Recensione dello spettacolo La Profezia, in scena al Teatro Trastevere dal 16 al 19 febbraio 2017
Un testo ricco di suggestioni per uno spettacolo che scorre rapido tra realtà e immaginazione.
Siamo a Parigi nel 1800, connotazione storica piuttosto ampia che vuole abbracciare la cultura del tempo contrassegnata dalla potenza della Chiesa, la seduzione della superstizione e la forza di credenza popolari e mistiche che affondano le radici in un lontano e oscuro passato.
Sebastien Zeline, figlio di Mikael Zeline, notaio presso il prestigioso studio Zeline di Montmartre, è giovane, bello, ha una fidanzata che lo ama, Cécile, una serva fedele, Griffart e un medico, Fassbender, che lo segue con attenzione. Eppure, Sebastien non si sente soddisfatto e non riesce ad essere presente nella propria vita affettiva e professionale.
Nella sua testa echeggiano voci insistenti che gli dicono di andare al cimitero. Le voci sono quelle della Grande Profezia: l’assassinato diventerà l’assassino e il malato diventerà il guaritore.
Tra alchimisti, profanatori di tombe e personaggi che si rivelano essere altro da quello che danno a vedere, Sebastien diventerà, involontariamente, o forse no, coinvolto in un duello tra potenze superiori ed esterne all’uomo, fino ad arrivare a dover perdersi per ritrovarsi.
La Profezia è un’opera originale e inedita che parla di un mondo sospeso tra verità e finzione, realtà e immaginazione, Fede e superstizione.
Il testo di Gianluca Giaquinto, già messo in scena ed apprezzato dal pubblico nel 2016, racconta di un mondo oscuro in cui operano forze contrastanti e lo fa in maniera chiara, netta e fluida. I personaggi sono ben caratterizzati e, sebbene ambigui nelle loro intenzioni e nella loro essenza reale, la loro evoluzione è ben delineata e arriva chiara allo spettatore.
I personaggi, in linea con il clima culturale dell’epoca, rappresentano dei modelli storici e sociali: il medico/giudice, la governante/diabolica, la ragazza attenta a salvare la forma e l’apparenza a discapito del buon senso, alchimisti, profanatori di tombe e vittime sacrificali.
Quello che manca, in questo testo ben scritto, è un passaggio in più: c’è qualcosa di sottinteso che non è facilmente evincibile e che non permette allo spettacolo di esprimersi in tutto il suo significato.
La Profezia tanto attesa da alcuni e temuta da altri, per quanto ripetuta nella sua enunciazione, non è poi espressa pienamente nel suo significato intrinseco.
I riferimenti e le citazioni contenute nel testo non sono rese facilmente disponibili allo spettatore a cui si dovrebbero fornire gli strumenti per identificarle e comprenderle.
Lo spettacolo funziona benissimo a livello narrativo anche così: lo svolgimento è chiaro e raggiunge il finale con consequenzialità logica, ma quel quid che manca, se espresso, avrebbe permesso al suo autore di realizzare meglio la propria ispirazione drammaturgica.
La regia di Riccardo Maggi scorre agevole accompagnando il testo, riuscendo a rappresentare le parole in immagini e giocando a mescolare i personaggi senza creare confusione nello spettatore tenendo sempre il ritmo ad un buon livello.
A dar vita a questi personaggi dalla doppia faccia, sospesi tra scienza ed alchimia, sono dei giovani e bravi attori che hanno saputo non solo indossare le proprie maschere, ma anche interpretare e rappresentare le intenzioni di autore e regista.
Tutti hanno dimostrato una buona presenza scenica e la capacità non solo di occupare uno spazio, ma di saperlo gestire.
Bravissimo Domenico Bisazza che interpreta il protagonista di questa storia: ha saputo dare al suo Sebastien Zeline, quel senso di confusione e inquietudine che cercano la chiarezza, facendolo evolvere fino al finale d’effetto.
Michela Tebi, anche assistente alla regia insieme a Viola Zanotti, interpreta la serva Griffart dosando bene espressioni e gesti.
Agnese Lorenzini è brava nell’interpretare l’altera, volubile e annoiata Cecile, fidanzata di Sebastien che rivelerà anch’essa una “doppia personalità”.
Andrea Guerini è un simpatico e buffo dottor Fassbender, nonché giudice di un tribunale ultraterreno.
Mauro de Maio si diverte e diverte nei panni dell’ “imitatore”, anch’egli servitore del diavolo, subdolo e ammaliatore grazie alla sua loquela. Una bella prova espressiva.
L’eccentrico ed esuberante Lorenzo Controni è l’alchimista, servitore del diavolo sempre in coppia con il profanatore di tombe, muto, interpretato dal bravo Tony Scarfì, praticamente un mimo.
Stefano De Santis è un divertentissimo gendarme, reso apatico e poco reattivo da non si sa bene cosa, se un rito o un’esperienza diretta terrificante.
Completano l’allestimento una scenografia semplice ed essenziale e i bei costumi di Viola Zanotti.
Flaminio Boni
17 febbraoio 2017
informazioni
La Profezia – ovvero: l’inconveniente di non essere sé.
Di Gianluca Giaquinto
Regia Riccardo Maggi
Con Domenico Bisazza, Michela Tebi, Agense Lorenzini, Andrea Guerini, Mauro De Maio, Lorenzo Controni, Tony Scarfì, Stefano De Santis.
Teatro Trastevere fino al 19 febbraio 2017.