Recensione dello spettacolo L'Ora di Ricevimento, in scena dal 7 al 26 Marzo 2017 al Teatro Eliseo
Uno spettacolo pieno di poetica narrativa, di suggestioni letterarie, di echi di parole raccontate, tramandate. "L'ora di Ricevimento" di Stefano Massini è una sensazione, talmente potente e reale da indurre l'ignaro spettatore a dimenticare la fila al botteghino, la poltroncina scomoda e il grande telo rosso che si leva lentamente, per riscoprirsi come fortunato testimone dell'intimità di una favola perduta, narrata con la delicatezza e la grazia di un autentico cantastorie. Si spalanca davanti agli occhi un'autostrada dove sfrecciano ininterrottamente passeggeri di ogni tipo, a bordo di automobiline con targhe dai nomi più disparati, provenienti da paesi differenti, con lingue differenti, con religioni, tradizioni, idee, ciascuna diversa dalle altre. È la scuola.
Un crocevia di biodiversità pura e genuina, l'esatto punto d'intersezione delle infinite facce di una stessa moneta, un habitat di incroci, scambi, confronti e scontri, dove, il più delle volte, a fronteggiarsi, non sono i piccoli abitanti di questo singolare mondo scolastico, ma i loro genitori, gli adulti, determinati e per nulla esitanti ad imbracciare i propri figli come vessilli pronti ad essere impiantati sul confine di una nuova terra da conquistare.
L'allestimento, sotto la cura di un avveduto Michele Placido, sempre a suo agio nel ruolo di regista teatrale, si arrampica, però, alle vesti di un esemplare che, in una simil giungla, ha saputo adattarsi perfettamente al clima asettico dell'ambiente. Protetto nella sua bolla di cinismo e stoica resistenza morale, il professor Ardeche, avvalendosi del corpo e della voce di un lodevole Fabrizio Bentivoglio, ritaglia la sua sopravvivenza con piccole abitudini distillate nel corso di circa trentacinque anni di insegnamento. Qualche tisana al tiglio ogni tanto, un sorriso bonario ed ironico, le etichette giuste ai ragazzi giusti e un pizzico di spassionati consigli da esperto nel settore a un supplente che brancola per i corridoi.
Massini insinua la contemporaneità nelle aule senza tempo di una scuola, alternando con verve tragicomica quadri che si susseguono come materie al cambio dell'ora, dentro la scatola chiusa della stanza del ricevimento, dove le lancette dell'orologio scandiscono il nulla e l'alternanza delle stagioni è cadenzata soltanto dall'impassibile presenza di un albero fuori dalla finestra, ora adornato di lucine natalizie e ora irradiato dalla calda luce estiva, che con quel suo inamovibile portamento, quasi brechtiano, assiste all'esplosione della multietnicità e alla lotta per il dominio che la specie umana persiste a condurre avanti.
Lo sprezzante umorismo, che vuole chiaramente fare denuncia, adotta come campo di battaglia la sede del dialogo per antonomasia; là, dove si impara a leggere e a scrivere, dove Ardeche promuove l'interesse per l'arte, per la bellezza, l'intrecciarsi di un'infinità di idiomi si conclude in un silenzio gelante e rassegnato, che costringe il professore ad un'irrimediabile presa di coscienza conclusiva. La scrittura, variegata e divertente, senza tralasciare qualche venatura amara, plana, così, verso il monologo finale, dove Ardeche si abbandona, nel pieno della calura estiva, al flusso ininterrotto della sua recondita coscienza, sporgendosi oltre la staccionata dell'impassibilità e scoprendo a malincuore il suo fallimento, come uomo e come insegnante.
Giuditta Maselli
14 marzo 2017