Martedì, 26 Novembre 2024
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LODOLETTA E IL TABARRO: DUE OPERE DIVERSE IN UNA SERATA

#recensione dello spettacolo Lodoletta - Il Tabarro andato in scena al Teatro Goldoni di Livorno il 7 dicembre 2016

Il 7 dicembre 1863 nasceva a Livorno il compositore Pietro Mascagni e nella stessa data del 2016 il Teatro Goldoni di Livorno, come ogni anno, ha dedicato una serata al musicista. L’evento è stato suddiviso in due parti: nel primo tempo abbiamo assistito a una selezione di arie da Lodoletta in forma scenica, nel secondo è stato rappresentato Il Tabarro di Giacomo Puccini, che con Suor Angelica e Gianni Schicchi forma il famoso Trittico spesso rappresentato.

 

Daniele De Plano, regista di questi due allestimenti, ha diretto i cantanti, i quali sono stati scelti all’interno della Masterclass nell’ambito del progetto Verismo Opera Studio, accademia livornese di alto perfezionamento della Fondazione Teatro Goldoni coordinata dal soprano Fiorenza Cedolins. Tra tutti gli interpreti hanno spiccato: Clementina Regina (Lodoletta), Stefano Fagioli (Michele in Il Tabarro), Gesu Zefi (Giorgetta in Il Tabarro) e Francesco Napoleoni (Voce di tenore in Lodoletta e Luigi in Il Tabarro). L’Orchestra Filarmonica Pucciniana è stata guidata da Fabrizio Da Ros.

Veniamo ora all’allestimento scenico, che però ha lasciato un po’ perplessi. La scena della Lodoletta era estremamente essenziale: una lunga pedana posta diagonalmente invadeva la scena, sul proscenio sulla sinistra una panchina di marmo e il fondale del palcoscenico completamento oscurato. Essendo Lodoletta un dramma lirico in tre atti, le arie sono state giustamente unite dal filo conduttore di una voce narrante (Paola Martelli).

La scenografia de Il Tabarro è stata leggermente più ricca: era presente la stessa pedana della Lodoletta, che qui rappresenta la nave su cui si svolge la vicenda, con una botola che porta alle cabine; al posto della panchina un lampione e sulla destra, che sporgeva dalle quinte, una gru. Sparse per il palco balle e casse per dare l’idea del porto. Interessante la scelta di far “scorrere” sullo sfondo diversi dipinti, in tema con l’opera, del pittore viareggino Lorenzo Viani.

Altra cosa che non ha convinto i puristi della messinscena, è stata la scelta del regista circa l’allestimento del finale d’opera. Il libretto richiede che Michele uccida l’amante della moglie Giorgetta, Luigi, e poi nasconda il cadavere nel suo tabarro e sulle parole “Vieni nel mio tabarro!...Vieni!...Vieni!” apra il mantello per far cadere il corpo dell’uomo, per poi afferrare violentemente la moglie. In questo caso però vediamo Michele che uccide Luigi e poi ne lascia il cadavere nel mezzo della scena, coperto dal tabarro e quando rivela a Giorgetta la verità, lei si inginocchia accanto all’amante, ma senza alcuna reazione da parte di Michele.

Non è stato possibile reperire notizie per la realizzazione dei costumi, dal momento che il libretto di sala non riporta né il nome di un costumista né se sono di repertorio, comunque sono stati scelti abiti adeguati alle epoche in cui i due melodrammi sono ambientati. 

Il generale il pubblico ha apprezzato i cantanti, la musica e l’orchestra, ma non l’aspetto visivo, perché come già detto,  estremamente essenziale rispetto a come deve essere l’opera. 

 

Gabriele Isetto

10 dicembre 2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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