Recensione dello spettacolo Amuleto in scena dal 17 al 22 gennaio 2017 al Teatro India
Bolaño . Basta il nome solo a evocare la personalità dello stile, la capacità di riportare luoghi e immagini, l’essenza viva della penna. Se poi, vicino, ci si associa un nome, come quello di Maria Poiano, si capisce bene che l’amuleto può davvero manifestare la sua natura e sprigionare magia. Un magnetismo che si conferma, una potenza che si trasmette e distende per tutta la sala. Riccardo Massai decide di curare la regia di un testo famoso e irripetibile e ne affronta, appunto, la sostanza con riguardo e riverenza, lasciandolo dunque immutato.
Sulla scena la storia di Auxilio , poetessa uruguayana, una storia fitta di ricordi che sono pezzi di storia collettiva, oltre che personale. Le parole ci riportano a un’America Latina in lotta, un Sud America di cui tutti abbiamo sempre immaginato l’odore nei racconti di lotta, di sangue, di rivolta. Il 18 settembre 1968 i reparti antisommossa fecero irruzione nella facoltà di Lettere e Filosofia di Città del Messico. Quel giorno Auxilio Lacoutoure scampa al rastrellamento, unica superstite dell’evento che finirà poi nel massacro di Tlatelolco il 2 ottobre. Chiusa in bagno, comprende che qualcosa là fuori sta accadendo e il senso giusto la porta a restare lì, nascosta, per giorni interi, con le sole poesie di Pedro Garfias a farle compagnia, assieme a pensieri estenuanti, misti a deliri. Momenti che la mimica della Paiato riproduce con travolgente immedesimazione, rendendo partecipi noi spettatori degli intervalli esatti vissuti, riportandoci ad allora con la consapevolezza del dopo e della tragedia. Auxilio/Paiato narrante si fa memoria, portatrice di valore e redattrice di storia, svelerà il suo attaccamento con la poesia di quegli anni, dialogando con gli artisti dell’epoca in un suo personale e intimo monologo che è manifestazione di critica e riconoscimento, in sintesi la posizione dell’autore. Infatti, fra i massimi esponenti della lettartura cilena del secondo ‘900, Bolaño, in Amuleto ”lancia un atto di accusa nei confronti dei grandi maestri della letteratura sudamericana come Gabriel García Márquez e VargasLlosa e in fondo si sente egli stesso appartenente alla schiera dei giovani poeti, tentando di riscattarli in ogni modo” come dichiara il regista Massai. E proprio in classico stile Bolaño, cronaca e invenzione si intrecciano anche nello spettacolo, e noi assistiamo al racconto storico, letterario e poetico dove la Paiato conduce un monologo intenso che riporta a quel settembre del 1968, cuore pulsante di una stagione rivoluzionaria, dove un’intera generazione di poeti si ribella e lotta, in perenne ricerca di affermazione e identità. E lei è voce completa, voce di donna che si dichiara essere “madre di tutti i giovani poeti”. Il monologo vive del timbro e della gestualità dell’attrice, che occupa lo spazio fisso del corpo in un punto centrale del palco e non si muove per la scena, riuscendo, comunque, a occuparla tutta. La bravura evidente e confermata della nota attrice riesce a mantenere un testo non semplice, che riportato a monologo rischierebbe gravi forme di monotonia. Qui si riesce ad accrescerne, invece, il pathos, grazie alla catarsi e al ritmo cangiante che la Paiato conferisce alle parole e al suo tono di voce, l’effetto di luci, poi, sapientemente equilibrate, dosate, tagliate e sfumate suggellano il sodalizio artistico che pecca, forse, solo di una drammaturgia a tratti troppo lunga. Essendo appunto un testo molto denso ad ogni passo, mantenere sempre col fiato sospeso e con l’attenzione alta il pubblico è operazione complessa. Ma è bello anche rilassare un attimo la tensione passionale, tanto ritornerà la “madre dei giovani poeti” a riprenderci per mano e a riscattare il testo ripagandolo con più arditi passaggi, mostrando la sua capacità di aderire tanto al dolore quanto all’ironia. Auxilio si fa voler bene nella sua veste di narratrice dai caratteri dolci e arditi e va chiudendo lo spettacolo, mentre una Mercedes Sosa, con la sua voce di terra, di legno e naturalezza della simples cosas ci accompagna come eco. Si esce pieni dalla sala, soddisfatti e consapevoli del momento alto di teatro a cui si è assistito, così come si percepisce una vicinanza alla storia, a Bolaño, al suo mondo, alla rivoluzione che avviene altrove ma, tocca ricordarsi, è di tutti. Gracias a la vida, allora, alla rivoluzione e al teatro.
Erika Cofone
1 febbraio 2017