Recensione dello spettacolo Il gesto di Pedro, andato in scena al teatro dell’Angelo dal 25 gennaio al 5 febbraio 2017
Giuseppe Manfridi, noto autore, regista e attore conosciuto al grande pubblico per film come Ultrà, Vite strozzate, Il padre e lo straniero, questa volta si è messo alla prova con una pièce teatrale che prende spunto dal calcio. Da sempre una sua grande passione, narra le vicende del calciatore Carlo Petrini, detto Pedro, che ha giocato con il Genoa, il Torino, il Milan, la Roma e il Bologna. La scelta di parlare di Petrini nasce dalla singolare e interessante storia di questo calciatore, noto soprattutto per la sua militanza nella Roma negli anni ’70.
Coinvolto, infatti, nello scandalo del calcio scommesse del 1980 e nell’ abuso di sostanze dopanti negli anni ‘60/’70, Petrini, all’apice della carriera, ha condotto una vita sregolata fatta di eccessi e di vizi in ogni ambito della sua vita finendo risucchiato da una spirale di autodistruzione. In realtà è questa un’occasione per raccontare anche una parabola umana, fatta di un vissuto di esaltazione e delirio di onnipotenza, che hanno trascinato il protagonista poi nel baratro. Il dolore e la disperazione si sono tradotti in una sorta di redenzione raccontata in una serie di libri che Carlo Petrini ha scritto a partire dal 2000 per denunciare tutte le illegalità che avvenivano nelle squadre in cui aveva militato. E qui, un' interpretazione magistrale di Manfridi che entra ed esce dalla vita di Petrini ripercorrendone i tratti salienti. Un Manfridi coinvolto ed umano ci fa entrare nei dettagli delle vergognose illegalità che avvenivano nel mondo delle sport tra gli anni 60/70 del secolo scorso: le “bombe” di sostanze dopanti iniettate ogni giorno, le scommesse clandestine sugli esiti delle partite a cui lui personalmente aveva preso parte. Manfridi conduce una narrazione su due piani, quello personale e quello dello sport, osservando Pedro senza mai giudicarlo, come nel momento in cui si rifiuterà di tornare in Italia al capezzale del figlio morente, per paura di essere ammazzato dai suoi creditori. Un terzo piano è quello del narratore esterno in cui lo spessore culturale di questo autore , è presente nelle citazioni letterarie e filosofiche che racchiudono il senso delle vicende, osservate da un occhio critico che guarda dall’alto.
Intenso, drammatico, a tratti sconvolgente, il monologo di Manfridi è una vera pugnalata al cuore per gli spettatori in sala, soprattutto per i tifosi del calcio. La vicenda umana del protagonista rivela dei retroscena del mondo del calcio che nessun vero sportivo vorrebbe mai sapere. Manfridi, nonostante la sua fede calcistica romanista, non esita a mettere sotto accusa, con estrema lucidità, anche la sua squadra del cuore, coinvolta negli scandali di quegli anni. È evidente un intento di denuncia che vuole smascherare i misfatti del calcio scommesse e del doping, purtroppo ancora troppo presenti come dimostrano le indagini della magistratura degli ultimi anni. Pregevole drammaturgia che evidenzia un testo molto complesso che tocca temi delicati e di una scottante attualità, ma ben articolato, con un linguaggio accurato e adeguato ai diversi momenti scenici. La regia di Manfridi non trascura nessun dettaglio, dalla scenografia al gioco luci, alle musiche. L’ interpretazione riesce a tenere vivi i toni drammatici e intensi della rappresentazione, ancora più apprezzabile se si considera che Manfridi da solo è riuscita a dar voce a tutti i personaggi stando sulla scena per più di un’ ora.
Mena Zarrelli
22 febbraio 2017