#recensione Dogman, regia di Matteo Garrone
Dogman trae ispirazione dal brutale omicidio del pugile dilettante Giancarlo Ricci, avvenuto per mano di Pietro De Nigri detto "er Canaro" il 18 febbraio del 1988. Il regista, Matteo Garrone, ha deciso di diversificare il tutto per rispettare la famiglia della vittima. Detto ciò, dopo un incipit molto promettente, il film racconta la storia di Marcello, un uomo che gestisce un negozio di toletta per cani nella periferia di Roma.
La sua vita procede in maniera "lineare" in un clima dove la cocaina, i cani e il crimine la fanno da padrone.
Ciò va avanti fin quando Simone, un uomo votato alla criminalità e agli eccessi, inizia a coinvolgerlo, tormentarlo e creare problemi alla sua attività. La situazione diventa critica quando la rabbia ed il sadismo dell'uomo si ripercuotono in tutto il quartiere. Ormai alle strette, Marcello deve trovare a tutti i costi una soluzione che si farà strada nella sua mente dopo una serie di eventi di sempre crescente gravità.
L'intera pellicola è pervasa da un'atmosfera angosciante, complice la scenografia. Garrone, infatti, ha scelto di raccontare la periferia ambientando il tutto ai giorni nostri. Siamo rimasti molto colpiti dalla scenografia in quanto, il regista ha reso l'ambiente, raccontato alla perfezione dal film, molto simile ad un paesaggio post-apocalittico quasi a voler accentuare in maniera, a proprio modo, realistica la gravità della situazione in cui vivono i vari personaggi presentati nel corso della pellicola.
Per quanto riguarda le interpretazioni, un plauso va al lavoro svolto da Marcello Fonte nei panni del protagonista della vicenda ma, allo stesso tempo, non possiamo esimerci dal dire che Edoardo Pesce, nei panni di Simone, è stato forse uno dei pregi maggiori dell'intera pellicola. Ciò che ha stupido di più di Marcello Fonte è stato l'uso di un linguaggio a tratti incomprensibile. Ciò, però, diventa molto inquietante negli ultimi minuti di film, dopo un avvenimento destinato a segnare gli occhi dello spettatore.
Vogliamo aggiungere, poi, che il finale rende Dogman un film meraviglioso contenente un messaggio di una schiettezza raggelante: viene ampiamente dimostrato quanto l'essere umano, spinto dalla necessità, perda di umanità riducendosi a gesti estremi. Ad alimentare ulteriormente questa percezione è la mano registica di Matteo Garrone che da grande risalto alla profondità delle interpretazioni dei due protagonisti.
Da una parte il Marcello interpretato da Marcello Fonte che, con un gesto di una semplicità quasi imbarazzante, riesce nell'intento di far rabbrividire lo spettatore e, al contempo, farlo riflettere su moltissimi fattori come la vita, la violenza, la moralità ed i principi dell'uomo. Dall'altro lato abbiamo il Simone di Edoardo Pesce che, con uno sguardo tanto gelido quanto magnetico, canalizza su di sé l'attenzione del pubblico con il solo movimento di pochi muscoli facciali.
È un uomo di una violenza inaspettata e, per certi versi, è un personaggio molto Shakespeariano in bilico tra dubbio e certezza, incapace di distinguere la sottile linea tra bene e male.
Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal rapporto tra Marcello e Simone che, per quasi tutta la durata del film, risulta molto ambiguo ed imprevedibile. Una breve considerazione in merito ad alcune parti del lato tecnico: In primis la fotografia è cupa, fredda e trasmette allo spettatore un profondo senso di disorientamento.
Il film risulta difficile da digerire in quanto Garrone ha scelto di fare un uso molto ristretto della colonna sonora per premere l'acceleratore sulla mordace tensione di cui l'intero prodotto è pregno.
Siamo rimasti particolarmente soddisfatti da una sceneggiatura limpida e diretta che, nel corso di un'ora e quarantadue minuti, scorre con una rapidità eccezionale. In nostra opinione il film non presenta alcun difetto ma, vorremmo comunque sensibilizzare i lettori sul fatto che è presente un tipo di violenza, sia fisica sia psicologica, molto disturbante per uno spettatore non avvezzo a film di questo tipo.
Una scena in particolare è stata di una violenza quasi insopportabile. Eppure ci ha affascinati in quanto riesce a dare una dimostrazione di come stiano per cambiare le cose da un momento all'altro. Dunque raccomandiamo la visione di Dogman solo ad un pubblico di "stomaci forti", cinematograficamente parlando.
Una domanda sorge spontanea: giusto definirlo un capolavoro?
Accolto da un lunghissimo applauso al Festival di Cannes Dogman è un film di una potenza visiva devastante e racchiude in sé tutte le caratteristiche necessarie affinché un film, in questo caso drammatico, si possa chiamare un capolavoro: un'ottima trama, sceneggiatura brillante, delle interpretazioni profondissime, un amore nella realizzazione palpabile in ogni singolo fotogramma del film, un comparto tecnico impressionante. Eppure Dogman è intriso di una violenza quasi estrema e, soprattutto, più fisica e visiva che psicologica.
Ciò è facilmente osservabile dai primi minuti che rendono perfettamente l'idea della devastazione che pervade le vite degli abitanti di quel quartiere. Quindi, la nuova fatica del romano Matteo Garrone è, oggettivamente, un vero e proprio capolavoro, nonché un'autentica svolta e rinascita di un cinema italiano che, negli ultimi anni, sta pian piano riaffiorando con pellicole di elevato calibro tra le quali vorremmo citare Il Racconto Dei Racconti, diretto dallo stesso Garrone, Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, veloce come il vento di Matteo Rovere, Mine di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro e Monolith di Ivan Silvestrini.
Vogliamo concludere invitandovi calorosamente a vedere il film dal momento in cui, una pellicola di così alto livello merita di essere vista su grande schermo per fornire un'esperienza audiovisiva degna di tale nome.
VOTO: 10
Nicolò Ferdinandi
29 maggio 2018