Intervista a Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.
La stagione 2021/2022 si è conclusa con un buon ritorno a teatro degli spettatori fra marzo e giugno. Le premesse per la prossima stagione sono buone?
L’emergenza sanitaria ha radicalmente messo in discussione l’esistenza stessa delle pratiche performative, a partire dalla matrice generativa dell’esperienza scenica, ossia la compresenza di corpi e la condivisione del respiro. Un simile cambio di paradigma ha, dunque, sconvolto alle fondamenta il mondo teatrale, portando a un ripensamento di alcune categorie cardinali come la nozione di comunità e l’articolazione della dialettica dentro/fuori. In tal senso, premesso che è impossibile generalizzare, il periodo post pandemico che abbiamo già parzialmente attraversato in questi ultimi mesi, dopo un gennaio e febbraio ancora tempestosi, ma in termini di presenza di spettatori vivacissimi, e che ci apprestiamo a vivere nella prossima stagione, speriamo pienamente, induce qualche riflessione.
Che tipo di riflessione: la Covid-19 ha cambiato il modo di pensare il teatro, sia per gli spettatori che per gli addetti del settore?
Piuttosto che ragionare in termini di miglioramento o peggioramento, parlerei di una certa sensazione di spaesamento, per un verso, e di un cambio di passo e consuetudini, per l’altro, di fronte al quale l’impegno fondamentale è quello di interrogarsi costantemente sulle strade da intraprendere per rispondere alla crisi in atto.
Quella appena conclusa è stata una stagione con una programmazione, per ovvie ragioni, scaglionata e incerta. Cosa possiamo aspettarci dalla prossima stagione?
A livello della programmazione, il clima di assoluta incertezza caratteristico dei tempi che stiamo vivendo implica la necessità di lavorare su più piani paralleli, in modo da vagliare soluzioni flessibili e alternative: non è un caso che si guardi, con sempre maggiore interesse, a orizzonti temporali non così consueti per l’attività teatrale (ndr. come l’intervallo giugno-settembre) e a spazi di rappresentazione non canonici. Tutto ciò si accompagna a un’altra evidente trasformazione: parte del pubblico ha mutato le proprie abitudini fruitive, acquistando, ad esempio, i biglietti solo all’ultimo momento. In questo modo, le ordinarie consuetudini di pianificazione si ritrovano a essere disattese. Inoltre, nelle sale, da un lato si registra una flessione della presenza degli abbonati e, dall’altro, sembrano affacciarsi spettatori nuovi, con nuovi gusti e nuove aspettative.
Nella scorsa stagione però c’è stato modo di sperimentare come, forse, non sarebbe stato possibile senza l’emergenza pandemica. Qual è stata la risposta del pubblico e quali strade si potrebbero aprire per il futuro?
Il festival internazionale di teatro Presente indicativo, che ha abitato le nostre sale per l’intero mese di maggio praticamente con un debutto ogni sera, ha rappresentato una sfida che la città di Milano ha raccolto con vivacità e sensibilità. Non era scontato: il pubblico ha reagito con interesse, curiosità e partecipazione, determinando, per alcuni spettacoli, il tutto esaurito. Un risultato significativo in un torrido principio di primavera che spingeva più facilmente sulle spiagge che al chiuso di sale teatrali. Anche lo spazio di socialità sul Sagrato dello Strehler, pensato insieme a “Mare Culturale Urbano” allo scopo di rigenerare un’idea di comunità, non ha rappresentato solo un prolungamento conviviale degli spettacoli, ma ha coinvolto gli stessi artisti in incontri ‘estemporanei’ con gli spettatori, annullando di fatto ogni barriera tra chi è in scena e chi è in platea, suggerendo in modo prepotente la necessità, soprattutto tra i giovani, di tornare a celebrare il rito collettivo del teatro.
Enrico Ferdinandi
14 luglio 2022