Intervista a Matthias Martelli in occasione dello spettacolo Raffaello il figlio del vento in scena al Teatro Sanzio di Urbino il 16, 17 e 18 ottobre 2020
Nei tuoi spettacoli la dimensione del giullaresco gioca un ruolo comunicativo importante, quando Jacques Copeau decide di recuperare la commedia dell’arte agli inizi del ‘900 la definisce “un antidoto alla sonnolenza delle convenzioni contemporanee”, condividi questa definizione?
Assolutamente sì, il giullaresco è qualcosa di forte, d’impatto che fa saltare lo spettatore sulla sedia, non lo rende mai estraneo, non come qualcuno che spia dal buco della serratura, ma diventando parte integrante dello spettacolo; lo spettatore partecipa, sveglia, è un qualcosa che scuote, dire scuote mi piace.
Cosa ha di diverso la tua giullarata del Miracolo di Gesù Bambino rispetto a quella di Dario Fo? Come hai lavorato per rendere il Grammelot comprensibile oggi?
Il Grammelot è una tecnica ereditata da Dario Fo e dai giullari della Commedia dell’Arte, quando mi sono approcciato a fare Raffaello, in un certo senso è venuto fuori automaticamente e ci sono delle parti in cui anche solo l’imitazione di un linguaggio o il borbottio che diventa un’altra cosa sono richiami al Grammelot classico, poi riscoperto da Dario, maestro del genere, è come se a un certo punto entri nel DNA.
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