non ci sia una sorta di ‘abuso’ delle proiezioni, se montando in questo modo la seratao non si perdano alcuni aspetti narrativi e soprattutto di suggestione. Ma ogni scelta fatta è figlia di un percorso, di un ragionamento complesso  e quindi va apprezzata nella sua essenza più profonda. Nulla è messo lì per riempire tempi, niente è superfluo, neanche quando è sovrabbondante e le quasi quattro ore di spettacolo scorrono fluide, come il fiume di dannati che popola la storia di ‘Gianni Schicchi’.

Fondamentale l’apporto dato da direttore d’orchestra, il Maestro Francesco Ivan Ciampa, che in questi anni ha dimostrato una notevolissima crescita artistica, trovando una cifra stilistica personale fra la ‘vecchia scuola italiana’  e la lettura personale della partitura, sostenendo gli interpreti, come deve fare un vero bravo direttore ed al tempo stesso rifuggendo da stereotipi ed eccessi.

Un grandissimo lavoro, che oltretutto va moltiplicato per le due compagnie, premiato da un consenso entusiastico del pubblico, che ha colto l’impegno ed apprezzato la lettura, mai banale.

Molto buona la prestazione dell’orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi, che ha retto senza opacità uno spettacolo così lungo ed efficaci ed eleganti gli interventi del Coro, ben guidato da Paolo Longo.

‘Il Tabarro’ della prima compagnia aveva nel Michele di Roman Burdenko la figura centrale. All’entrata sulla barca era una sorta di Caronte, imponente nella figura e sontuoso nel canto. Il colore brunito, quasi magmatico  trascinava la storia nell’oscurità profonda del mondo degli ultimi: senza amore, senza soldi, senza speranza, uomini allo sbando si aggiravano, un po’ spettri , un po’ topi, fra le melme di un fiume paludoso.

Il dramma della solitudine profonda, la sensazione e poi la certezza del  tradimento, la sete di vendetta e, di fatto , la disperazione assoluta, trovano colori convincenti nella voce omogenea e stentorea del baritono russo, che regala acuti sicuri ed un volume decisamente sontuoso.

Le è accanto la Giorgetta di Olga Maslova, che disegna una donna tagliente, anche vocalmente, poco incline  alla sensualità, decisa e risoluta. Meraviglia un po’ questa visione così momolitica, tenuto conto del gran lavoro registico, ma è innegabile che le tante difficoltà della parte siano state superate agevolmente.

Presente in entrambe le compagnie il tenore Mikheil Sheshaberidze. 

L ’abbiamo ascoltato alla terza recita in tre giorni, oltretutto precedute da due prove generali.

Impossibile che non fosse stanco, eppure non ha fatto trasparire nessun cedimento ed ha cesellato un   Luigi di grande spessore. Vocalmente sicuro, presenta possenti acuti, fiati portentosi, una buona pronuncia, acuti limpidi. In questi anni la sua voce è andata crescendo, la tecnica ha risolto alcuni suoni che alle volte sembravano trattenuti ed il canto è appassionato ma soprattutto coinvolgente.

Si nota un lavoro profondo sulla parola, che gli permette di andare ben oltre allo stereotipo del giovane prestante e focoso e la voce non è mai ostentazione egocentrica, ma strumento per tratteggiare con grande trasporto uno stato d’animo di grande complessità.

Dal punto di vista scenico il suo personaggio è ben risolto: ci sono disorientamento e passione, paura ed entusiasmo, gioventù e sofferenza.

Certamente una tappa importante di una carriera in crescita.

Ottima anche la resa dei comprimari, a cominciare da Enrico Iviglia, la cui voce luminosa contrasta magnificamente con il clima solfureo che lo circonda. L’estensione è omogenea, il canto sicuro, gli acuti smaglianti. La Frugola di Chiara Mogini, è presente in tutti e tre gli atti ed in entrambe le compagnie. Un bel gioco di contrasti fra la potenza graffiante, che trova i toni giusti per  raccontare una donna che vive alla giornata, una che cerca fra le immondizie e la sposa che sogna ‘una casetta con un piccolo orticello e che si informa su  come sta il suo uomo, partito da casa dolorante. Un bel lavoro attoriale ed una interessante resa vocale di questa allieva della Kabaiwanska.

Fulvio Valenti è un convincente Talpa,  che mette in evidenza uno strumento vocale interessante, che speriamo di riascoltare presto in ruoli più ampi.

Completano il cast le belle voci di Pierluigi D’Aloia, che pur nella brevità delle due parti di un venditore di canzonette ed un amante riesce a farsi notare per estensione e garbo e di Aziza Omarova, che  la regia fa cantare dietro le quinte.

Suor Angelica’ è ambientata in Purgatorio. 

La povera donna rivive continuamente la sua straziante esistenza, che la porterà ad avvelenarsi.

Imprigionata in un tronco nella selva dei suicidi, riesce a vedere il Paradiso e grazie all’intercessione del figlio può uscire dal tronco che la imprigiona, accagliandosi fra le radici della pianta.

Intuiamo che alla fine dei tempi potrà ricongiungersi al bimbo morto e questa è l’unica, lontana, consolazione in una vita di dolori.

La direzione orchestrale è potente ma,  a parte qualche attimo iniziale, i volumi sono calibratissimi, in un racconto che rinuncia giustamente ad ogni abbellimento  e che è ritmato da tempi  decisi e coinvolgenti.

Certamente la presenza di Anastasia Bartoli, che ritorna a Trieste dopo aver partecipato, nel 2021, allo ‘Stabat Mater’ di Rossini a Verdi.è carismatica e magnetica.

Il soprano ha una voce potente, omogenea, sicura, ma dal colore scuro, molto lontano dalle Suor Angelica più  conosciute, come Ricciarelli, Scotto, fino a Tebaldi.

Costruisce una donna di impressionante sofferenza, piega le sfumature del suo strumento per raccontare i pesi che gravano la sua povera esistenza; il canto  sembra sbrecciare, davanti ai nostri occhi, le ferite infertale dai suoi cari; ma allo stesso tempo l’estensione così sicura e compatta, racconta il rigore morale, la statura di questa fanciulla che ha subito per obbedienza, che ha rinunciato a tutto per tutelare l’amore per il figlio, che ha cercato nel servizio verso gli altri un sollievo ad uno strazio insanabile.

Gli acuti, sontuosi, ci trafiggono come pugnalate  e non possiamo non rimanere ammirati dalla misura scenica di una grande interprete, che riesce a fare suo il ruolo in maniera totale ed ammaliante, senza indugiare in effetti facili e gesti di facciata. La Bartoli non utilizza il ruolo per mettere in evidenza le sue doti vocali, ma offre  il colore del suo strumento per raccontare al meglio la storia della protagonista, ponendosi al servizio della partitura pucciniana. Una prova emozionata ed emozionante, per la quale non si può non essere grati al Verdi per la scelta.

Sprezzante, cattiva, spietata, gelida la Zia Princessa di Chiara Mogini, che passa dalla frivolezza un po’ volgare della Frugola ad un canto potente, sicuro, controllato, con delle note taglienti e degli acuti solidissimi. La recitazione è sapiente: la postura rigida, i movimenti alteri, il dialogo iniziale in cui volge le spalle alla nipote, sono tasselli fondamentali  in quel mosaico tragico che è la vita di Angelica.

Nutrita la schiera delle suore.

Sicura la prova di Federica Giansanti ( La maestra delle novizie ), che trova una bella serie di colori per rimproverare le novizie.

Giovanna Lanza, molto convincente nell’immedesimazione scenica, è una badessa autorevole; Irene Celle è una convincente Suor Dolcina, mentre Suor Genovieffa ha la figura e la voce appropriata di Federica Sardella. Veronika Foia è una corretta Suor Osmina; Erica Zulikha Benato è una corretta Suor Infermiera; Giulia Diomede è una credibile Suora Zelatrice.

Completano adeguatamente il cast le cercatrici ( Aziza Omarova ed Alessandra Gambino), le Converse (Anna Ciprian e Selma Pasternak) e la novizia di Tatiana Previati.

Sempre efficaci gli interventi del coro “I piccoli cantori della Città di Trieste” diretti dal M° Cristina Semeraro

Dopo due momenti così intensamente drammatici, ‘Gianni Schicchi’ appare salvifico, anche se l’ambientazione all’inferno, con fiumi di dannati che strisciano seminudi e Firenze sommersa alla lava, non è proprio tranquillizzante.

Al centro della vicenda l’amore fra Rinuccio e Lauretta. Il primo interpretato dalla voce luminosa e potente di Pierluigi d’Aloia, che si conferma tenore di grandi mezzi e di notevoli capacità interpretative; la seconda portata in scena da Sara Cortolezzis che, in particolare nella celebre ‘ O mio babbino caro,   mette in evidenza una ampia ricchezza di colori e una eleganza interpretativa notevolissima.

La Mogini, instancabile, dipinge una Zita petulante ed in alcuni passaggi volutamente stridente, riuscendo a portare  a termine con bravura una vera staffetta di tipi umani.

Lussuosa la presenza di Nicolo Ceriani, notoriamente affidabile e dotato di uno strumento dal colore prezioso, doti che, unite alle capacità sceniche che da sempre lo caratterizzano,  gli consentono di imprimere la sua personalità anche ad un personaggio  come Marco, affiancato dalla moglie Ciesca, bene resa da Erica Zulikha Benato.

Enrico Iviglia offre il suo strumento prezioso al ruolo di Gherardo, rendendolo piacevolmente riconoscibile nei pezzi d’insieme. 

Adeguate le caratterizzazioni, nei ruoli della moglie e del figlio di Gherardo,  di Irene Celle ed Ilaria Zanetti.

Fulvio Valenti era un Simone autorevole, sia vocalmente che scenicamente. 

Godibile e riuscita le prove  di Antonino Giacobbe (Betto di Signa) ed Alessandro Busi (Spinelloccio/Ser Amantio)

Completavano il lunghissimo cartellone i sempre affidabili Giuliano Pellizon (Pinellino) e Damiano Locatelli (Guccio).

Lasciamo per ultimo Roman Burdenko, che alla sua galleria di padri dolenti, condottieri feroci, potenti viscidi, aggiunge una figura comica come Gianni Schicchi. Sulla carta un ruolo anomalo, che poteva suscitare qualche perplessità. Invece la prova è stupefacente.: la recitazione è brillante, ironica senza essere forzata; il canto è solido ma i suoni si piegano per farsi divertiti, sapientemente disincantati; gli acuti sono possenti, come sempre, ma mai slegati dalla costruzione del personaggio, valorizzato da un lavoro sulla parola che non si risolve nella semplice buona dizione, ma è studio meticoloso ed approfondito sul significato.

Il pubblico festeggia tutti alla fine di ogni atto  e riserva vere acclamazioni  per Ciampa, Burdenko e la Bartoli.

Valeva la pena di aspettare mezzo secolo per vedere un simile spettacolo.

 

 

Gianluca Macovez

25 febbraio 2025

 

informazioni

Trieste, Teatro Verdi, 23 febbraio 2025

STAGIONE LIRICA E DI BALLETTO 2024-25

IL TABARRO-SUOR ANGELICA-GIANNI SCHICCHI

di Giacomo Puccini

 

Maestro Concertatore e Direttore FRANCESCO IVAN CIAMPA

Regia PIER FRANCESCO MAESTRINI

Scene NICÓLAS BONI

Costumi STEFANIA SCARAGGI

Light designer DANIELE NALDI

Maestro del Coro PAOLO LONGO

NUOVO ALLESTIMENTO DELLA FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE IN COPRODUZIONE CON LA FONDAZIONE TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

 

personaggi e interpreti principali

IL TABARRO

Michele     ROMAN BURDENKO 

Giorgietta   OLGA MASLOVA 

Luigi  MIKHEIL SHESHABERIDZE

La Frugola   CHIARA MOGINI

Il Tinca  ENRICO IVIGLIA

Il Talpa  FULVIO VALENTI

Un venditore di canzonette/Un amante PIERLUIGI D’ALOIA

Un’amante  AZIZA OMAROVA

 

SUOR ANGELICA

Suor Angelica           ANASTASIA BARTOLI 

La zia principessa  CHIARA MOGINI

La badessa  GIOVANNA LANZA

La maestra delle novizie  FEDERICA GIANSANTI

Suor Dolcina  IRENE CELLE

Suor Genovieffa  FEDERICA SARDELLA

Suor Osmina VERONIKA FOIA

Suor infermiera  ERICA ZULIKHA BENATO

Suora Zelatrice  GIULIA DIOMEDE

Cercatrice  AZIZA OMAROVA

Cercatrice  ALESSANDRA GAMBINO

Conversa  ANNA CIPRIAN

Conversa SELMA PASTERNAK

Novizia   TATIANA PREVIATI

Con la partecipazione del coro “I piccoli cantori della Città di Trieste” diretti dal M° Cristina Semeraro

 

GIANNI SCHICCHI

Gianni Schicchi

ROMAN BURDENKO 

Lauretta  SARA CORTOLEZZIS

Zita  CHIARA MOGINI

Rinuccio PIERLUIGI D’ALOIA

Gherardo  ENRICO IVIGLIA

Nella  IRENE CELLE

Betto di Signa  ANTONINO GIACOBBE

Simone  FULVIO VALENTI

Marco  NICOLO’ CERIANI

La Ciesca  ERICA ZULIKHA BENATO

Gherardino ILARIA ZANETTI

Pinellino GIULIANO PELIZON

Guccio DAMIANO LOCATELLI

Spinelloccio/Ser Amantio di Nicolai  ALESSANDRO BUSI

 

Trieste, 23 febbraio 2025

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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