Martedì, 04 Marzo 2025
$ £

Interessante anche la seconda compagnia del Trittico pucciniano a Trieste

Recensione di ‘Il Tabarro’, ‘Suor Angelica’, ‘Gianni Schicchi’ di Puccini in scena al Verdi di Trieste  

 

Il successo ha arriso ad entrambe le compagnie del Trittico pucciano a Trieste, ma certamente i due cambi, perché di così poco si trattava, hanno offerto visioni diverse ed equilibri vocali differenti nelle due opzioni.

Lo spettacolo, in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna, si conferma di grandissima potenza narrativa. L’idea registica di Pier Francesco Maestrini è realmente coinvolgente, ad ogni visione più ricca di spunti e riferimenti.

Sicuramente rende meglio con in scena personalità magnetiche forti, ma in ogni caso non ha cedimenti, tempi morti, incertezze e, superata la sorpresa, l’osservatore può farsi incantare dall’attenzione dimostrata per ogni particolare dal team di collaboratori preziosi di Maestrini: lo scenografo Nicolas Boni, la costumista Stefania Scaraggi ed il determinante Light designer Daniele Naldi.

Il Maestro Francesco Ivan Ciampa si conferma bacchetta attenta alle voci. Qualche piccolo scivolo dell’orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi, non ha danneggiato una prova positiva su tutti e tre gli atti e particolarmente brillante nell’ultimo, così irto di difficoltà .

 Suggestivi gli interventi del Coro, guidato con competenza da Paolo Longo.

Vedendo alle voci, è necessario riesaminare gli interi cast, perché i cambi hanno prodotto situazioni vocali e narrative differenti.

‘Il Tabarro’ vedeva l’entrata in campo sia del Michele di Giuseppe Altomare che della Giorgetta di Marta Torbidoni. 

Altomare cesella un uomo sofferente, provato. Se Burdenko dava corpo ad  un personaggio forte, probabilmente violento, una specie di marito/ padrone, dalla vocalità ricca e decisa, con acuti potentissimi e movimenti imperiosi, nella seconda compagnia troviamo un barcaiolo  che la vita ha sfilato, che uccide alla fine non perché è stato tradito dalla moglie, ma perché si sente imbrogliato dalla vita, pensa che sia ora di alzare la testa dopo essersi piegato a tante ingiustizie, a tanti soprusi. Non abbiamo idea se sia una delle tantissime citazioni del regista od un caso, ma certo cogliere l’affinità fra la figura di Michele e gli autoritratti di Van Gogh toglie il fiato: entrambi reagiscono male alla propria vita, dopo che son stati strappati dal  mondo dei loro affetti, proprio come girasoli messi in un vaso.

Di grande valore la Giorgetta di Marta Torbidoni, che dimostra una grande sicurezza nel registro superiore, giustamente tagliente, ma riesce a trovare anche quella dimensione più sensuale e malinconica che, secondo noi,  era sfuggita alla signora Maslova.

Amplissima la tavolozza dei colori, sicuri gli acuti, notevoli i fiati, regala una donna che ancora non sembra essersi arresa, che spera, che crede nell’amore.

Questa caratterizzazione permette a Mikheil Sheshaberidze di dare ancora più credibilità al suo Luigi.

In effetti nella recita cui abbiamo assistito il tenore, in continua crescita ,  è ulteriormente emerso per bellezza dello strumento vocale, per potenza  e per capacità di controllo degli acuti.

Le note alte arrivavano nitide, con un suono puro, limpido, ma anche forti come sciabolate. La componente sensuale finalmente ha preso forma: Giorgetta fugge da un uomo segnato dalla sofferenza per cercare la sicurezza di un abbraccio virile baldanzoso, irruente, senza paura.

Sheshaberidze ha affrontato le tante difficoltà del ruolo con sicurezza  e grande padronanza scenica e ci ha regalato alcuni dei momenti più intensi della serata.

I cambi dei pesi vocali e dei tagli interpretativi della terna dei protagonisti ha consentito anche ad alcuni dei comprimari di mettersi maggiormente in luce.

Sicuramente è uscita con maggior vigore la prova di Fulvio Valenti , che senza la presenza vocalmente prevaricatrice di Burdenko ha potuto far apprezzare le finezze di un canto attento, con note basse dai colori caldi ed ambrati, acuti sicuri e potenti, ma soprattutto una capacità interpretativa degna del suo Maestro, il grande e troppo poco ricordato Vincenzo Sagona.

Potente Frugola è stata Chiara Mogini, che ha trovato un’intesa con la vocalità della Torbidoni che ha migliorato la resa di entrambi i personaggi ed ha permesso al mezzosoprano di mettere in risalto ancor meglio le sfumature interpretative del personaggio più delicato della vicenda.

Si confermano di spessore le rese di  Pierluigi D’Aloia e di Aziza Omarova, .

Suor Angelica’ ha visto nel ruolo della protagonista ancora Marta Torbidoni, che coraggiosamente interpreta di seguito due personaggi lontanissimi, sia dal punto di vista interpretativo che vocale.

Il soprano marchigiano supera le difficoltà musicali con correttezza, ma la sensazione è che non riesca  ad uscire  dallo stereotipo dal personaggio, a portare in scena una donna vera,  che trascini autenticamente lo spettatore dentro la sua storia.

La sensazione è di essere davanti ad una brava cantante che è piacevole ascoltare, che però deve ancora lavorare sul ruolo per riuscire ad emozionare quanto potrebbe.

Fortissima, all’opposto, la Zia Princessa di Chiara Mogini, che durante tutta la sua presenza in scena volge le spalle alla nipote, fredda e spietatamente determinata.

Il suono è imperioso, potente; gli acuti taglienti, spietati; i fiati sono sontuosi.

Il mezzosoprano riesce a costruire  una donna che fa paura e che attanaglia la platea.

Valida la prova del largo gruppo di religiose: Federica Giansanti,  convincente maestra delle novizie ;  Giovanna Lanza, severa badessa; corrette  le suore Irene Celle , Federica Sardella, Veronika Foia, Erica Zulikha Benato, Giulia Diomede; adeguate le cercatrici  Aziza Omarova ed Alessandra Gambino, le Converse Anna Ciprian e Selma Pasternak e la novizia  Tatiana Previati.

Come sempre bravi ed affidabili “I piccoli cantori della Città di Trieste” diretti dal M° Cristina Semeraro

Giuseppe Altomare offre una lettura interessante di  Gianni Schicchi’, uomo riflessivo, segnato dalla vita, mai scontato e mai caricaturale.

I colori che il baritono trova sono di grande fascino, graffiati dalla fatica e consci della conseguenza della scelta di falsificare il testamento. Una lettura intensa, resa con vocalità sicura e matura, acuti solidi e fiati sontuosi.

I nuovi equilibri sonori mettono ancor più in risalto la prova di Pierluigi d’Aloia, che brilla per bellezza vocale, luminosità degli acuti  ed eleganza interpretativa.

Apprezzata la Lauretta di Sara Cortolezzis,  che conquista la sala  per eleganza vocale ed interpretativa .

Fulvio Valenti , ha costruito un Simone sontuoso, capace di note  suggestive, acuti potenti e soprattutto di grande spessore scenico. Il passaggio dal ruolo drammatico a quello comico è convincente e dimostra il talento di un artista che meraviglia non trovi spazi più significativi nella programmazione nazionale.

Sempre affidabile  Nicolò Ceriani, cantante dalla ricca vocalità che è un peccato ascoltare in una parte così ridotta, come quella di Marco e che speriamo di sentire presto in una parte che metta realmente in risalto un talento come il suo.

La Mogini, è Zita . Aspra ed insistente, costruisce una figura femminile  dalla forte caratterizzazione, che chiude una terna veramente impegnativa che il mezzosoprano ha affrontato con bravura in tutte le recite.

Corretti e piacevoli: Erica Zulikha Benato, appropriata Ciesca;Enrico Iviglia,  Gherardo dalla voce sicura e limpida; Irene Celle,sua moglie, adeguata vocalmente e spigliata scenicamente; Ilaria Zanetti, Gherardino, divertente bambino  zombie.

Completano correttamente il cartellone: Antonino Giacobbe (Betto di Signa) ,Alessandro Busi (Spinelloccio/Ser Amantio), Giuliano Pellizon (Pinellino) e Damiano Locatelli (Guccio).

Il pubblico applaude, convintamente, tutti alla conclusione di ogni atto  ed a fine spettacolo le acclamazioni  sono molto lunghe e festose.

Certamente questo spettacolo è stato un grosso impegno per il teatro, ma ne è valsa la pena, visto il consenso unanime e convinto di tutto il pubblico.

 

Gianluca Macovez

4 marzo 2025

 

informazioni

Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, 1 marzo 2025

 

STAGIONE LIRICA E DI BALLETTO 2024-25

IL TABARRO-SUOR ANGELICA-GIANNI SCHICCHI

di Giacomo Puccini

Maestro Concertatore e Direttore FRANCESCO IVAN CIAMPA

Regia PIER FRANCESCO MAESTRINI

Scene NICÓLAS BONI

Costumi STEFANIA SCARAGGI

Light designer DANIELE NALDI

Maestro del Coro PAOLO LONGO

NUOVO ALLESTIMENTO DELLA FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE IN COPRODUZIONE CON LA FONDAZIONE TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

 

personaggi e interpreti principali

IL TABARRO

Michele     GIUSEPPE ALTOMARE 

Giorgietta MARTA TORBIDONI 

Giorgietta   OLGA MASLOVA 

Luigi  MIKHEIL SHESHABERIDZE

La Frugola   CHIARA MOGINI

Il Tinca  ENRICO IVIGLIA

Il Talpa  FULVIO VALENTI

Un venditore di canzonette/Un amante PIERLUIGI D’ALOIA

Un’amante  AZIZA OMAROVA

 

SUOR ANGELICA

Suor Angelica MARTA TORBIDONI

La badessa  GIOVANNA LANZA

La maestra delle novizie  FEDERICA GIANSANTI

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

Newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter per scoprire gli sconti sugli spettacoli teatrali riservati ai nostri lettori

Search