Domenica, 24 Novembre 2024
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Intervista a Mircea Cantor ideatore della performance Il suono del mio corpo è la memoria della mia presenza che andrà in scena al Teatro greco di Siracusa il 30 Agosto 2020

 

Una costante in tutte le sue realizzazioni è la ricerca di immagini universali, in questo caso lei parla della voce umana, in che modo la voce intesa come suono del corpo permette di costruire un’immagine, come dice nella presentazione dello spettacolo di “vedere con le orecchie”.

Per me la voce umana è un elemento molto importante nell’atto creativo, ad esempio un cieco costruisce attraverso il suono il proprio universo, se tu chiudi gli occhi e senti un bambino che grida, puoi percepire già nella mente l’immagine del suo viso, delle sue lacrime. 

Per me il fatto che nel monumentale si possa costruire questa immagine ha un potere di creatività incredibile. Il suono del corpo non è da intendere solo come voce umana, ma che tipo di suono sarà fatto come la voce umana, il fatto che sia inedito in questo contesto della pandemia, è una possibilità unica per il mio processo di creazione da artista. Se non fosse stato prodotto durante questo particolare momento il processo sul suono sarebbe stato differente.

#intervista a Rino Caputo che ci parla dello spettacolo “Dante e Petrarca a Narni - La musica della poesia e la poesia della musica” che aprirà, il prossimo 3 settembre, la corsa dell’anello di Narni.

 

La musica della poesia e la poesia della musica, questo gioco di parole racchiude tutto il senso dell’evento che il prossimo 3 settembre inaugurerà l’edizione 2020 della Corsa all’Anello di Narni, ovvero “Dante e Petrarca a Narni”. Il prof. L. Rino Caputo,  condurrà il pubblico in un viaggio letterario, il M° Mario Alberti e il M° Franco Menichelli, accompagneranno rispettivamente ai flauti il primo e al liuto e chitarra a dieci corde il secondo. Completerà il cast della manifestazione l'attrice Daniela Sistopaolo alla voce recitante.

Dal 1992 Dario D’Ambrosi porta avanti a Roma un progetto diventato negli anni fondamentale per molte famiglie quello del teatro Patologico. Di cosa si tratta? Di trovare un raccordo, un punto d’incontro e di aiuto reciproco fra arte teatrale e persone con disabilità mentali. Un lavoro importante, che è diventando una vera e propria terapia per molti disabili e allo stesso tempo fucina di opere teatrali apprezzate da pubblico e critica. L’attività di D’Ambrosi è stata così apprezzata che nel 2009 il Teatro Patologico ha ottenuto una sua sede stabile in via Cassia (Roma) dove è poi nata la prima scuola europea di formazione teatrale per persone con diverse disabilità.

Le rappresentazioni della compagnia del teatro Patologico sono andate in scena dal teatro Argentina al Mama di New York passando anche per Tokyo e Bruxelles. Migliaia le famiglie che negli anni hanno potuto notare un vero e sostanziale aiuto da questo tipo di attività per il loro familiare con disabilità. Poi è arrivato il Coronavirus, la chiusura dei teatri ed anche per il teatro Patologico lo stop è stato doveroso ma destabilizzante per molti ragazzi.

 

Qual è la situazione oggi del teatro Patologico, dopo il lockdown siete riusciti a riprendere, almeno in parte le vostre attività?

La situazione è molto triste perché avevamo messo in calendario una serie di appuntamenti molto intensi ma soprattutto molto specifici, da fare con i ragazzi disabili che frequentano i corsi del teatro Patologico. Prima del lockdown avevo anche pensato di migliorare il corso di teatro terapia con l’intervento di una logopedista ma quando si è tornati al libera tutti è arrivata un’altra brutta notizia: il comune di Roma ha negato il contributo economico per un piccolo vizio burocratico. Mi è dispiaciuto perché ciò è fondamentale per l’esistenza della nostra realtà e credo sia gravissimo che questo contributo sia stato negato solo per un vizio burocratico. Anche perché il servizio che offriamo coinvolge circa sessanta famiglie i cui parenti sarebbero stati impegnati per altri tre anni in queste attività con grandi benefici per la loro condizione.

 

In occasione della trentaquattresima edizione del Todi Festival, che si terrà nella città di Todi dal 3 al 6 settembre 2020, abbiamo intervistato il direttore artistico Eugenio Guarducci, al fine di cogliere le sue emozioni e le prerogative di questa edizione che, inevitabilmente, risentirà delle ripercussioni e restrizioni derivate dall’emergenza Coronavirus.

 

Avendo come sfondo e vincolo costante il contesto di emergenza all’interno del quale avrà luogo il Todi Festival, come ha ridisegnato i contorni di tale appuntamentro?

La parola chiave è: prudenza. Quando abbiamo deciso di ripartire con l’organizzazione del Festival, ci siamo posti come obiettivo principale quello di affiancare al nostro entusiasmo anche i necessari protocolli di sicurezza riguardanti sia gli spettacoli al chiuso che quelli all’aperto. Tali accortezze, partendo dallo spettatore, saranno atte a tutelare tutti.

 

L’obiettivo quindi è far dialogare la prudenza con la qualità?

Esattamente: la tutela delle persone non deve essere interpretato come elemento limitativo. Ogni qualvolta che avevamo considerato se ripartire o meno con il Todi Festival, il pensiero andava non solo agli attori ma anche ai tecnici e a tutti coloro che erano stati più esposti pur non potendo sempre contare su protezioni adeguate. La testimonianza di come sia necessario avere uno sguardo complessivo che abbracci e tuteli anche le persone meno visibili è pervenuta da Max Gazzè. L’artista, infatti, oltre ad essersi impegnato a ritornare sul palco, ha dichiarato apertamente di aver ridimensionato il proprio cachet, contribuendo così a garantire disponibilità di un adeguato compenso anche al personale che lavora “dietro le quinte”.

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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