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Teatro Eliseo. L'anatra all'arancia di Barbareschi: una ricetta che convince!

Recensione dello spettacolo l'Anatra all'arancia, in scena al teatro Eliseo dal 13 dicembre 2016 al 8 gennaio 2017

Ingredienti fondamentali per un’ottima, succulenta ed appetitosa Anatra all’arancia: prendete due grandi attori e cospargeteli di un cast eccezionale tutt’intorno; posateli delicatamente e con attenzione ad ogni espressione facciale, mimica e dei gesti, in una scenografia dal design affascinante e curato in ogni dettaglio tanto da riempire tutti i possibili liberi spazi che la presenza di un solo singolo ambiente, eretto a luogo recitativo, potrebbero comportare.

Ungete il tutto di una trama intrigante, vivace, sagace ed intelligente che, già nel 1975 valse a Monica Vitti un David di Donatello e un Nastro d’argento per l’interpretazione accanto all’indimenticabile Ugo Tognazzi; adagiate la portata su un testo di William Douglas Home rivisitato alla maniera e all’estro di Luca Barbareschi (attore protagonista oltre che regista); ponete il tutto all’interno del Teatro Eliseo in Roma per circa due ore. Risultato? Un continuo e vivifico scambio di battute e controbattute, un veloce e ritmato ping-pong di frecciatine ironiche e freddure, un entusiasmante sali-scendi di trovate comiche raffinate d’alta levatura culturale ben smussata, nei momenti giusti, da diretta e ben mirata goliardia semplice e fresca. Eccolo il succo invitante, rincuorante, divertente ed elettrizzante de L’anatra all’arancia, in scena, appunto, all’Eliseo dal 13 dicembre all’8 gennaio.
"L’anatra all’arancia è una bellissima storia universale di un uomo e di una donna e di come il protagonista si inventi un modo per riconquistare la moglie che lo ha tradito e che amava, architettando un piano per dimostrarle che lui è il suo unico amore anche dopo 25 anni", racconta Luca Barbareschi, non nascondendo, abile ed esperto attore qual è, tutta l’anima che, come linfa vibrante, scorre rapida e si dipana lieve e piacevole dalle trame dell’esibizione.
Ma qual è la chiave, o le chiavi, del successo di questa riproposizione posta sotto lente di vita moderna? Semplicemente – e non è ovviamente poco – gli interpreti e la qualità della loro recitazione.
Certo, la trama si presta facile e felice all’interpretazione snella, netta e spontanea da parte degli artisti: tutti da applausi con un grande plauso, d’obbligo, alla coppia Barbareschi-Noschese, fenomenali a rendere naturali ed attuali contesti coniugali che si apprestano spesso a giungere di fronte a quell’ultimo decisivo passo verso una paradossale situazione tratteggiata da kafkiana atmosfera. Barbareschi, su tutti, riesce con fare di direttore d’orchestra abituato a confrontarsi con ogni tipo di palcoscenico, a dirigere ed accompagnare il pubblico e la storia con un ritmo tambureggiante, dettato e suggerito dalle sue battute che, una dopo l’altra, in un crescendo ingegnoso di umorismo tagliente e geniale, si dispongono eleganti sullo spartito della recitazione. Epigono scaltro, ridipinge su se stesso la comicità secca e cinica di un Woody Allen e il fare marpione ed elegante della verve ironica di un Tognazzi. Ottima Chiara Noschese, spalla perfetta e sodale ideale, a rispondere prontamente a tutti gli assist serviteli su un piatto d’argento. Insomma, in un attimo, anche dopo i soli pochi primi minuti, sembra già essere usciti totalmente dal copione per entrare appieno nella vita reale: i dialoghi dei cinque attori (indispensabili Ernesto Mahieux, Gianluca Gobbi e Margherita Laterza ad oliare ancora di più l’ingranaggio perfetto di questa perfetta macchina dotata di una invidiabile e apprezzabile comicità di classe) sembrano così non più scritti su carta ma naturalmente prendono vita come se si assistesse ad un vero divertente dramma coniugale, ad un reale paradosso parodistico dell’adulterio, insomma alla moderna e contemporanea scena tratta da una falsa/vera vita di coppia.
"Questa commedia ha una profondità ed un’intelligenza straordinarie – ha spiegato il regista in un’intervista rilasciata ad AdnKronos - ha la stessa potenza di ‘Chi ha paura di Virginia Woolf?’ ma, a differenza del testo di Albee, ha una struttura narrativa molto divertente, che aiuta a veicolare concetti profondi con la risata. Ho riadattato la scrittura usando due grandi scienze, la psicologia e l’antropologia, studiando atteggiamenti, movimenti e nevrosi che caratterizzano le nostre abitudini" a dimostrazione di quanto sia studiato l’animo e il comportamento umano mosso più che da una sana gelosia, da un più intricato e complesso egoismo che porta il binario delle vite dei due a distaccarsi verso le strade dell’incomprensione, generando quello stratagemma che è il fulcro della storia messo su da Gilberto (Barbareschi) per riconquistare la moglie: atto finale che altri non è che esaltazione dell’acume e dell’ego smodato del protagonista che, però, nonostante tutto, è tale solo se accanto ad una donna come Lisa (Chiara Noschese). Il resto, beh, il resto è trama: storia di una coppia sposata da 25 anni che, logorata dai continui tradimenti di lui, egocentrico ed istrionico marito, si ritrova ad affrontare l’infatuazione di lei, stanca di vivere accanto ad un eterno “clown”. La cotta per il principe russo Volodia, l’esatto contrario del marito, porterà Gilberto, messo spalle al muro dalla decisione di Lisa di scappare con il “conquistatore straniero”, ad architettare un geniale, diabolico e perfetto piano che tirerà in ballo, oltre ai sentimenti e agli istinti di una moglie in realtà ancora innamorata del marito, anche la segretaria di Gilberto, la provocante e sensuale Chanel. L’imprevedibile piano di Gilberto, che al principio sembra sgangherato, risulterà ricco di imprevisti e colpi di scena che si susseguiranno fino all’ultimo istante, fino all’ultima risata.

Federico Cirillo

15 dicembre 2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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