Recensione dello spettacolo I cento pazzi, in scena al teatro lo spazio dal 21 al 26 febbraio 2017
Creare uno spettacolo che parla di mafia non è affatto un’impresa semplice. Non si può maneggiare un tema così complesso con disinvoltura, figuriamoci, poi, se l’argomento della pièce è il Maxiprocesso che si è svolto nell’ “aula bunker” di Palermo tra il 1984 e il 1987, grazie al lavoro del pool antimafia costituito dal giudice Chinicci, sostituito dopo la sua morte da Caponnetto, da Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta .
L’attore di teatro, cinema e televisione, Giovanni Guardiano, ha deciso di arrischiarsi in questa avventura ricorrendo ad un potente mezzo: la comicità. Guardiano è autore, regista e interprete di un monologo che dura più di un’ora, in cui ripercorre alcune delle vicende più significative della storia contemporanea, delle vere e proprie ferite ancora aperte. Il racconto cerca di scandagliare il fenomeno della mafia, partendo dalla sue origine e dalla sua conoscenza succeduta al Maxiprocesso, dopo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Buscetta. Guardiani mette in scena i momenti salienti del processo in primo grado, e sembra fare delle caricature di questi imputati speciali quali Luciano Liggio, Pippo Calò, Michele Greco, Leoluca Bagarella, Salvatore Montalto, ma in realtà li sta imitando perfettamente nella voce, nella mimica, nella gestualità. I loro interventi in aula in difesa personale, avevano un sapore grottesco e lo spettatore rimane sconvolto davanti ad una rappresentazione così realistica. L’effetto tragicomico scaturisce dalla capacità di Guardiano di rendere al meglio questo affresco a tinte grottesche. Si ride tanto quindi durante I cento pazzi, ma è un riso amaro. Il divertimento infatti è un mezzo per arrivare al grande pubblico, ma lo scopo è ben altro. C’è un evidente intento di denuncia sociale che mira a far conoscere fatti da cui i più, per pigrizia, per apatia, per mancanza di volontà e di energia, si tengono alla larga. Inoltre, in questo testo, c’è tutto il senso di rivalsa di un attore siciliano, quale è Guardiano, che vuole esprimere la rabbia per la dignità del suo popolo calpestata. Per enfatizzare questo sentimento, la scena si conclude con una toccante preghiera alla Vergine Maria a cui affida la bellissima e arcana Sicilia, richiamando alla memoria degli spettatori la splendida preghiera alla Vergine con cui Dante conclude la Divina Commedia.
Opera intensa, drammatica, struggente ma allo stesso tempo di un’esilarante comicità. In pochi metri, con l’ausilio di un’ asciugamano appeso e di un appendiabito, Guardiano ha dato vita a tutti i principali mafiosi di Cosa Nostra. L’asciugamano arancione è stato funzionale per i cambi scena, che permettevano l’alternarsi dei personaggi grotteschi presi in esame, i quali scorrevano sulla scena portando in sala il palpito della storia più recente. Ottimo, quindi il lavoro della regia, che ha ben assemblato tutti i passaggi raccontati. Guardiano si è rivelato anche un attore istrionico, la cui interpretazione è apparsa sentita e coinvolta, vibrando in tutto le movenze del suo corpo, della sua voce, della sua espressione del volto.
Mena Zarrelli
28 febbraio 2017