Venerdì, 18 Ottobre 2024
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Eduardo e Cristina: Il centone ritrovato

Il ROF ripropone un lavoro quasi dimenticato di Rossini

 

Eduardo e Cristina è un'opera di Gioachino Rossini, per la prima volta inserita nel programma del ROF di Pesaro e presentata nella edizione critica, curata da Alice Altavilla e Andrea Malnati per la fondazione Rossini e trasmessa in leggera differita su Rai 5.

Si tratta di un centone, cioè uno spettacolo realizzato utilizzando brani  provenienti da altre opere, di solito non particolarmente note, un genere abbastanza diffuso nell’Ottocento, che quando andò il scena, il 24 aprile 1819 al Teatro San Benedetto di Venezia , ebbe una entusiastica accoglienza, testimoniata  da una trentina di repliche in due mesi.

In questo caso, le arie vennero riprese da altri lavori sono 19 su 26, tratte da ‘Adelaide di Borgogna’, ‘Ermione’, ‘Ricciardo e Zoraide’ e ‘Mosè in Egitto’  ed i brani composti appositamente sono di fatto elementi di collegamento e brevi strutture musicali, ma l’insieme è di grande interesse, con una sua identità ed una buona valenza sia musicale che teatrale.

Prova ne è che nei primi anni questo titolo ebbe una grande risonanza, tanto che nel 1820 venne ripreso alla Fenice con Nicola Tacchinardi amatissimo tenore e padre della celebre Fanny, a Bologna, Cremona, Lucca, Reggio Emilia, Vicenza, Ravenna; nel 1821 al Regio di Torino, sempre con Tacchinardi e con Giuditta Pasta ed a Bergamo; nel 1821 a Perugia e Modena; nel 1822 a Lisbona ed a Trieste; a Milano nel 1824 alla Canobbiana e nel 1828 alla Scala; e così via nei principali teatri di tutto  il mondo, per arrivare al 1840, anno dell’ultima rappresentazione, fino alla ripresa della Deutsche Rossini Gesellschaft in collaborazione con il festival Rossini in Wilbad  che nel 1997 allestì la prima ripresa scenica in epoca modera e , vent’anni dopo, in forma di concerto, in una revisione preparata sui materiali musicali da Anders Wiklund, con due magnifiche voci italiane: la suggestiva Laura Polverelli e la raffinata Silvia Dalla Benetta, grande interprete rossiniana che avrebbe meritato sicuramente maggiore attenzione dal ROF.

La trama è piuttosto esile: Cristina, figlia del re di Svezia, ha sposato segretamente Eduardo, dal quale ha avuto un figlio.

Quando la principessa viene promessa in sposa al principe Giacomo, la vicenda viene  alla luce e Cristina ed Edoardo finiscono in prigione.

Il giovane condottiero viene liberato da Atlei, amico fidato,  per un improvviso attacco dei  russi, che Edoardo riesce a sconfiggere.

Dopo aver vinto, il giovane rimette la vita al re Carlo, chiedendo libertà per Cristina e loro figlio.

Il monarca, però, colpito dal coraggio e dal valore dell’uomo, libera anche  lui ed acconsente alle nozze con la figlia.

Il ROF in questo allestimento mette in campo un cartellone interessante.

Dal punto di vista visivo il protagonista è Stefano Poda che, con la collaborazione di Paolo Giani, come sua abitudine firma regia, scena, costumi, luci e coreografie.

Poda  è stato al centro di un amplissimo dibattito in occasione del suo allestimento areniano dell’Aida.

Artista originale e di coraggiosa coerenza,  divide da sempre il pubblico: i melomani più tradizionalisti gridano allo scandalo, si indignano per le trasposizioni d’epoca, invocano il rispetto per i compositori a loro dire oltraggiati; coloro che amano le sperimentazioni e sono più aperti alle riletture, si entusiasmano per le capacità interpretative e le brillanti soluzioni sceniche.

Va anche sottolineato che gli spettacoli di Poda hanno resa diversa dal vero, rivelando interessanti geometrie, un gioco di profondità, una suggestione magnetica ottenuta lavorando sulle masse, piuttosto che in televisione, dove  molte delle sfumature vanno perse.

Va anche sottolineato, però, che se la finalità in Arena è di avere un pubblico che riempia l’enorme catino, il ROF ha una cifra differente, fortemente documentaria. Le riprese degli spettacoli dele antiche stagioni hanno avuto un valore determinante per la diffusione della Rossini Renaissance ed hanno permesso una rapida conoscenza di titoli fino ad allora dimenticati o comunque poco rappresentati.

Difficile dire se la scelta di un artista come Poda, che comunque ha una impronta forte e spesso prevaricatrice sulla trama, possa rispondere alle richieste  del festival ed alle aspettative del pubblico.

Senza entrare in questo ginepraio, peraltro irto di pregiudizi e preconcetti inconsistenti, l’allestimento pesarese ci mostra nella sinfonia una suggestiva coreografia, una sorta di lotta arcana fra  statue greche che prendono forma umana e che ci introduce in una dimensione  fuori dal tempo, che Poda frequenta spesso. 

Nella caccia  alle autocitazioni, emerge fortissimo il richiamo alla ‘Thais’ al Regio, ma fermiamo qui il gioco  dei rimandi, che poco serve a cogliere  le caratteristiche dell’allestimento, se non a sottolineare l’autoreferenzialità del regista, che è sua nota distintiva.

L’apertura del sipario è di grande impatto, con sculture di corpi ed un dispiego di forme umane archiviate, una sorta di deposito museale che si trasforma in quinta teatrale.

Molto bravi i ballerini, che  dimostrano una grande sintonia con le frasi musicali, palesano  un interessante rapporto fra fisicità e ritmo. 

Certo superato il primo impatto, si ha l’impressione di una cifra stilistica che si fa sempre più frequente nelle installazioni di Podda e la continua presenza in scena di danzatori che si muovono, da un lato rende l’insieme una suggestiva performance, dall’altro forza la decontestualizzazione della vicenda e tende a distrarre dai cantanti, che certamente non sono valorizzati dal punto di vista interpretativo.

Potremmo portare in campo la citazione dei pulpiti dei Pisano, della tauromachia michelangiolesca e tanti altri esempi artistici. Ma non dimentichiamoci che siamo a teatro e che una idea suggestiva  non può essere dilatata all’infinito senza diventare ripetitiva e rischiare di risultare noiosa.

Certamente in spettacoli di questo tipo l’opera lirica è al servizio dell’allestimento e non viceversa . ci si potrebbe domandare quanto sia corretto, ma soprattutto se questo sia adatto in una azione di recupero come questa.

Di fatto lo spettacolo è giocato su una scena fissa, con una presenza incombente di corpo di ballo e coro in scena, che raccontano una storia che potremmo definire parallela, che non chiarisce nulla della vicenda e che propone  alcuni schemi già visti, sicuramente suggestivi.

In definitiva, si tratta di una intensa installazione artistica,  certamente ricca di spunti e suggestioni, che aggroviglia la vicenda, distrae dal canto e  spesso racconta qualcosa  in contrasto con la partitura.

Una messa in scena sulla quale, come sempre, si apriranno dibattiti che attireranno l’attenzione dei mezzi di informazione ma che servono più al botteghino che all’Arte.

Dal punto di vista musicale, la sicura Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI è diretta da Jader Bignamini, Maestro  dalla brillante carriera internazionale, che affronta la partitura con il rigore, la personalità  e l’eleganza che da sempre gli sono propri.

La sinfonia iniziale è risolta con mano brillante ed entusiasma il pubblico che tributa ampi applausi.

Durante tutta l’opera la direzione appare sicura, con tempi appropriati, una nitida visione del lavoro, anche quando l’azione visiva annebbia la trama.

Elegantissimo  musicalmente il finale del primo atto, grande pezzo d’insieme, che la direzione riesce a distillare con poesia, offrendo ad ognuno degli interpreti il giusto spazio, senza forzature e tenendo salda la visione d’insieme, nonostante il gran muoversi in scena, francamente spesso incomprensibile  e spesso in contrasto con la narrazione drammaturgica.

Il coro del Teatro Ventidio Basso , diretto da Giovanni Farina, offre una buona prova.

Il Re Carlo è Enea Scala, esperto interprete rossiniano, che  conferma di essere cantante tecnicamente inappuntabile, sicuro negli acuti, con un centro omogeneo e ben gestito.

Scenicamente elegantissimo, forse troppo giovane ed aitante per essere realmente credibile quale padre di Cristina, interpreta con sicurezza e misura il complesso ‘D'esempio all'alme infide ‘, trovando colori di grande suggestione.

‘Fuggi indegna, orror mi fai’, nella premessa, è porto con una partecipazione che racconta il conflitto fra il re ed il padre.

La frase ‘Giusto Ciel io reggo appena’, brilla per le sfumature dell’appena, capace di  mettere in luce la difficoltà del momento vissuto da Carlo.

Quest’aria decisamente complessa, consente a Scala di mettere in evidenza le sue belle note basse, solide e suggestive e viene salutata da grandi applausi e da alcune richieste di bis.

Il duetto del secondo atto ‘Ahi, qual orror, oh stelle!’ permette al tenore di cesellare un’altra bella pagina rossiniana, ricca di sfumature e di intensità, in contrasto con la determinazione dell’interpretazione di Cristina offerta dalla Bartoli, peraltro abbigliata da dark lady.

Giacomo, sposo mancato, è interpretato da Grigory Shkarupa, basso russo poco più  che trentenne che mette in evidenza una voce interessante ed una sicura dizione, che emergono soprattutto nella bella aria del secondo atto ‘Questa man la toglie a morte ‘. Andrebbe curata meglio l’espressività del volto, spesso truculenta ed eccessiva, ma si tratta di un peccato veniale.

 

Atlei è Matteo Roma, tenore giovane e dalle interessanti prospettive,  che riesce a superare le difficoltà della parte che prevede una ampia estensione e fiati iperbolici. Certamente l’esperienza regalerà qualche sfumatura in più  e permetterà di limare alcune asperità, ma la prova è decisamente positiva.

Anastasia Bartoli è Cristina. Il soprano sta affrontando un repertorio decisamente eterogeneo: Macbeth, Don Giovanni, Vedova  Allegra, Ernani, Pagliacci, Gloria, solo per citare i titoli dell’ultimo anno e mezzo. 

Di fatto questo è il debutto rossiniano e se da un lato assolve con sicurezza le richieste della partitura e fa intuire un notevole potenziale belcantistico, dall’altro la sua voce  sembrerebbe dover approfondire ancora i  colori e le sfumature proprie al compositore pesare, forse anche a causa di una dizione non sempre chiara.

Il soprano dovrà scegliere quale sia il repertorio più adatto alla sua voce ed agire di conseguenza nelle  scelte.

Certamente non si possono rilevare errori o mancanze rilevanti e va sottolineata la bravura della Bartoli a reggere le richieste della regia, che durante il grande  duetto ‘In que' soavi sguardi’  deve arrampicarsi in una sorta di gabbia mentre canta. Riesce a farlo senza  difficoltà apparenti e questo dimostra un controllo tecnico decisamente notevole, che comunque non evita né qualche lieve asperità  dei suoni acuti, ne’ una certa estraneità ad alcune cifre rossiniane. 

La parte, pesantissima, è risolta comunque con bravura ed il pubblico la premia con ampi consensi sia alla fine delle arie che alla fine dello spettacolo

Daniela Barcellona è stato Eduardo. Siamo davanti ad una cantante rossiniana d’eccellenza, che nonostante una carriera trentennale ha una voce solidissima, che ha saputo amministrare con misura ed intelligenza. Gli anni hanno arricchito lo strumento di sfumature, ma soprattutto  hanno dimostrato una capacità rara di dare credibilità e spessore ai personaggi rossiniani, con un lavoro incrociato su musica e parola. 

Di grande impatto l’ingresso con ‘Serti intrecciar le vergini - Vinsi, ché fui d'eroi’, nel quale domina con sicurezza una scrittura decisamente complessa.  Scenicamente sicurissima, anche se i costumi non l’aiutano ad essere un credibile  condottiero, riesce a magnetizzare su di sé l’attenzione del pubblico, nonostante attorno a lei ci sia un gran movimento, visto che la regia riempie la scena di ballerini svestiti che danzano una suggestiva ma incomprensibile coreografia. Come sempre spettacolare la dizione, a conferma, come si diceva, di uno studio sul personaggio che porta il mezzosoprano a scolpire ogni termine, a  dare il giusto peso ad ogni parola. 

Francamente la sensazione è che sia un  merito che viene da ascrivere più alla coerenza stilistica della cantante che al lavoro registico, ma queste sono considerazioni senza reaqle fondamento.

Magistrale tutta la grande aria ‘Nel misero tuo stato - La pietà che in sen serbate’, il momento più intenso del secondo atto. Attorno alla Barcellona succede di tutto: è rinchiusa in una gabbia, che si muove; dentro una vetrina c’è una donna nuda; in un'altra un pezzo gigantesco di statua; i coristi in cappottone nero affollano parte del palcoscenico; intanto si palesa un via vai di ballerini in perizoma che smontano le gabbie. Ma niente di tutto questo distrae dalla bellezza del canto del mezzosoprano triestino, che supera con eleganza ed apparente semplicità  ogni  passaggio della complessa pagina, salutata da lunghi applausi a scena aperta.

Commovente ‘Salvami sposa e figlio’,  cantato con gusto e misura ad un altrettanto  raffinato re Carlo, costretto ad un costume incomprensibilmente più simile ad una sposa senza strascico che ad un monarca potente e vittorioso.

Alla fine il pubblico saluta tutti con applausi convinti, che sanciscono la riuscita della serata.

 

 

12 agosto 2023

informazioni

Eduardo e Cristina
Dramma per musica in due atti di T.S.B.
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di Andrea Malnati e Alice Tavilla

Personaggi e interpreti 

Carlo Enea Scala

Cristina Anastasia Bartoli

Eduardo Daniela Barcellona

Giacomo  Grigory Shkarupa

Atlei Matteo Roma

Direttore Jader Bignamini

Regia, scene, costumi, luci e coreografia Stefano Poda

Regista collaboratore: Paolo Giani

Maestro del coro: Giovanni Farina

Coro del Teatro Ventidio Basso

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI

Pesaro, 11 agosto 2023

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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