Lunedì, 24 Marzo 2025
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Tenuta dello Scompiglio di Vorno: un dialogo profondo con la natura e gli spazi interni ed esterni contribuiscono a una ricerca di cultura

All That Remains, lavoro coreografico firmato e diretto da Mirko Guido, alla Tenuta  dello Scompiglio di Vorno (Lucca).

 

Abbiamo accolto con gioia l’invito fattoci dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio di Vorno (Capannori, Lucca), per la presentazione, prima volta in Italia dello spettacolo  All That Remains, lavoro coreografico firmato e diretto da Mirko Guido

Il Progetto Dello Scompiglio, ideato e diretto dalla regista e artista Cecilia Bertoni, prende vita nella omonima Tenuta, situata alle porte di Lucca, sulle colline di Vorno; una realtà in cui le attività legate alle arti visive e performative che si istallano negli spazi interni ed esterni e il dialogo con la terra, con il bosco, con la fauna, con l’elemento architettonico contribuiscono a una ricerca di cultura. Il tema del Progetto Dello Scompiglio, iniziato nel 2003 prevede il recupero di tutti i fabbricati presenti all’interno della Tenuta a fini abitativi e per ospitare le attività dell’Associazione Culturale e dell’Azienda Agricola: spazio performatico, spazi espositivi, sale prove, residenze per artisti, uffici, annessi agricoli e l’attività di ristorazione della Cucina Dello Scompiglio. Un’azione innovativa e di assoluta sostenibilità che ci ha stupiti per la coerenza tra tutti gli elementi che ne fanno parte. L'Associazione dal 2007 crea, produce e ospita spettacoli, concerti, mostre, installazioni; realizza residenze di artisti, laboratori, corsi e workshop; organizza e propone itinerari performatici all’aperto, visite guidate, lezioni Metodo Feldenkrais®; gestisce lo Spazio Performatico ed Espositivo (SPE). E proprio nei giorni in cui abbiamo avuto la fortuna di visitare la Tenuta lo spazio espositivo ha ospitato due mostre molto suggestive.

La mostra personale di Agnes Questionmark dal titolo Nexaris Suite a cura di Angel Moya Garcia. Una ricerca profonda sulla società, dove auspica nuove forme di umanità biologicamente e tecnologicamente ibridata e fluida che reinventano il proprio corpo rendendolo malleabile e reversibile. Fulcro teorico dei suoi lavori è la riflessione su una nuova forma di umanità in grado di emergere da un contesto dove ambiente e specie sono in evoluzione e dove identità e morfologia dell’essere umano si apprestano a divergere dai tratti essenziali e unici che finora l’hanno caratterizzato. Il titolo della mostra fa riferimento a una stanza chirurgica ibrida e automatizzata in cui si intersecano due delle tecniche più richieste nel campo medico per la produzione di immagini di altissima qualità per una diagnosi perfetta.

La video installazione a tre canali e l’installazione ambientale presenti in mostra, rappresentano gli occhi come finestre simboliche verso il mondo, in declinazioni e prospettive diverse, e muovono una denuncia al controllo scientifico esercitato sui corpi. Un invito a leggere il presente e il futuro in bilico tra realtà, fantasia, utopia e distopia per costruire e per incubare altri mondi possibili.

 

La seconda mostra Le maniglie dell’amore di Chiara Ventura, a cura di Angel Moya Garcia, vede 110 maniglie, una per ogni femminicidio registrato in Italia nel corso dell’ultimo anno, che sono installate a parete riproducendo l’immagine di un cimitero. 110 loculi, 110 corpi silenziosi, 110 descrizioni di storie di donne senza più voce. L'artista indaga le infinite possibilità del corpo, si concentra sui margini e cerca altre modalità di vedere il mondo, costruendo contronarrazioni. Una mostra allestita in un’unica stanza con un forte impatto visivo ed emotivo. Le 110 maniglie su un’unica parete , mentre sulle altre tre dei brevi racconti di poche righe delle morti, dettagliate in poche parole, ma con una potenza che lascia davvero schiacciati dinanzi alla bestialità degli eventi narrati.

A fine di questo viaggio nei mondi delle due artiste e negli scenari da loro immaginati negli spazi espositivi dello Scompiglio, la nostra attenzione si è rivolta allo spettacolo.

Uno spettacolo di danza/teatro in cui quattro corpi si muovono nello spazio a stretto contatto con oggetti di scena che non sono altro che materiali di consumo  comune, plastiche, corde, legni, etc.

All That Remains esplora come i nostri paesaggi interiori si intrecciano con le realtà esterne, scavando negli spazi intermedi, nelle crepe, nelle ferite e lo fa mettendo in relazione i corpi con gli oggetti, con lo spazio, in una commistione di linguaggi in movimento che costruiscono non solo la performance, ma anche una nuova visione dello stare al mondo. Si combinano materiali di scarto di origine industriale, naturale e sintetici, per creare assemblaggi che generano una sospensione temporale e una disorientante mancanza di significato, aprendo a nuove potenzialità di relazione e divenire. Elisa D’Amico, Zen Jefferson, Roosa Törma ed Eliott Marmouset in scena si muovono e abitano questo ambiente fatto di lacerazioni e crepe, esplorando nuove possibilità di relazione tra loro e i materiali, accompagnati dal sound artist Fredrik Arsæus Nauckhoff . La composizione elettronica genera un ambiente ipnotico, che invita a immergersi in uno stato di sospensione e a osservare un paesaggio in continuo mutamento.

Il coreografo e regista   Mirko Guido, che abbiamo incontrato a fine spettacolo, ci racconta del suo progetto come un’evoluzione del suo percorso artistico che in qualche modo è stata influenzata dalle varie esperienze fatte viaggiando in Europa. Guido, leccese, trapiantato attualmente in Danimarca ci racconta del suo iniziale approdo nella danza contemporanea come ballerino che nel corso degli anni si è trasformato in una visione complessa di regia nella quale si sono sedimentate tutte le esperienze fatte durante le sue stazioni in vari paesi soprattutto del nord Europa. E in qualche modo questo spettacolo è sedimentato, incrostato da esperienze molteplici, come se i corpi stessi che si muovono nello spazio e che ne assorbono trascinandoli con sé, la materia degli oggetti.

Ogni scelta relativa al Progetto dello Scompiglio è valutata in relazione alla propria sostenibilità ambientale, attraverso forme di interazione e di responsabilità. E anche lo spettacolo All That Remains, accoglie l’influenza di questa attenzione alla sostenibilità non tanto come una critica alla società pervasa dalle cose che la invadono, ma in qualche modo come bisogno di integrarsi negli oggetti che ci accompagnano nel quotidiano e che spesso ci soffocano; senza però restarne necessariamente schiacciati.

 

La Tenuta è stata per secoli una fattoria autosufficiente, coltivata soprattutto a oliveti, vigneti e frutteti. Per diversi decenni è stata abbandonata e la natura ha preso il sopravvento ricoprendo la superficie di rovi e pini. L’impronta umana influenza e struttura la natura, la quale, quando è lasciata a se stessa, riacquista il proprio dominio in maniera disordinata. Una volta che l’uomo s’intromette in un ecosistema, questo non può più ritrovare la propria autonomia. Per questo l’intento del Progetto Dello Scompiglio è di ripristinare un dialogo sia con l’ambiente attuale in tutti i suoi elementi naturali, paesaggistici e architettonici, che con la sua storia, cercando forme contemporanee d’interazione e di responsabilità. Una relazione d’interdipendenza, di scambio, di simbiosi e non di sfruttamento: un’interazione fra diversi organismi. L’essere umano con il proprio organismo, fra corporeità e sensi, vissuto e aneliti, condivide con altri esseri umani l’organismo dello spazio che li nutre, li riscalda, li consola. Il dialogo e le attività con la terra, con il bosco, con la fauna, con l’elemento architettonico, le arti visive e performatiche negli spazi interni ed esterni contribuiscono a una ricerca di cultura”.

Cecilia Bertoni

 

Barbara  Chiappa

20 marzo 2025

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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