Domenica, 24 Novembre 2024
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Intervista a Diego Santangelo, regista di ‘A Muzzarell’, nei cinema dal 15 febbraio 2024

 

A pochi giorni dall’uscita della sua opera prima, abbiamo incontrato Diego Santangelo e ci ha raccontato del suo primo film e di altri progetti in cantiere.

 

Parliamo prima al regista e presentiamolo: chi è Diego Santangelo?

Mi definisco uno che ancora sogna e gioca come un bambino. Nonostante io abbia 62 anni e sia nonno, non smetto di vedere la vita e tutto con estremo entusiasmo e con occhi ed animo sempre pronti a scoprire cose nuove. Sono fotografo, ho lavorato per anni nel mondo della produzione visiva, ma sentivo che era giunto il momento di provare – appunto – un’altra esperienza. Perché non si smette mai di crescere, no?

 

Parliamo un po’ di questa opera prima...

È stata un’esperienza meravigliosa, iniziata due anni fa. Ho pensato ad una storia semplice, che potesse ispirarsi ad una visione neorealista, come facevano i vecchi maestri del Cinema. Abbiamo lavorato con poche risorse. La sceneggiatura è stata scritta anche basandoci sul fatto che i luoghi e le realtà avessero fatto da protagonisti con la fotografia, insieme ovviamente all’enorme bacino di “characters”, fuori dalla dizione, dalle scuole e dalla recitazione studiata. Volevamo spontaneità e l’abbiamo trovata in attori veramente bravi, a partire dai giovani protagonisti.

 

Perché Napoli?

Napoli ha una storia cinematografica enorme alle spalle. Da sempre, praticamente, accoglie e ospita il Cinema. Per anni – e tuttora – è stata negativizzata, ma rimane sempre un territorio fecondo di storie da raccontare. Ci sono tornato dopo vent’anni di vita internazionale. È una città che soffro, che amo, che elaboro e filtro con gli occhi di un bambino. Non l’ho cercata però per temi cari a pellicole che vanno per la maggiore, anche se ne sono purtroppo presenti, ma perché facesse da sfondo ad una storia di adolescenza, che vive un malessere proveniente dal profondo.

 

Il tema principale del film sembrerebbe essere quello del viaggio, è così?

Un tema intramontabile, caro a libri, oltre che ad altre pellicole. Nel viaggio si vede, si vive, si cresce e si pensa. Ha permesso, a noi e ai personaggi, di vivere e girare nei luoghi del mito oltre che della storia. Pensiamo a Castel Volturno. Fazione associata ai Casalesi e ricordata per questo, ma ci sono luoghi legati al mito romano. Oppure Bagnoli, di cui non vediamo che un solo spiraglio, ma è ancora evidente la traumatica chiusura per il tessuto sociale. Il personaggio di Daniele è un muschillo per errore e guida il motorino: questo gli permette di passare in vari luoghi del passato

 

C’è anche però un accenno alla favola…

Ovvio! Pensiamo alla trama: un piccolo che attraversa il mondo esterno per poter passare da una casa a lui cara verso la nonna per portargli da mangiare. 

 

Cappuccetto rosso!

Esatto! L’allusione c’era ed era voluta. Non per niente, Martina – altra piccola protagonista – porta un abito rosso, che inizialmente doveva portare Daniele. Attraversando luoghi del mito, come in una favola e in una storia epica, il protagonista incontrerà personaggi gentili che daranno lui insegnamenti e correzioni utili ad una maggiore presa di coscienza. Parte di questo percorso, sarà fatto di silenzi, che prenderanno voce grazie alla colonna sonora, firmata da Adriano Pennino, che permette alla pellicola di avere diversi livelli narrativi.

 

Quali sono i prossimi progetti?

Intanto ci dobbiamo occupare di questo film: sarà presentato in quindici Festival riguardanti il cinema indipendente. Già sappiamo che questo film avrà un sequel, dedicato al personaggio di Martina, ma la produzione sarà più internazionale: ci sarà ad esempio Christopher Lambert. Non ci dimenticheremo mai, però, del nostro Sud e senza dimenticare l’analisi e la ricerca della redenzione, della fuga e della ricerca di risposte. Siamo sempre convinti che la Bellezza ci salverà: sia emotiva che quella che ci circonda.

 

Qualche consiglio per gli spettatori?

Lo do anche agli addetti ai lavori: proviamo a togliere un po’ di Materia che invade la nostra vita e lasciamoci condurre di più dalla Storia e dall’Ideale.

 

 

 

Francesco Fario

11 febbraio 2024

Il soprano lirico Olesia Mamonenko non è solo una delle giovani voci più interessanti del panorama lirico contemporaneo, ma vanta un curriculum invidiabile, nonostante la giovane età.

  

Qual è stato il momento della sua vita dove ha capito che il canto sarebbe stato il suo futuro?

Sono sempre stata una bambina vivace, intenta a ballare, cantare e a fingere di suonare il pianoforte. Ho sempre desiderato diventare una cantante e lo dichiaravo apertamente a tutti, mostrando un grande entusiasmo. Ero talmente convinta della mia scelta che mia nonna, insegnante di pianoforte, notò una certa predisposizione unita alla passione per la musica e a cinque anni cominciai a prendere lezioni di pianoforte. Successivamente sono entrata al Ginnasio d’Arte, dove mi sono specializzata in pianoforte. Durante i miei studi sentivo nel cuore che il canto era una vera passione per me. A sedici anni, convinsi mia nonna a farmi iniziare le lezioni di canto con una insegnante che aveva una lunga carriera nel Mariinsky Teatro a San Pietroburgo e così il mio sogno di diventare una cantante lirica ha cominciato piano piano a realizzarsi.

 

Intervista a Eugenio Guarducci, direttore artistico del Todi Festival, in scena dal 26 agosto al 3 settembre 2023 a Todi

 

Come sarà quest’anno il festival?

É un festival che vuole “ascoltare ciò che accade”, dal punto di vista della scena contemporanea. Siamo alla XXXVII edizione, l’ottava della mia direzione e cerchiamo di mantenere fede alla linea. Come sempre abbiamo affidato a un grande artista contemporaneo la grafica del festival, quest’anno Ugo La Pietra, che ha creato per noi il manifesto della rassegna, una pittura segnica che rappresenta il rapporto tra architettura e natura e che il festival omaggerà con la mostra temporanea “Effetto randomico” curata da Marco Tonelli.  Ho avuto la fortuna di rincontrare Ugo La Pietra dopo parecchi anni ed è stato un incontro felice. All’epoca La Pietra curò per la prima edizione di Eurochocolate l’esposizione “Dolce ceramica”. 

 

Lo spettacolo di aperura è affidato a Iaia Forte con lo spettacolo “Vita meravigliosa” un omaggio a Patrizia Cavalli, ce ne parla?

É un omaggio alla poetessa Patrizia Cavalli, cittadina di Todi e venuta a mancare un anno  fa, già lo scorso anno avremmo desiderato farlo, ma i tempi non erano sufficientemente maturi. Iaia Forte era una carissima amica della Cavalli, il titolo dello spettacolo è il titolo di una raccolta di poesie dell’autrice umbra, su cui l’attrice napoletana ha costruito una drammaturgia che ha come tema uno dei motivi dominati della scrittrice; la sua visione dell’amore, intesa come legame estremo tra gli esseri umani. Lo spettacolo verrà accompagnato dalla musica live della cantante Diana Tejera e siamo davvero curiosi di vederne il debutto, sabato 26 agosto alle 21.00.

Una lunga intervista con il cantante per ripercorrere una carriera costellata di grandi incontri, da Kleiber alla Olivero, da Strehler a Muti.

 

 Incontriamo oggi Claudio Giombi,  basso baritono dalla lunga carriera e  dal repertorio vastissimo.

Cantante di spessore vocale notevole e soprattutto di grande intensità scenica, capace di essere un magnifico Scarpia ed un acuto Don Giovanni, fa parte di quegli interpreti che negli anni d’oro del melodramma, si è distinto per affidabilità e competenza nei ruoli di carattere, figure molte volte determinanti per la narrazione drammaturgica, con parti spesso brevi ma tutt’altro che semplici se correttamente eseguite.

Divenne presto un vero esperto in questo ambito, tanto da essere richiesto esplicitamente da alcuni  fra i più grandi Maestri del Secondo Novecento, da Kleiber a Karajan, da Gavazzeni a Muti.

Una carriera importante, che forse ha limitato la popolarità, che sicuramente sarebbe stata maggiore se avesse scelto ruoli  di maggior rilievo, ma che gli ha permesso  di vivere da protagonista spettacoli  che sono entrati nella storia del teatro: fu Sonora accanto a Magda Olivero in ‘La Fanciulla del West’; Leporello con Cesare Siepi; Guglielmo nel ‘Così fan Tutte’ diretto da Peter Maag e con la regia di Mansouri con la Sciutti, Lisa Della Casa, Biancamaria Casoni, Paolo Montarsolo;  Melitone a Parma con Corelli e con Bergonzi a Barcellona, solo per fare qualche nome.

Giombi, che passa i mesi invernali a Casa Verdi ed il periodo estivo sulla costiera triestina,  è  sicuramente un vero vulcano di attività, dalla scrittura alla recitazione, anche grazie a delle basi culturali solide, una sensibilità raffinata ed un senso critico ed autocritico decisamente raro.

 Questa intervista si propone come una occasione un po’ sopra le righe per domande alle volte anche scomode ad  un artista coerente e coraggioso, sicuramente umile  e generoso, che ha scritto pagine musicali memorabili.

  

 

Cominciamo chiedendole che consigli si sente di dare  ai giovani che vorrebbero diventare cantanti lirici? Quali sono secondo lei le doti principali che devono avere?

Cominciamo con la domanda più difficile, insidiosa e forse il quesito a cui ci tengo di più.  Per rispondere alla domanda che forse molti si sono fatti “A cosa è servita la mia presenza su questa terra?” La mia risposta è rimasta immutata nel tempo: “Contribuire a fare il meglio, cercando di esprimerlo e farlo comprendere”. Perciò i miei anni d’insegnamento alla Scuola Civica di Milano ed ora a Casa Verdi sono stati e sono i più belli. Costruire dal nulla una vocalità o peggio correggere i difetti provocati dall’inesperienza o dal cattivo insegnamento, sono momenti di soddisfazione, ti affidano il destino di un giovane, il suo percorso artistico che tu inizi e poi spesso altri distruggono. Un consiglio, fare quello che ho fatto per riuscire, seppure con mezzi vocali modesti ed una scuola di canto incompleta.

 Partire dallo studio teatrale. Oggi, più di ieri, c’e bisogno dell’interpretazione. I primi piani nelle riprese televisive spesso mettono in evidenza le insicurezze, l’immobilismo espressivo o peggio, l’imposto vocale, che non si addice al ruolo e quindi la noia dello spettatore. Registi stranieri che    malapena conoscono qualche parola d’italiano, affrontano il verismo stravolgendolo o peggio cercando di far  diventare veriste  le opere romantiche, e viceversa. Quindi ritorno alla domanda: quali le doti principali di un cantante?  Essere intelligente, opporsi a regie inappropriate, studiare il personaggio prima attraverso la recitazione del testo sulle battute musicali, ovvero declamando con il ritmo della battuta, registrandoti, solo dopo aver assimilato bene il testo accostarsi alla parte musicale, cercando di trovare i colori necessari al ruolo. Purtroppo gran parte degli studenti di canto provengono da Paesi con tradizioni e lingue incompatibili per la voce. Per commemorare il compositore, oggi, ahimè assai ingiustamente dimenticato, Ermanno Wolf-Ferrari, volli dedicargli un Saggio di Canto. Preparai tutto il primo atto in costume del ‘700 con l’opera  ‘I Quattro Rusteghi’, in dialetto veneziano come la commedia di Goldoni. I soprani due giapponesi, un’americana, un tenore coreano. Conoscevano male l’italiano, figurarsi il dialetto. La mia proposta fu quella d’invitarli a Venezia una settimana. Ogni mattina ai mercati, tra la popolazione ascoltando le cadenze musicali del loro dialetto. Bene chi vuole può ascoltare una selezione di quel saggio su Youtube. Una cosa di cui vado fiero e dimostra come il canto nasce dalla parola. 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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