Recensione dello spettacolo L’uomo dal fiore in bocca e non solo in scena al Teatro Goldoni di Livorno il 17 e 18 marzo 2017
L’uomo dal fiore in bocca come afferma Pirandello è un dialogo, un atto unico rappresentato per la prima volta al Teatro degli Indipendenti di Roma nel 1923. E’ la drammatizzazione della novella pirandelliana Caffè notturno, in seguito re intitolata La morte addosso. L’argomento della vicenda induce non soltanto a guardare lo spettacolo ma anche a riflettere sulla morte, infatti il protagonista è affetto da epitelioma, un grave tumore della pelle che poeticamente Pirandello definisce “fiore in bocca”.
Mentre nell’originale del drammaturgo siciliano, il dialogo tra “l’uomo dal fiore in bocca” (Gabriele Lavia) ed “il pacifico avventore” (Michele Demaria), si svolge in un caffè notturno nelle vicinanze di una stazione “controllati” da lontano da una “donna” (Barbara Alesse) che poi si rivelerà essere la moglie del primo, l’adattamento di Lavia, intramezzato con l’aggiunta di altre novelle dell’Autore, si svolge nella sala d’attesa di una stazione. Già qui ci troviamo di fronte alla prima metafora, in cui la sala d’attesa è “l’anticamera della morte”, realizzata interamente in bianco e nero dove l’unico colore è dato dai venti pacchetti coloratissimi dell’avventore simbolo dei fardelli della vita. Oltre ai colori molti altri sono i simboli nella scenografia ottimamente realizzata da Alessandro Camera: il grande orologio senza lancette, la grande panca e gli orari dei treni strappati. La realizzazione delle scene è stata interamente realizzata dal Teatro della Toscana nei laboratori del Teatro della Pergola di Firenze.
Negli stessi laboratori sono anche stati realizzati da Elena Bianchi i costumi dei tre protagonisti. Fin da subito è stata fatta un’accurata ricerca per individuare quella particolare tinta di nero tipica degli abiti della Sicilia degli anni '20, per poi concentrarsi sui più piccoli particolari trattandosi di così pochi costumi da realizzare. Lavia indossa un rigido completo nero, dove anche la camicia bianca, appena s’intravede dietro un’ampia cravatta anch’essa scura, mentre Demaria ha un morbido costume sui toni del grigio. Anche in questo caso ben è rappresentata l’oscurità della morte e la tetra luminosità della vita. Anche se appare poco, fondamentale è il personaggio della donna con il suo costume che fa sì, che quasi sembri fluttuare e non camminare, rendendola molto simile ad un’ombra, anzi alla morte.
Ottima l’accoglienza riservata dal pubblico livornese ma, visto il calibro dell’attore, che in questo caso è anche il regista, non c’era da aspettarsi niente di meno.
Gabriele Isetto
19 marzo 2017