Sabato, 23 Novembre 2024
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Francesco Gentile e Simone Pigna raccontano i retroscena di una commedia scritta a sei mani con Federico Cirillo che porta in scena topoi ancora insiti nel carattere dell'italiano medio di oggi: Sarti mortali.

 

Com'è nato ‘Sarti mortali’?

Francesco Gentile: L’idea parte proprio da ‘Sarto per signora’ di Georges Feydeau che abbiamo intrecciato alla commedia anni 70, quella con Lino Banfi e Alvaro Vitali per capirci. Abbiamo visto che il vaudeville si prestava a quello che avevamo in mente di scrivere perché l’intreccio tipico, facendo un salto temporale, era assolutamente riportabile all’interno delle commedie sexy italiane: i personaggi, che in Feydeau erano semplicemente abbozzati, li abbiamo ripassati col pennello, calandoli e calzandoli nelle situazioni topiche create in quei film. Nel nostro spettacolo, infatti, trovi proprio le maschere caratteristiche della commedia sexy all’italiana: da una parte l’ex gerarca fascista che si è riciclato nella pubblica amministrazione convinto di avere una moglie irreprensibile ma che realtà lo cornifica, dall’altra c'è il radical chic di sinistra apparentemente molto dedicato al lavoro e agli ultimi, ma che in realtà è uno sporcaccione seriale che agisce sotto gli effetti di ingrifamenti indotti, esogeni o endogeni, sposato con una moglie banfesca terribilmente brutta, e che per questo prova una irrefrenabile pulsione sessuale verso qualsiasi altra donna.

Simone Pigna: Tra gli altri cliché che abbiamo riportato nello spettacolo, ci sono l'Alvaro Vitali di turno che è un personaggio funzionale alla storia e che tutte le volte fa cadere il protagonista nell’errore e lo smaschera, e un personaggio femminile che ricalca la signorina Silvani. Abbiamo voluto rendere un chiaro omaggio a quel tipo di commedia perché rappresentava un genere cult e anche perché ci siamo fatti un sacco di risate vedendo quei film in cui ogni personaggio, attraverso la rappresentazione di un difetto fisico, innescava nello spettatore elementi positivi di forte ilarità.

 

Francesco, come ti sei giostrato nel triplice ruolo di regista, attore e autore? 

F.G. È stato bello! Simone mi ha aiutato come assistente alla regia. Noi separiamo completamente le tre fasi di realizzazione dell'opera: la prima fase di scrittura è una fase enciclopedica in cui leggiamo tanto, litighiamo e discutiamo. Poi Federico ci ha aiutato molto nella stesura dei dialoghi. Abbiamo rispettato le tre fasi come se fossero tre persone diverse. Quando abbiamo finito la fase di scrittura, abbiamo permesso da registi, di fare carne da macello del testo, mentre poi come attore mi sono confrontato soprattutto con Simone e abbiamo lavorato senza tener conto che fossimo noi gli autori. Lavorando per step separati, siamo riusciti a portare a casa una commedia senza compromessi.

S.P.: Ci siamo ritrovati a lavorare molto sul personaggio dell’omosessuale degli anni 70 che ricopre un ruolo molto forte. Prima che lo trasformassimo dal punto di vista registico, ci siamo interrogati sulla sua valenza e su quello che avrebbe potuto trasmettere al pubblico, tant'è vero che abbiamo richiesto anche pareri esterni per paura di urtare la sensibilità degli spettatori. Questo proprio perché si trattava di un personaggio che avrebbe dovuto rappresentare l’esaltazione dell'orgoglio omosessuale come volontà di mostrare il proprio corpo e le proprie ragioni, cercando di creare un personaggio sicuro di sé pur con tutte le eccentricità tipiche del cliché.

 

Come si è evoluto il processo creativo?

F.G.: Per la scrittura del testo abbiamo impiegato tre mesi mentre le prove ce ne hanno richiesti sei. In itinere poi abbiamo effettuato diversi ritocchi al testo, ma li considero un lavoro di regia perché quando sei convinto che un testo funzioni poi sei disponibile a smontarlo. Man mano che leggevamo con gli attori, prendevamo in considerazione altri aspetti: per esempio, nella prima fase non c’era il personaggio dello iettatore seriale che era sempre presente nei film di Banfi e l’abbiamo voluto aggiungere, per cui è nato come personaggio registico. 

 

Da quanto tempo la compagnia Helsingor calca le scene romane?

F. G.: In questo caso, sono più compagnie a essersi riunite. Con loro proprio sono circa tre anni, e sono tutti attori che si muovono nell’ambito di compagnie che mi piace definire ‘professionali’ ovvero amatoriali e professioniste, impegnati almeno in tre spettacoli solo su Roma. Anche le nostre nove date qui al Teatro San Luca le consideriamo un bel risultato per una città che ogni sera mette in scena un’offerta teatrale non indifferente. 

 

Quanto può essere difficile trovare per una compagnia come la vostra uno spazio teatrale?  

F.G.: Il nostro spettacolo è tutto autoprodotto e trovare uno spazio che ci ospiti oggigiorno è difficilissimo. Però devi cercare di trovarti uno spazio altrimenti ti si presenta il problema contrario, che hai un lavoro buono ma non il modo per presentarlo al pubblico. Capiamo perfettamente che senza nomi importanti è difficile essere messi in calendario e diventare appetibili per un qualsiasi teatro, per cui devi rivolgerti a chi si affida anche al testo o che non guarda troppo al nome. Sinceramente un po' ho smesso di fare questo tipo di operazione, perché l’autoproduzione permette di esprimerti in piena libertà senza doverti trovare in una situazione di compromesso. Pensa che finiremo lo spettacolo con quasi 1500 spettatori e non è poco per una compagnia che non è conosciuta e di conseguenza la soddisfazione è triplice. A Roma fai veramente fatica a trovare un tuo ambiente.

 

Per le piccole compagnie, quale pensi possa essere l’aiuto maggiore da ricevere da parte della amministrazione cittadina?

Concedere più spazi sarebbe l’aiuto più importante che potrebbero darci, anche mettendoli a disposizione attraverso dei bandi pubblici o facendo una selezione, perché il problema più grande a Roma ora come ora per le compagnie è la mancanza di teatri dove esibirsi. Ci sono molti spazi teatrali inutilizzati per problemi burocratici ed è uno spreco. Non si comprende che se si concedono gli spazi a basso prezzo, poi si riesce a fare in modo che anche il biglietto dello spettacolo abbia un prezzo minore e questo riporterebbe il pubblico a teatro. 

 

Diana Della Mura 

9 febbraio 2020

 

Informazioni

Teatro San Luca

Sarti mortali

Regia di Francesco Gentile

Attori:

Barbara Gentile, Antonella Dicorato, Francesco Gentile, Steve Simon, Stefano Carelli, Isabella Marcucci, Giuseppe Lavecchia, Anastasia Coppola, Giancarlo Izzo, Nicola Di Lernia, Giovanni Canale, Maria Fortunato

Assistenti alla regia: Simone Pigna e Andrea Rar – Luci e fonico: Andrea Gentile

Scenografia: Nicola Di Lernia – fotografia: Mauro Milani

Assistenti di scena: Maria Teresa Volponi, Claudia Piconi, Germana Galleri, Daniela Voialbu, Chiara zstsrnini

In scena il 24,25, 26, 31 gennaio e 1,2,7,8 e 9 febbraio 2020

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Luca Maria Spagnuolo porta avanti con successo, di pubblico e di critica, un’interessante iniziativa patrocinata dalla società Dante Alighieri: Dante per tutti e le leggende medievali. A metà fra lezione e reading teatrale, per il sesto anno consecutivo, Spagnuolo prosegue i suoi appuntamenti con il commento alla Divina Commedia. Incontri ad ingresso gratuito ospitati nella cripta della Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone che attirano sempre più persone.

 

 

Da dove nasce questa passione per Dante e il medioevo?

Si tratta di una passione extra scolastica. Sono laureato in Storia dell’Arte e prima della Laurea ho lavorato e studiato anche all’estero. Durante una di queste esperienze a Berlino ho cominciato a studiare per conto mio la Divina Commedia… l’ho fatto perchè mi mancava l’Italia e sfogliare quelle pagine mi dava un senso di appartenenza alla mia Patria. Nell’opera di Dante poi, con grande meraviglia. Ho trovato la risposta a tante domande che mi sono sempre posto: chi sono, chi siamo?

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Curiosità, paure e speranze dell’autore del romanzo “Nell’addio”

 

Federico Larosa, giornalista, addetto stampa e autore ha presentato, il 30 novembre, al Liberthè - Caffè letterario di Roma, il suo primo romanzo “Nell’addio”, Merlino Edizioni.

Un romanzo di formazione in cui amore, amicizia, paure, speranze, scoperte e rivelazioni scandiscono la crescita del protagonista e le sue relazioni con tutti gli altri personaggi.

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 Intervista ad Alessio De Caprio interprete e regista dello spettacolo Bucefalo il pugilatore in scena al teatro Keiros dal 6 all’8 dicembre 2019

 

Bucefalo il pugilatore è uno spettacolo che ha ormai dieci anni, cosa ha fatto nascere il desiderio di raccontare questo personaggio?

Era molto tempo che volevo raccontare una storia che parlasse di boxe, in seguito anche alla lettura di un interessante volume di Franco Ruffini: Teatro e boxe: l'atleta del cuore nella scena del Novecento. Una sera, informandomi a tempo perso sul processo Priebke (Il comandante della Gestapo fra i pianificatori e realizzatori della strage delle Fosse Ardeatine, n.d.r.)  mi sono imbattuto in un’iscrizione sul muro del terzo braccio del carcere di Regina Coeli che recita. “Se non arivedo la mia famiglia è colpa di quella venduta di Celeste Di Porto. Rivendicatemi!”.

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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