Recensione dello Spettacolo Ciarlatani al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 19 marzo al 30 marzo 2025
“Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena.” Questa verità shakespeariana sembra essere lo spunto ma anche il punto di arrivo dell’opera “Ciarlatani” di Pablo Remón, drammaturgo spagnolo, che dirige Silvio Orlando, Blu Yoshimi, Francesca Botti e Francesco Brandi, in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 19 al 30 marzo.
Il testo, composto di dieci capitoli, durante i quali i quattro attori protagonisti si moltiplicano per indossare le vesti di più personaggi, scorre su due binari paralleli ma convergenti: Anna Velasco, orfana del padre e regista Eusebio Velasco, è una giovane donna, interpretata da Blu Yoshimi, alla costante, frenetica, inarrestabile ma inafferrabile ricerca del successo come attrice, in una spasmodica esigenza di autoaffermazione. Diego Fontana, un credibile Silvio Orlando, regista di fama internazionale e all’apice della carriera, subisce il processo inverso e, come in un’epifania, a causa di un incidente aereo che lo costringe su un letto di ospedale, rinuncia a un ben remunerato progetto cinematografico per tornare alla ricerca dell’essenza, del vero, del senso più profondo del suo mestiere e, in fin dei conti di sé, e lo fa riprendendo in mano il copione di Eusebio Velasco, suo maestro, ora più attuale ed eccezionale che mai.
Gli altri personaggi, di volta in volta impersonati da Francesco Brandi e Francesca Botti, ma anche dallo stesso Silvio Orlando, sono comparse funzionali al racconto che ruotano attorno a queste due figure emblematiche: la madre di Anna, Angelina, e il suo compagno, entrambi inopportuni e dal comportamento bizzarro e discutibile; il padre, Eusebio, che, ormai scomparso, le appare in sogno per consegnarle il suo ultimo copione, una stesura di pagine interamente bianche, al quale però potrà annunciare la vittoria di un David di Donatello, una sfida vinta tra orgoglio e pregiudizio; il bambino con la maglia a righe e un palloncino tra le mani che, con spietata spontaneità, rigurgita su Anna il suo disappunto nel vederla esibirsi insieme con la strega Doroty, così inadatta; Francesco Brandi che, in una proposta di metateatro non immediatamente intuibile, rappresenta il direttore artistico della società di produzione Cardellino s.r.l., la stessa che cura Ciarlatani, per soffermarsi sul concetto di plagio e sulla criptomnesia, suggerendo che gli artisti “rubano” senza esserne coscienti; il produttore cinematografico che accompagna Diego Fontana al suo risveglio e nel corso delle sue esternazioni e scomode rivelazioni, un personaggio esaltato e annebbiato dall’uso di sostanze psicotrope ma anche da un’idea viziata di successo, perennemente sulla cresta di un’onda fittizia che rischia di sgonfiarsi e risucchiare ogni cosa; Arman, un barman kazako, che, a suon di citazioni, passando dalla dialettica hegeliana servo-padrone, due volti della stessa medaglia, alla società della stanchezza di Byung-Chul Han, colto a tal punto da stonare con il contesto in cui si trova, rappresenta un personaggio centrale nel percorso di redenzione di Anna, non a caso proposto nell’ultima scena.
Remón, puntando i riflettori sul mondo dello spettacolo, teatrale, cinematografico e televisivo, ne svela, a volte in maniera parossistica e grottesca, gli eccessi, i vizi, i pieni ma anche e soprattutto i vuoti che, a luci spente, mostrano la desolazione e il fallimento con i quali l’uomo, smascherato, è inevitabilmente chiamato a fare i conti. Di pieni e di vuoti si caratterizza anche la scrittura del drammaturgo, che appare frammentaria, disorientante, disturbante. Lo spettatore sorride a denti stretti e, laddove il regista lascia la presa, intervengono scenografia, costumi e disegno luci in supporto, curati nei minimi dettagli dalla sapienza di Roberto Crea, Luigi Biondi e Ornella e Marina Campanale, per riprendere la mano del pubblico e offrirgli un aggancio di significato quando il testo sembra andare (volutamente) fuori tema. In un’altalena di momenti di intensità e coinvolgimento e momenti di quasi estraneità dal contesto che creano una sensazione di disagio, Remón cerca e trova un espediente per pizzicare le corde della platea, proponendo un esercizio di ricerca dei punti di fuga, un’epifania dell’esistenza, uno sguardo nuovo e più essenziale sulla quotidianità. Elevando l’attore a simbolo del “ciarlatano” per antonomasia, il drammaturgo chiede allo spettatore un atto di coscienza, che chiama a riconoscersi, tutti e nessuno escluso, come saltimbanchi e funamboli in costante e precario equilibrio tra realtà e finzione, verità e rappresentazione, vita e scena.
Francesca Sposaro
11 aprile 2025
informazioni
Durata: 110 minuti, senza intervallo
testo e regia 𝗣𝗮𝗯𝗹𝗼 𝗥𝗲𝗺𝗼́𝗻
traduzione italiana 𝗗𝗮𝘃𝗶𝗱𝗲 𝗖𝗮𝗿𝗻𝗲𝘃𝗮𝗹𝗶
da 𝘓𝘰𝘴 𝘍𝘢𝘳𝘴𝘢𝘯𝘵𝘦𝘴
con 𝗦𝗶𝗹𝘃𝗶𝗼 𝗢𝗿𝗹𝗮𝗻𝗱𝗼 e (in o.a.) Francesca Botti Attrice, 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝗰𝗼 𝗕𝗿𝗮𝗻𝗱𝗶, Blu Yoshimi
scene 𝗥𝗼𝗯𝗲𝗿𝘁𝗼 𝗖𝗿𝗲𝗮
luci 𝗟𝘂𝗶𝗴𝗶 𝗕𝗶𝗼𝗻𝗱𝗶
costumi 𝗢𝗿𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 e 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗻𝗮 𝗖𝗮𝗺𝗽𝗮𝗻𝗮𝗹𝗲
aiuto regia 𝗥𝗮𝗾𝘂𝗲𝗹 𝗔𝗹𝗮𝗿𝗰𝗼́𝗻
fotografie di Guido Mencari Photography
produzione Silvio Orlando - Cardellino srl
in coproduzione con Festival di Spoleto, Teatro Argentina - Teatro di Roma - 𝗧𝗲𝗮𝘁𝗿𝗼 𝗡𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲