#recensione dello spettacolo Filumena Marturano, in scena al teatro Quirino dal 10 al 29 gennaio 2017
A vita è tosta e nisciuno ti aiuta, o meglio c sta chi t'aiuta , ma na vota sola, per poter dire "taggio aiutato... poi ti saluta e nun se ne parla più.
La vita. Anzi, più precisamente il racconto della vita: questa è, è sempre stata ed ha sempre rappresentato l’arte del grande Edoardo. Affrontare ed ammirare la «Commedia» di Eduardo de Filippo significa inoltrarsi in un viaggio attraverso la memoria di un individuo, accarezzando e osservando ammirati piccoli frammento dell’animo umano, il cambiamento della società, la decadenza e perdita di coscienza.
Napoli è lo sguardo di Eduardo. Uno sguardo che racchiude all’interno la speranza ed il senso della commedia stessa è sempre e costantemente un messaggio che prima rivolge alla sua Napoli ma che poi, varcando il confine letterario e geografico, arriva direttamente al mondo e a tutti coloro che hanno subito e che aspettano che “passi la nottata”. Rimanendo sempre fedele all’ambiente, alla dialettica e alla profonda umanità del suo teatro, l’autore arricchisce i suoi testi di magia, prestigio e ambiguità.
Scritta da Eduardo per la sorella Titina, che lamentava come il vero successo della ribalta fosse sempre riservato al protagonista maschile e mai alla donna, e portata in scena per la prima volta al teatro Politeama di Napoli nel 1946, “Filumena Marturano” ancora oggi è la sua commedia maggiormente rappresentata all’estero, uno dei più riusciti e meditati personaggi femminili e al contempo, una delle commedie più care all’autore.
Raccontò Eduardo: “L’idea di Filumena Marturano mi nacque alla lettura di una notizia; una donna a Napoli, che conviveva con un uomo senza esserne la moglie, era riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il fatterello piccante, ma minuscolo; da esso trassi la vicenda ben più vasta e patetica di Filumena, la più cara delle mie creature”. Ed è infatti proprio questa la sintesi dell’opera di Eduardo, un’interpretazione indimenticabile in cui Filumena unisce sia caratteristiche storicamente considerate maschili e femminili, dal senso della realtà, dall’ostinazione, fino alla perseveranza e alla determinazione, qualità che la metteranno contro tutto e tutti per affermare un sogno che da lungo tempo insegue: la famiglia.
Una Filumena dalla tempra eroica e drammatica, orgogliosa madre, che ricerca ed impone quel bisogno di unità che non ha mai conosciuto nell’infanzia senza tra l’altro mai trovarla nella sua vita da adulta: è questa la Filumena che la D’Abbraccio porta in scena, saggiamente diretta dalla sapiente mano di una straordinaria Liliana Cavani, regista perfetta di una commedia sì celebre quanto ostica. Il rischio infatti è sempre quello di subire il paragone, il confronto con il maestro dei maestri, con il grande Edoardo che tanto ha inciso e continua ad incidere sulla lettura della realtà e della società circostante attraverso le sue opere: la Cavani ce la fa, con la sua esperienza e la sua classe, a lasciare il segno ed il marchio su questo straordinario lavoro.
Due interpretazioni fenomenali, quelle della D’Abbraccio e di Gleijeses. Mariangela D’Abbraccio è magistrale nel tracciare perfettamente tutte le sfumature del complesso personaggio di Filumena: si dipinge il volto di rabbia energetica, si misura con il rancore, rispondendo colpo su colpo con determinazione, scoprendo, infine, anche la dolcezza e la passione: in soli due aggettivi, intensa ed emotivamente forte. Il monologo della Madonna delle Rose lascia il pubblico in attesa, quasi in un’emozionante apnea che si scioglie nel penetrante e sentito ricordo della Filumena diciassettenne: lì entrano in ballo il cuore e i sentimenti oltre la classe da attrice. Geppy Gleijeses, d’altro canto, è formidabile a rispondere alla sfida lanciatagli, quella di vestire i panni di Edoardo stesso e lui lo fa con abilità e con sapiente gestualità, rappresentando una metamorfosi profonda del personaggio: spavaldo, rabbioso e ferito nell’orgoglio maschile all’inizio, quindi fragile, dubbioso e commovente nel finale quando si sentirà chiamare, per la prima volta nella sua vita, “papà”; insomma, l’uomo. Lei coinvolge e commuove, vibra di passione e fa emozionare il pubblico in sala ad ogni movenza e ad ogni espressione facciale e gestuale. Lui è padrone della scena, capace di urlare con forza le sue caratteristiche da viveur e da uomo ferito ed ancor più le debolezze, di un "don Domenico" i cui "cavalli si sono fermati" a cinquantadue anni.
L’eccezionale bravura dei due principali interpreti è ben valorizzata da una Nunzia Schiano esilarante ed al contempo sì drammatica nei panni della governante di Filumena, la popolana donna Rosalia Solimene che vive nella speranza di poter essere un giorno seppellita dai figli emigrati in Australia e in America per sfuggire alla fame della Napoli del dopoguerra.
“È un testo che mi piace moltissimo da sempre – scrive nelle note di regia Liliana Cavani – ho anche amato il film di De Sica con Sofia Loren e Mastroianni. È un’opera di grande impegno morale e oltretutto in anticipo sui tempi e scritto senza retorica, ma con la naturalezza della vita. Un capolavoro Sono stata fortunata ad avere due attori perfetti per il ruolo. Mi ci sono appassionata ed ho lavorato con la felicità che provo con i film. Filumena crede nella vita, la ama, la trova vivibile per quello cerca di raddrizzare le storture, di vincere le ingiustizie - conclude la Cavani - Eduardo deve aver amato moltissimo questa commedia, perché è pura vita''. E al Quirino è andata in scena una "Filumena Marturano" vera, una Filumena nuovamente viva.
Federico Cirillo
22 gennaio 2017