Venerdì, 03 Maggio 2024
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Al Cinema Farnese di Roma l’Asian Film Festival si chiude con “Il mistero scorre sul fiume”

Recensione del film “Il mistero scorre sul fiume” di Wei Shujun

 

Tratto dal romanzo “Mistakes by the river” dello scrittore Yu Hua, considerato uno dei più importanti autori cinesi del nostro tempo, il film del regista Wei Shujun racconta una serie di omicidi che avvengono nella Cina degli anni ’90, un Paese che ancora non è diventato il più tecnologicamente avanzato del pianeta.

A indagare su queste morti misteriose è il detective della polizia Ma Zhe, interpretato dall’attore Zhu Yilong, che incontra non poche difficoltà. Né le diverse testimonianze raccolte, né gli indizi trovati sulla scena del crimine o i principali sospettati lo aiutano a districare la matassa. Così si ritrova, suo malgrado, a doversi addentrare sempre più a fondo negli strani comportamenti dei sospettati a rischio della propria sanità mentale restando sempre più coinvolto nell’oscurità delle loro anime.

Colpisce fin da subito la volontà del regista di raccontare in modo più intimo la storia. Attingendo alla concezione più classica e tradizionale del noir, in cui non sono le indagini in sé a rappresentare il fulcro della narrazione ma più le pressioni psicologiche e le tensioni generate dal caso, Shujun dimostra di saper rielaborare e far proprie anche storie non ideate direttamente da lui. Prevalgono anche qui, infatti, la componente riflessiva, apatica e le ambientazioni dai colori forti che già caratterizzano le sue opere.

Il suo protagonista risulta schiacciato e tormentato, quasi perseguitato, dal peso di tutte le implicazioni professionali e personali che questa indagine gli ha causato. Prevalgono sensazioni di angoscia e ansia che la scelta registica del 16mm rende ancora più pesanti: la struttura visiva del film risulta opprimente, tetra e soffocante e lo spettatore viene letteralmente trascinato all’interno di un’atmosfera appesantita.

Anche il ritmo dell’azione, che parte spedito, rallenta man mano al punto che si ha l’impressione di essersi impantanati nelle indagini insieme a Ma Zhe. Ci si sente intrappolati nelle sue visioni anche grazie alle inquadrature in soggettiva in cui gli unici protagonisti sono i momenti introspettivi e onirici del protagonista.

In questo lungometraggio il regista mette in dubbio la realtà, l’indagine viene scomposta su più livelli, le connessioni tra gli eventi appaiono sconclusionate e i pezzi del puzzle non si incastrano in modo logico poiché riflettono l’umore e l’animo del protagonista e non l’andamento dell’indagine stessa.

Interessante appare la ricostruzione e la descrizione di una irriconoscibile Cina, in cui a livello narrativo è ancora più giustificata la sensazione di grigiore e il senso di irrequietezza che anima i suoi abitanti. Infatti, in un tempo in cui gli unici principi che muovono le persone sono il disonore e la discrezione e dove solo l’obbedienza conta più di ogni altra cosa, Wei Shujun riesce a sottolineare come il dover seguire le regole imposte dalla società possa portare a un punto di non ritorno.

 

 

Diana Della Mura

19 aprile 2024

 

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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