Recensione dello spettacolo Venere In Pelliccia in scena al Teatro Ambra Jovinelli dal 26 gennaio al 5 febbraio 2017
Un testo e una messinscena che incuriosiscono, stupiscono e a tratti confondono, illudono e di nuovo sorprendono lo spettatore. Un romanzo prima, una commedia e un film poi che, dall’austriaco Leopold von Sacher Masoch allo statunitense David Ives, fino al polacco Roman Polanski, continuano a far riflettere su una delle questioni più controverse di sempre: il conflittuale rapporto tra uomo e donna.
Venere in Pelliccia, diretto da Valter Malosti e in scena all’Ambra Jovinelli di Roma fino al 5 febbraio, è prima di tutto il frutto del complicato rapporto di dominio e sottomissione, piacere e dolore, tra il giornalista e scrittore ottocentesco Sacher Masoch e sua moglie. A lui si deve, infatti, l’avanguardistico e omonimo romanzo, pubblicato nel 1870, nonché la denominazione e l’ufficializzazione delle dinamiche di coppia sado-masochiste. Da lui l’americano David Ives ha tratto ispirazione per mettere nero su bianco una drammaturgia che portasse a teatro le vicende di Vanda von Dunayev e del suo Kushemski, a cui ha aggiunto, giustapposto e, infine, sovrapposto quelle di un regista in cerca di un’attrice e di un’attrice in cerca di un lavoro.
E, tuttavia, a Malosti che va riconosciuto il coraggio nell’adattare e il merito nel portare in scena in Italia, per la prima volta in assoluto, il pluripremiato e acclamato testo di Ives. Lo stesso Malosti che affianca sul palcoscenico, nel ruolo del regista prima e di Kushemski poi, una Sabrina Impacciatore straordinaria nel vestire, inizialmente, i panni di una volgare attricetta romana da quattro soldi, Vanda Jordan, ed in seguito quelli di una raffinata e abile manipolatrice d’altri tempi, Vanda von Dunayev.
A collegare e annientare le differenze e i confini tra due epoche e due luoghi geografici distanti una sala prove spoglia (sul palco ci sono solo una scrivania, un divano ed un palo) e piuttosto buia (un paio di neon e un faretto), mentre, fuori, un fragoroso temporale preannuncia il retrogusto amaro di una commedia che tanto commedia non è. Ad alimentare il crescendo di tensione e curiosità, che accompagna il pubblico per l’intera durata dello spettacolo (circa due ore), un sapiente gioco di luci ed effetti sonori. Ed ovviamente loro: i protagonisti indiscussi dell’intera vicenda.
Lei è Vanda (ironia della sorte?) un’attrice in erba in cerca di occupazione. Sboccata, volgare e ignorante è disposta a tutto (incurante delle tre ore di ritardo) pur di convincere lui, il regista, a farle provare la parte, almeno fino a pagina tre.
Lui è Valter (altra ironia della sorte?), regista e adattatore dell’opera di Masoch, alla disperata ricerca, dopo ore di audizione, di un’attrice degna di questo nome ed in grado di interpretare un personaggio femminile così complesso.
Ingenua e succube lei, colto e sicuro di sé lui. Entrambi sono, però, anche i rispettivi alter ego: quelli che (ri)vivono nei personaggi di Severin e Vanda sin dai primi minuti del provino. Ed è così che ha inizio lo spettacolo nello spettacolo, quello vero. È così che sorgono nello spettatore i primi dubbi (chi è veramente Vanda?), mentre si assiste ad un continuo scambio di ruoli, ad un’eterna lotta fra uomo e donna, regista e attrice, vittima e carnefice, uomini e divinità.
Man mano che scorrono i minuti e le pagine, lei diventa sempre più regista del copione e della vita di Valter: da ingenua e succube si trasforma in sensuale, scaltra e abile manipolatrice, donna passionale alla ricerca dell’eterno piacere e godimento. Dal canto suo, lui è sempre più vittima del fascino di lei, da cui si lascia incantare e dominare fino alla totale perdizione.
Tra rimandi, parallelismi e scambi di testimone continui, Malosti ci conduce verso un finale inaspettato e sorprendente, che incanta e insieme terrorizza. Nel mentre dipinge tutte le facce e le anime di una donna che alla fine sceglie di slegare il suo destino da una società misogina che la vuole sottomessa.
Inutile sottolineare l’attualità del testo in un momento storico ed in un Paese, come l’Italia, che conta ancora troppi femminicidi ed episodi di violenza nei confronti del sesso “debole” e vede ancora troppi uomini occupare posizioni di potere nelle aziende e in Parlamento.
Concetta Prencipe
29 gennaio 2017