Recensione dello spettacolo A tempo di scimmia, atto unico di Marco Bilanzone in scena al Teatro Studio Uno in Roma dal 24 novembre all’ 11 dicembre 2016
Il teatro è in grado di contenere non più di una ventina di posti non numerati. L’atmosfera che si respira va oltre l’intimità ed è quasi di nicchia. Quando le luci (che fungono da sipario) si accendono, ci si trova di fronte ad un non precisato spazio buio e tetro. La scenografia quasi non esiste, costituita esclusivamente da una sorta di enorme ragnatela formata da lunghissimi teli bianchi.
Su questo scenario scarno ed essenziale, degno del Dogma 95 (scusate il paragone), si muovono le due protagoniste (Claudia Salvatore e Mersia Valente). In questo spazio non esistono emozioni. Tutti i sentimenti possono essere provocati soltanto da pillole monouso, infatti, il pavimento è pieno di pasticche e ognuna di esse è in grado di provocare una emozione: dalla tristezza alla gioia fino alla paura. Tra velocissimi scambi di battute grottesche e surreali, si capisce molto presto che le due ragazze sono, in realtà, le due facce della stessa persona. Per questo, le personalità delle due protagoniste sono diametralmente opposte: la prima, molto tranquilla, pacata e riflessiva, rappresenta l’atarassìa, ovvero, la pace dei sensi di chi ha saputo rinunciare alle passioni e alle emozioni; la seconda, sempre iperattiva e adrenalinica, non riesce a fare a meno delle pillole (quindi delle emozioni) e finisce con l’abusarne, e ne abusa al punto di giungere ad uno stato di paranoia e ansia quando esagera con la pillola della paura (Non prenderla. Ti conosco, so che ci finisci sotto, dice la prima alla seconda).
Si tratta di un racconto dalle tinte filosofeggianti ma molto contemporaneo. Può considerarsi sicuramente figlio di quella cruda distopia che è tanto cara anche agli autori delle moderne serie televisive inglesi e americane. Che le emozioni siano ridotte a delle compresse da ingerire quando se ne ha voglia è una idea assolutamente geniale e ricorda, addirittura, alcuni capolavori del grande Philip K. Dick come, ad esempio, Un oscuro scrutare in cui la droga chiamata sostanza M ha preso il sopravvento su tutte le voglie e le emozioni; o, ancora meglio, Le tre stimmate di Palmer Eldricht in cui il protagonista, che è il produttore della sostanza che tutti vogliono perché crea una vita meravigliosa rispetto alla realtà, afferma: Dio può dare la vita eterna, io posso fare di meglio: posso metterla in commercio. La scenografia trasmette quel senso di prigionia che provano le protagoniste, e lo spettatore si trova a comprendere in modo realistico il delirio delle due ragazze. Questo è dovuto anche all’assenza di un reale palco scenico, e al fatto che i registi (Francesca Romana Nascè, Lisa Rosamilia e lo stesso Marco Bilanzone) e il tecnico dei suoni e dei sintetizzatori (Daniele Casolino, autore anche delle musiche) si trovino praticamente in mezzo al pubblico. Casolino, infatti, è da considerarsi il terzo protagonista dell’atto, dato che, attraverso i suoni, gestisce l’andamento della piéce. Le due attrici si muovono alla perfezione sulla scena, e mettono in risalto i cambi di personalità dovuti all’assunzione delle diverse droghe-sentimenti. I dialoghi sono molto complessi, e l’atto non sempre scorre piacevolmente (in alcuni tratti è addirittura incomprensibile). La rappresentazione pecca di un’ostentata laboriosità, che purtroppo finisce con l’annoiare. Grazie alle attrici, però, ai loro attacchi improvvisi di rabbia e di delirio, lo spettatore assiste, rapito ed incuriosito, alla fine dell’atto. All’autore il merito di aver creato un mondo dove non esistono passioni, anche se si dovrebbe quantomeno capire chi ha privato la donna delle stesse e il motivo per cui sono state ridotte a droghe.
Arturo Perrotta
03/12/2016