#libri stregati secondo appuntamento con la rassegna de La Platea che analizza i dodici finalisti del premio strega.
Oggi vi parleremo di due libri molto diversi tra loro, il primo di un autore noto e apprezzato, Gianrico Carofiglio, l'altro di un autore sconosciuto che ha esordito in grande stile: Jonathan Bazzi.
Iniziamo da Carofiglio:
La Misura del tempo stato definito: “Un romanzo magistrale. Una scrittura inesorabile e piena di compassione, in equilibrio fra il racconto giudiziario – distillato purissimo della vicenda umana – e le note dolenti del tempo che trascorre e si consuma.
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che l’avvocato Guido Guerrieri si trova di fronte nel suo studio non le assomiglia più. Non possiede più la luce di un tempo, è diventata una donna grigia. Le ingiurie degli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è perplesso dinanzi a tali vicende, ma accetta lo stesso il caso anche in memoria del tempo perduto che, in un passato non così remoto, la vedeva splendida e lucente.
È stato proposto per il Premio Strega da Sabino Cassese da cui è stato definito un vero e proprio "conte philosophique". “Dietro l'apparenza del “giallo" si celano insegnamenti profondi: la pluralità dei punti di vista; i diversi modi in cui si presenta la realtà; l'invito a dubitare della verità stessa.”
“Quando sei giovane e pensi a un mondo e a un tempo in cui tu non esistevi, la cosa non ti turba. Perché la storia sembra dotata di una direzione implicita che porta fatalmente al momento in cui sei tu a irrompere sulla scena. Il mondo senza di noi prima di noi è una lunga fase preparatoria.”
La misura del tempo non è solo un romanzo giallo in cui ritroviamo indagini, prigionieri, avvocati, c’è anche un substrato di riflessioni sullo scorrere del tempo, sulla morte, sul concetto di morale e sulla relatività della realtà che traspare nelle vicende narrate. Forse è questa profondità celata dietro la narrazione che ne fa un capolavoro da candidare al Premio Strega.
Lo stile del romanzo è tipico del suo autore, come sempre molto accurato, preciso, in cui nessun dettaglio viene tralasciato.
Tutti i luoghi e i personaggi sono descritti con esattezza e in maniera vivida. L'autore sembra ispirarsi a persone e luoghi reali che potresti incontrare da un momento all’altro.
Soprattutto ad essere descritto accuratamente è il protagonista, l’avvocato Guerrieri, di cui vengono bene evidenziate le peculiarità caratteriali, le indecisioni, i dilemmi. È un personaggio molto umano in cui il lettore si può facilmente immedesimare.
L’unico neo che si può trovare all’opera di Carofiglio è l’eccessivo tecnicismo giuridico in alcuni capitoli che lo rendono a tratti difficile da seguire per i non addetti.
Il secondo caso che analizzeremo oggi è Febbre
Un libro definito spiazzante, sincero e brutale, che costringe le nostre emozioni che ci costringe ad entrare in contatto con emozioni forti.
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta, grazie al web, un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato.
È stato proposto al premio strega da Teresa Ciabatti con questa motivazione: “Febbre di Johnatan Bazzi è un romanzo che testimonia un presente che è già futuro prossimo. Questa è una storia del tempo nuovo: perché il fuoco è sorprendentemente altrove rispetto a dove è stato messo fin qui da letteratura e senso comune. Esula dai giudizi e sposta il baricentro sull'accettazione delle fragilità.”
Febbre è una storia autobiografica che parla di violenza, sofferenza, omofobia e soprattutto di HIV.
Il racconto viaggia su due binari: il Jonathan adulto che si accorge di essere malato e scopre di essere sieropositivo e il Jonathan bambino, poi adolescente che scopre di essere gay e vive in una città che odia. Pian piano crescendo i due binari si ricongiungono e resta solo Jonathan adulto alla presa con la sua malattia.
Bazzi si racconta senza filtri, senza edulcorare gli argomenti trattati e questo rende la lettura di alcuni passi difficile da sostenere. Non è una lettura indigesta però, poiché quando racconta, utilizza quel pizzico d’ironia che lo rende scorrevole. La lingua utilizzata è ricca di termini colloquiali e dialettali, è un mix di linguaggi che fornisce originalità al racconto. Il ritmo è serrato, incalzante e travolge il lettore senza via di scampo. I personaggi sono ben tratteggiati, descritti in maniera immediata; c’è schiettezza in tutto ciò che narra l’autore.
Bazzi, con una narrazione così immediata, si concede un’autenticità assoluta poiché ha l’Hiv e con il virus vuole farci qualcosa: “Scriverne...rinominare quello che mi è successo, appropriarmene con le parole, per imparare, vedere di più: usare la diagnosi per esplorare ciò che viene taciuto.”
Con l’occasione , auguriamo buona lettura ai nostri lettori.
Debora Fusco
25 maggio 2020