Recensione dello spettacolo Surgelami, in scena al teatro Studio Uno dal 9 al 26 febbraio 2017
Al Teatro Studio Uno è andato in scena Surgèlami, il nuovo lavoro della compagnia Habitas, che per tutto gennaio è stata ospite in residenza presso lo spazio. Lo sguardo giovane e attento del regista e dei componenti della compagnia indaga le relazioni umane, quelle affettive nello specifico, le dinamiche di coppia, le ascese e i declini.
Il teatro è in crisi, si sente dire, gli artisti stanchi e delusi tendono alla frustrazione. Commenti, questi, ormai soliti in un qualsiasi dibattito o discussione inerente il panorama teatrale contemporaneo, romano soprattutto. In questo clima che tende alla rassegnazione generale, però, qualche giovane artista che vuole resistere a tutta questa cappa di abbattimento c’è e sta affermandosi sempre più. Per fare un esempio… c’è una piccola realtà che promette molto bene, stiamo parlando della compagnia Habitas.
Chi ha seguito la compagnia fin dai suoi primi passi avrà di certo assistito all’effetto di una macchina che non ha mai spento il motore una volta acceso. Non si arrestano gli Habitas, creano, aprono il loro ventaglio artistico composto da proposte che sono valide conferme di creatività, capacità di giocare con stimoli, esperimenti che si trasmettono come espressioni di cura e dedizione per il lavoro, pur se venati da qualche inflessione acerba. A partire da gennaio, la compagnia ha avuto la possibilità di essere ospitata in residenza presso il cantiere artistico di Torpignattara, ovvero il Teatro Studio Uno. Lì il regista e gli altri “habitanti” hanno avuto modo di costruire e dar forma a un’idea che si manifesta poi nel compiuto spettacolo Surgèlami, una riflessione su quelle che sono le dinamiche di coppia, gli strascichi affettivi, il corredo emozionale delle relazioni affettive e, guardando più in generale, delle varie relazioni umane.
Come rispondenti di una qualche legge fisica, all’allontanamento del partner corrisponde un nostro avvicinamento, secondo regole naturali ci fiutiamo, ci percepiamo, ci interfacciamo, ci confrontiamo, ci piacciamo e ci viviamo. Alla sintonia iniziale si intreccia la vita, che è mutamento e propone alti e bassi, crisi, spaccature e anche rotture. Tutto questo materiale, estremamente e sensibilmente umano, viene inserito in uno spettacolo originale che prende forma e si muove senza una trama precisa. Quattro attori, due donne e due uomini, si intrecciano in ruoli non sempre stabiliti e fissi del chi sta con chi, i loro rapporti si muovono piuttosto per far sì che la comprensione delle sensazioni sia riconoscibile e condivisibile. Gli eterni interrogativi, infatti, restano gli stessi pur se affrontati da soggetti diversi. “Quali sono le difficoltà, le impossibilità, di vivere oggi il rapporto di coppia? Il lavoro, il futuro, la fiducia … o forse, e più semplicemente, noi. Perché non siamo pronti? Perché non siamo più pronti?”.
Il pubblico, in questo alternarsi all’interno di una scena dinamica, diviene parte attiva del contesto, richiamato da post-it che prima dell’ingresso in sala erano stati assegnati loro sono partecipativi allo spettacolo e condotti dagli attori. Un gioco teatrale non più tanto nuovo questo, fatto però con trasporto e coinvolgimento, quindi funzionale per lo spettacolo e per l’attenzione del pubblico che si accomoda nel seguire l’evoluzione dell’intreccio. Unica nota, a sfavore proprio dello svolgimento delle singole azioni, è la lunghezza della scrittura che rischia di allontanare lo scrittore dall’andamento dello spettacolo. Si ha l’impressione che ad alcune parti qualcuno non ha voluto proprio rinunciare, d'altronde tagliare i lavori è sempre arduo, ma il limare e l’operare una scelta sono elementi fondamentali per far sì che un’opera trovi appieno la sua formula di riuscita. La cura del dettaglio, però, permette una buona resa del lavoro, così come la complicità degli attori, la loro capacità di inserire il pubblico accogliendolo e mettendolo a proprio agio nell’imbarazzo dell’esposizione, il riportare sulla scena tematiche discusse e scontate in chiave non banale, l’invenzione di luoghi sentimentali inusuali, una cella frigorifera diventerà simbolo totale di un concetto: “Surgèlami per scongelarmi in tempi migliori”. Per mantener viva la bellezza e la sintonia, l’amore che legava e tutti i motivi validi che permettono di riconoscersi e stare assieme in quel nucleo che è la coppia. Un concetto che riporta a un romanticismo un po’ teenageriale, se applicato alla realtà che la vita è mutamento e gli eventi seguono un percorso. Comunque di altri sogni vogliamo nutrirci, e vedere ancora e ancora nuovi lavori. La strada da seguire è quella giusta e gli Habitas l’hanno intrapresa, con più consapevolezza e drammaturgie ampie e pronte siamo certi che presto potremmo assistere a meravigliosi lavori.
Erika Cofone
21 febbraio 2017