Recensione dello spettacolo Edipo re - Edipo a Colono in scena al Teatro Eliseo dal 31 gennaio al 12 febbraio 2017
Certamente Sofocle può essere annoverato tra i maggiori drammaturghi della Storia. E, altrettanto sicuramente, Edipo è una delle figure tragiche più celebri e simboliche non solo del teatro ma dell’intera umanità.
Lo svolgimento e i momenti cruciali della sua sfortunata e drammatica vicenda – la colpa involontaria, l’equivoco fatale, l’orrenda scoperta finale - rappresentano un vero e proprio canone del genere tragico: sarà per questo che l’idea di rappresentare nello stesso spazio e la medesima sera Edipo re ed Edipo a Colono - con due regie diverse e un identico cast che, però, si scambierà i ruoli – appare decisamente interessante. Entusiasmo che cresce nel leggere chi metterà in scena il tutto: la rinomata Compagnia Mauri – Sturno, infatti, dopo 20 anni torna a misurarsi con questo doppio classico. A dirigere Edipo re è chiamato il talentuoso e relativamente giovane Andrea Baracco mentre sarà lo stesso Glauco Mauri a occuparsi dell’Edipo a Colono: uno stimolante scontro e confronto tra due generazioni di stile totalmente diverso, con come giudice l’occhio dello spettatore.
Andrea Baracco predilige, com’è ovvio che sia, la commistione e la sperimentazione: le scene create e realizzate per lui da Marta Crisolini Malatesta sono post industriali, desolanti, vagamente claustrofobiche.
Gli abiti sono neri o comunque scuri, lucidi, spesso impermeabili: fatti apposta per sfidare il disagio di quella enorme vasca centrale che pervade il palcoscenico e mette in difficoltà chi lo calca. Le musiche scelte sono anch’esse un tentativo di attualizzazione, che culmina con Dance me to the end of love di Leonard Cohen. Qualcosa, però, non funziona: è facile scambiare i toni tragici con quelli del forzato urlato, dell’eccessivo straziato, dell’inutilmente inferocito. E in questa trappola cade il coro (Ivan Alovisio) che tanta parte ha in questo testo: inoltre, ciò che declama - ora con rabbia ora con dolore - è spesso inintelligibile. Nemmeno Giocasta (Elena Arvigo) riesce a sottrarsi alla tentazione di una recitazione di maniera, sciupando l’ambiguità del suo personaggio con una serie di sibili e intonazioni furenti che finiscono con il risultare gratuite. Lo stesso Edipo (Roberto Sturno) non sembra essere totalmente a fuoco in quel passaggio fondamentale che è il disvelamento dell’orrendo crimine di cui si è inconsapevolmente macchiato: un misfatto da cui deriverà quel mutamento psicologico capace di ridurre, nell’arco temporale di un solo giorno, un re glorioso e irascibile all’ombra maledetta di se stesso.
Di contro, ci sono momenti davvero riusciti: come la spettrale figura di Tiresia (Glauco Mauri), mirabilmente resa conservando intatta tutta la carica drammatica che deriva dal suo profetare una verità non creduta. Un talento nell’anticipare gli avvenimenti che si tradurrà in raccapricciante maledizione non appena lo si accuserà di tramare ai danni di un potere che deve apparirgli meschinamente piccolo, specie rispetto alla grandiosità nefasta del dono di cui è dotato; o come quando il terribile enigma viene sciolto da un Uomo di Corinto (Mauro Mandolini) la cui beata incoscienza – e qui sta il talento dell’attore - strapperà non pochi sorrisi in sala nonostante ci si avvii verso l’attimo cruciale; infine, il suicidio di Giocasta: reso visivamente in maniera spettacolare grazie allo spalancarsi della scenografia e a un infinito telo che ne spezzerà idealmente la vita. A Edipo non resterà che accecarsi, sperando nel sostegno e nel conforto di quei due sventurati abbozzi di figlie che adesso tiene in braccio.
Molto diversa – e più efficace - risulta la rappresentazione di Edipo a Colono: in un idealizzato spazio immacolato, sempre firmato da Marta Crisolini Malatesta, si muovono la venerabile figura di Edipo (Glauco Mauri) e quella dell’inseparabile Antigone (Elena Arvigo). I due sono finalmente giunti ad Atene, presso il luogo sacro alle Eumenidi: verranno presto raggiunti dall’altra figlia, Ismene (Laura Garofoli), che porta con sé altre gravi notizie da Tebe. Riconosciuti e, per questo, temuti e scacciati dalle candide figure che li circondano, vengono salvati e protetti da Teseo (Giuliano Scarpinato) che si farà carico del loro destino.
Stavolta ogni parola pronunciata da Edipo colpisce e impressiona, risonante com’è del talento e dell’esperienza di Glauco Mauri, oltre che espressione di un’incrollabile amore per il teatro di cui un attore con una carriera lunga come la sua è capace: quasi una vera e propria lezione di recitazione per chiunque si accosti al tragico. Il diniego delle nefande accuse, l’ammissione delle innominabili colpe, l’invocazione di una innocenza consapevolmente incosciente riempiono finalmente il teatro di quella compassione di cui Edipo è degno: un sentimento alimentato e supportato dalla toccante, naturalmente bella interpretazione di Laura Garofoli, a cui l’autorevolezza un po’ acerba di Giuliano Scarpinato e il tono di rivalsa di Mauro Mandolini – qui Creonte – fanno da contrappunto ideale. Non convincono ancora una volta Elena Arvigo, che sembra reciti ancora Giocasta sebbene vesta i panni di Antigone, né Ivan Alovisio a cui è affidato il difficile compito di rendere tutta l’inquieta brama di potere da cui è scossa la figura di Polinice. Nulla, però, può ridimensionare l’enormità di quel “Non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce, tornare presto là da dove si è giunti. Quando passa la giovinezza con le sue lievi follie, quale pena mai manca? Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiaia” con cui Edipo si prepara a terminare la sua esistenza terrena, liberato da tutti gli orrori e i lutti che essa gli ha riservato. E lasciando nello spettatore la sensazione di aver partecipato a qualcosa di universalmente grandioso, pur se con qualche difetto: esattamente come la vita.
Cristian Pandolfino
3 febbraio 2017