Domenica, 24 Novembre 2024
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Recensione di Pasolini Caravaggio di e con Vittorio Sgarbi, in scena al Teatro Olimpico dal 2 al 4 dicembre 2022

Cosa possono avere in comune lo scrittore, poeta, regista, sceneggiatore Pierpaolo Pasolini, appartenente al 1900 e il pittore Michelangelo Merisi conosciuto come Caravaggio vissuto tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600? Nell’immediato, ci sembra poco, ma solo ad uno sguardo superficiale. La nuova lectio magistralis-spettacolo di Vittorio Sgarbi, ci stupisce per la ricchezza di particolari e aspetti di vita che i due artisti condividono nel loro inconsueto percorso di vita. Entrambi artisti di profondo spessore, vivono in opposizione col loro tempo per il loro stile di vita e per la precocità e visionarietà del loro intelletto. Giungono entrambi a Roma all’età di 25 anni per avere la possibilità di vivere nella libertà di costumi castrata nei piccoli centri di provenienza. Non vogliono rinunciare alla ricerca del proprio piacere e al diritto di vivere liberamente la propria omosessualità, Pasolini arriva a pagare e a nascondersi per questo. Ma prescindendo dalla comunanza di molti aspetti della personalità è l’accostamento del loro pensiero e della loro arte a sconvolgerci per le inaspettate consonanze. Entrambi sono gli artisti della realtà, rappresentata nella sua autenticità, senza abbellimenti, senza retorica, senza fronzoli. Ricercano persone che appartengono alle medesime classi sociali, con le stesse caratteristiche: l’umanità più degradata, allontanata da tutti, ignorata dai borghesi e dai benpensanti. La riprova di questo comune interesse è la sorprende somiglianza tra alcuni “ragazzi di vita” e alcuni protagonisti delle tele caravaggesche, come ad esempio tra Pino Pelosi, il suo assassino, e i vari Bacco in versione giovanile e malata ritratti da Caravaggio.

Recensione de I Vicerè in scena al Teatro Quirino dal 29 novembre al 5 dicembre 2022

 

Siamo nell’Italia risorgimentale, nel periodo a cavallo tra le ultime luci del regno borbonico e la nascita dello stato unitario. Precisamente ci troviamo in Sicilia, a Catania, e assistiamo a questo fondamentale momento evolutivo della storia italiana, attraverso le vicende che coinvolgono tre generazioni appartenenti alla famiglia Uzeda di Frascalanza, discendente dei Vicerè spagnoli da cui l’opera trae il titolo. La mente di Federico De Roberto, l’autore del romanzo da cui è stato partorito l’adattamento teatrale, ci immette in un spaccato di vita sociale la cui narrazione si dipana attraverso dinamiche di potere, denaro e ipocrisia sociale. Al pari di Tomaso da Lampedusa per i contenuti e di Verga per il potente impianto narrativo naturalistico, i Vicerè risultano un ritratto realistico e agghiacciante di un’Italia meridionale conservatrice e reazionaria, attaccata allo status quo e intenzionata a perpetuare le disuguaglianze sociali tra le classi privilegiate e quelle subalterne, nonostante si proclamino gli ideali risorgimentali e gli ideali di libertà e democrazia. All’interno di un ambiente familiare anaffettivo e votato solo alla ricerca del potere, alcuni personaggi provano ad essere autentici e a scardinare le dinamiche familiari, come nel caso della zia Lucrezia che, contro tutti, sposerà Giulente, un rivoluzionario seguace di Cavour, o come nel caso di Consalvo, che incarna il modello del ribelle che passerà tutta la vita in opposizione col padre. Entrambi però subiranno una metamorfosi che li porterà ad assimilarsi al resto della famiglia sul finale. 

Recensione dello spettacolo La Fortuna con l'effe maiuscola, di Eduardo De Filippo e Armando Curcio. Regia di Raffaele De Bartolomeis. In scena al Teatro Petrolini dal 24 al 27 Novembre - Dal 1 al 4 Dicembre 2022

 

Un tavolo e qualche sedia di legno, pareti scarne e poco più. Della dismessa fabbrica di ghiaccio  è rimasto solo il freddo, quasi a ricordare e rivendicare la veste originaria della dimora che attualmente ospita la famiglia Ruoppolo, composta da Giovanni (Raffaele De Bartolomeis), la moglie Cristina (Imma Priore) ed Erricuccio (Mario Sapia). Questi è il figlio adottivo della coppia, un carattere ostinato e bizzarro: all'apparenza non perfettamente presente mentalmente, ma con una spiccata maestria nel guadagnarsi da vivere con azioni moralmente rivedibili e, per tale ragione, mal tollerato dal padre adottivo. La famiglia versa in situazione di totale miseria e don Giovanni, di professione scrivano, è costretto ad arrangiarsi con lavori saltuari, affidandosi al buon cuore dei “datori" di turno. È il caso dell'avvocato Manzillo che, dopo averlo ricompensato per l'ottimo svolgimento del lavoro assegnatogli, gli propone inoltre, una ghiotta occasione per affrancarsi parzialmente dalla sua condizione miserevole. Il baroncino Sandrino di Torrepadula (Luca Di Cecilia), infatti, è innamoratissimo della figlia del marchese ed intenzionato a sposarla ma, essendo orfano, non incontra i favori del padre di lei che non saprebbe come giustificare in società la condizione del genero. La soluzione escogitata dall'avvocato, in accordo con il baroncino, è quella di far riconoscere, artefattamente, a don Giovanni la paternità del giovanotto in cambio di cinquantamilalire. In tal modo, il giovane avrebbe un padre naturale e la famiglia Ruoppolo un pò di “respiro” economico. In contemporanea, arriva dall'America la notizia della morte del sign. Federico, il fratello ricco di don Giovanni, che lascia un'eredità da capogiro che quest'ultimo ha diritto di percepire per intero. Ma a una condizione: non avere figli naturali poichè, in caso contrario, l'eredità passerebbe direttamente a loro. La questione verrebbe velocemente regolata dal notaio Bagnulo, colui che ha informato della morte di don Federico. L'entusiasmo di don Giovanni viene rapidamente smorzato non appena realizzato che, avendo poco prima accettato di millantarsi padre naturale del genero del marchese, perderà il diritto all'eredità, arricchendo ulteriormente il “figlio naturale”. Risolutoria sarà la saggezza della scelta finale di don Giovanni, ben consapevole che la felicità implica sempre, per paradosso, la sofferenza.   

Commedia in tre atti di Eduardo De Filippo e Armando Curcio, datata 1942, dove il chiaro scuro dell'esistenza umana emerge prepotentemente: ad una disarmante  agiatezza si contrappunta una incolpevole miseria. De Filippo e Curcio indagano gli abissi emotivi di chi, inseguendo invano il proprio riscatto, diviene vittima di se stesso e della propria ingenuità, inebriata, questa, da facili suggestioni. La risata e la malinconia si inseguono vicendevolmente fino a fondersi, evidenziando come la stessa esistenza umana è un paradosso di comicità e tragicità. L'umorismo di De Filippo nasce dalla amara constatazione della finitezza e difettosità della vita, come, parimenti, la stessa nota malinconica è il sottotesto dell'immediatezza della risata. La vita si muove per opposti come questa commedia ci insegna, che racconta forse la contrapposizione più paradossale: l’ imprescindibilità della sofferenza per raggiungere la felicità.  

Recensione de L’uomo più crudele del mondo in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 30 novembre all’11 dicembre 2022

 

Ogni cosa, come insegna un vecchio adagio, possiede due realtà, come le facce di una moneta: una visibile, nota a tutti, quasi lapalissiana, che evidenzia tutto, anche il più piccolo difetto; e una nascosta, sottostante, che nel buio potrebbe rivelare qualsiasi cosa, dalla preziosità di un materiale alla peggiore delle corrosioni. Per conoscerle entrambe, bisogna girarle e vedere: e se poi quella visibile, fosse la peggiore? Su questo concetto si basa L’uomo più crudele del mondo, scritto e diretto da Davide Sacco con due interpreti d’eccezione: Francesco Montanari e Lino Guanciale.

Quest’ultimo è Paolo Veres, proprietario della più importante fabbrica d’armi d’Europa, che, sulla sua scrivania d’ufficio, risponde alle domande di un giovane giornalista (Montanari). Già dalle prime battute, l’intervistato si trasforma in intervistatore, cambiando immediatamente atmosfera e facendo prendere alla chiacchierata una strana piega. Personalità e storie, si sovrappongono in un ritmo calzante, mostrando la vera faccia dell’uomo più crudele del mondo.

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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