Recensione dello spettacolo Rita Atria. Un’adolescente contro la mafia in scena al Teatro Lo Spazio dal 10 al 15 gennaio 2017
Lei è Caterina Venturini, drammaturga e regista da sempre attenta a tutto ciò che non deve e non può essere dimenticato. Lui, Francesco Rallo, è un ex esponente di spicco della mafia trapanese, ora pentito. Insieme hanno voluto rendere omaggio e ricordare sul palcoscenico del Teatro Lo Spazio il coraggio e il sacrificio della giovanissima Rita Atria, un’adolescente contro la mafia.
Una scenografia essenziale, dieci sgabelli sparsi, quel che basta per evocare gli eventi drammatici della Sicilia spaccata dalle faide mafiose e di un piccolo paese nel trapanese, Partanna, scenario di guerre tra clan, di paura e omertà, di violenza e leggi non scritte. Sette protagonisti riempiono la scena, con le loro scelte di vita agli antipodi, e si alternano, si animano, si illuminano per raccontare la stessa triste storia: il dramma della piccola Rita Atria, pronta, nonostante l’età, a sacrificarsi per combattere quel sistema che le ha portato via prima il padre, poi il fratello e infine anche la madre.
Inizia così, in un susseguirsi di voci e luci che si accendono e si spengono, la narrazione, ora in prima persona, ora attraverso le parole tratte direttamente dal diario di Rita, di una delle pagine di cronaca nera nazionale più tristi della storia contemporanea.
Nata in una terra in cui i valori sono rovesciati e ad essere considerati degni di rispetto e d’onore sono solo gli uomini e le donne che si piegano al volere e ai dettami dei boss, dopo la morte di suo fratello Nicola, la piccola Atria (Irene Pietracci) decide di seguire le orme di sua cognata Piera (Maurizia Grossi) e di collaborare con la giustizia. Incurante degli scongiuri della madre, Donna Giovanna (Valeria Trellini), e del fidanzato Salvatore (Gregorio Valenti), anche lui legato alla malavita locale, la “picciridda” si rivolge direttamente al giudice Paolo Borsellino (Maurizio Palladino) e gli racconta ogni informazione utile all’arresto dei criminali responsabili dell’uccisione del padre e del fratello, e non solo.
La sua, però, non è una storia a lieto fine: Rita è vittima, insieme allo stesso Borsellino, di quel sistema che voleva sconfiggere. Dopo solo una settimana dalla strage di Via D’Amelio, costretta a rinunciare anche all’ultimo punto fermo della sua vita, lo “zio Paolo”, la piccola Atria decide di farla finita, gettandosi dal settimo piano del palazzo romano in cui era custodita sotto falso nome, secondo le classiche regole del programma protezione testimoni.
Dal momento della ribellione, alla presa di coscienza, che la spinge ad agire in nome della giustizia, quella vera, fino all’esplosione in cui rimane ucciso il magistrato Borsellino, lo spettatore segue e vive il dramma di una ragazzina che, non ancora maggiorenne, si fa carico delle responsabilità e delle colpe di una società (volendo parafrasare le sue stesse parole) non ancora pronta a sconfiggere la mafia prima dentro e poi fuori di sé.
Costretta a dire addio alla madre, che preferisce rinunciare all’amore per la figlia piuttosto che al rispetto per il clan che le ha sterminato la famiglia, al ragazzo che le promette amore e un matrimonio e persino al nome e a degli amici, Rita, e insieme a lei il pubblico, trova solo nel giudice e nella cognata Piera (l’unica a parlare senza inflessione dialettale, l’unica voce fuori dal coro) comprensione, sostegno e dei modelli da seguire.
In un crescendo di tensione ed emotività, suggellate dal canto della stessa Venturini, parte della pièce insieme a Rallo, nel ruolo del padrino, il pubblico rivive, in un’ora di spettacolo, la tragica storia di un’adolescente sola contro la mafia e, commosso, sembra quasi chiederle scusa, per non aver reagito, per averla lasciata sola a combattere un male troppo grande perfino per una ragazza forte, grintosa e coraggiosa come Rita.
Concetta Prencipe
16 gennaio 2017