Lo spettacolo teatrale Terra degli uomini liberi consta di due monologhi ed un'epistola per voce e corpo femminili e tale partitura drammaturgica esiste e vive grazie a quella musicale.
Si tratta di tre storie vere, tre realtà dotate di cruda quanto amorevole pregnanza che si donano sul palcoscenico, dietro una loro esplicita richiesta, stante l'urgenza morale, civile e soprattutto umana non rinviabile di (ri)vivere e (ri)presentarsi in un contesto necessariamente performativo.
In scena, le tre protagoniste interpretate da Mariangela Imbrenda, odierne eroine tragiche, sorelle per nulla minori di numerosi personaggi femminili resi immortali dai classici della drammaturgia mondiale, rivendicano il diritto, atrocemente negato, di narrare le loro vicende, esprimersi ed essere comprese.
Siamo le profughe universali. I nostri nomi sono S., Y., A,. Fateci spazio. Abbiamo la nostra storia da raccontarvi. Aprite bene occhi ed orecchi...
Fino ad ora, in quanto donne e prima di tutto esseri umani, hanno visto in terra, sul corpo e nel cuore ripetutamente violati e straziati, il vero volto della morte: condannate a soffrire dai governi delle terre d'origine, dai carnefici incontrati lungo i viaggi della speranza, da leggi non scritte dei clan di appartenenza o da norme ben codificate dei Paesi di approdo, oltre ogni ammissibile, sopportabile e spesso immaginabile limite, hanno subito torture e violenze estreme per esser così silenziate e ridotte a non vivere più.
Fino ad ora, però in quanto donne e prima di tutto esseri umani, non hanno mai smesso di combattere. Senza armi hanno vinto contro tutto l'orrore del mondo, continuando ad amare la vita, la libertà, la bellezza ovunque essa potesse risiedere o venir cercata.
Diversissime per origine e storia, l'iraniana S. l'etiope Y. e l'ivoriana A. sono accomunate dall'essere giunte in Italia, dove provano, senza perdersi d'animo a riannodare i fili delle loro esistenze spezzate.
Un itinerario, senza dubbio, ancora da ipotizzare e costruire.
Un altro futuro da inventare e forse un giorno di nuovo da raccontare con immutate dignità e compostezza formale e verbale.
S., Y., A., dotate di ieratica presenza, sanno stare sul palcoscenico della vita di cui il teatro aspira ad esserne specchio fedele fin dalla notte dei tempi: le tre protagoniste sanno “essere” anche, come in un coro greco, tutte le voci udite nella loro esistenza ferita recuperando la potente armonia tra un discorso privato e al tempo stesso collettivo.
Gli spettatori, perpetuando e rinnovando il rito culturale del teatro, vengono posti di fronte ad una scelta consapevole di semplicità, come sinonimo di verità e non di semplificazione o povertà della messinscena, giacché quando nella vita reale si raccontano storie estremamente tragiche quali quelle vissute di Terra degli uomini liberi, il senso del pudore si rafforza, si sublima ed evita di aderire ad un prodotto grandguignolesco, di certo più adatto alle tentazioni di un cinema di forte impatto.
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