Recensione dello Spettacolo Il caso Jekyll al Teatro Quirino di Roma dal 21 gennaio al 2 febbraio 2025
Chi è la figura che vedi riflessa nello specchio? Ti riconosci? O capita, a volte, che una sensazione di estraniamento ti assalga, un fastidio, il dubbio che forse in quel riflesso non sia più tu bensì la tua ombra a mostrarsi; che quel lato sconosciuto, oscuro, perverso, ostinatamente represso e domato, abbia trovato uno sfogo e preso il sopravvento?
Al Teatro Quirino di Roma, dal 21 gennaio al 2 febbraio, Sergio Rubini è regista, attore e narratore de “Il Caso Jekyl”, una crime story avvincente di due ore senza interruzione, supportata da una scenografia immersiva e da un riuscito esperimento di sonorizzazione dal vivo che, con una messa in scena a metà tra verità teatrale e finzione cinematografica, contando su una regia meticolosa ed esperta e un cast di eccezionale bravura e fine sensibilità interpretativa, incontra il plauso del pubblico e della critica.
Ispirata alla famosa opera “Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde” di Stevenson, scritta nel 1886 e divenuta famosa in tutto il mondo, Rubini, con un adattamento a quattro mani al quale contribuisce Carla Cavalluzzi, fa un salto temporale in avanti di circa 30 anni, proponendo al pubblico una drammaturgia sentitamente psicanalitica. La storia ruota attorno a cinque personaggi principali: Utterson, un distinto avvocato inglese, interpretato da Geno Diana, che spesso accompagnato da suo cugino Enfield che lo informa dei misfatti che imperversano nella capitale inglese, tra i quali l’omicidio di un uomo e il suicidio di una bambina in seguito a una bestiale e crudele violenza sessuale, investiga sfidando le tenebre delle città e finanche quelle dell’animo umano. La figura paradigmatica del Dottor Jekyll, Daniele Russo, suo amico e studioso della psiche e della condotta umana, un giovane dottore dal bell’aspetto e la folta chioma, appassionato dei suoi studi, dei quali rimarrà per sempre vittima. Il maestro Lanyon, Sergio Rubini, dal quale Jekyll prende le distanze, tornando infine da lui per svelare la più cruda delle verità, condannandolo a morte.
Ora attore ora volto e voce narrante, Rubini entra ed esce dalla scena con totale disinvoltura e credibilità, aggiungendo allo spettacolo coerenza ed eleganza. La stessa di Alessia Santalucia, che veste i panni della moglie di Jekyll e porta in grembo un figlio che non vedrà mai la luce. È in lei che è custodito un mistero che Rubini svelerà solamente alla fine, esasperando il testo originale e trovando un escamotage per mantenere alta la suspence nel pubblico, che raggiunge il climax in un finale inaspettato. Infine, la figura di Hyde, dalla testa calva, malvagio e ripugnante, perfettamente rappresentato dal genio di Russo che sembra sdoppiarsi dando realmente corpo e anima a due diversi personaggi. In un duplice ruolo e in una doppia veste, Russo è al tempo stesso delicato, intenso e portentoso, struggente nell’emanazione della violenza e della prevaricazione incontrollata e inconscia degli istinti animaleschi che lo allontanano dalla figura gentile e tormentata di Jekyll. Mantenendo dell’originale il canovaccio, l’intrigo che scuote le maglie più puritane dell’epoca vittoriana, la scandalosa verità, finalmente svelata, sulla duplicità che permea l’essere umano, e che, oltre ogni controllo razionale, lo caratterizza fino a mostrarne l’aspetto bestiale e osceno, Rubini si allontana da tutte le allegorie, i refrain fantastici e gotici della narrazione originale per abbracciare gli studi scientifici e le ricerche della emergente psicanalisi sul funzionamento della mente e del comportamento dell’uomo, al cospetto di Freud e, ancora di più, dell’approccio junghiano, che invita ad avere un dialogo costante con il proprio inconscio per non esserne sopraffatti. Lo annuncia e lo dichiara lo stesso Rubini, a inizio spettacolo, in piedi di fronte alla platea con il sipario ancora chiuso alle spalle e un testo antico tra le mani, che sarà il filo conduttore di tutta l’opera. Il manoscritto, elemento di scena ricorrente, servirà a illustrare e sottolineare allo spettatore i passaggi più salienti dell’intreccio narrativo, fino a chiamarlo in causa, per partecipare al processo, per offrire una sentenza definitiva in qualità di giudice e testimone di un macabro omicidio che ha coinvolto un rispettabile farmacista, Danvers Carew, e dei violenti atti e soprusi perpetrati in città, tutti macchiati dal sangue di un unico mostro, che una cameriera affacciata alla finestra ha riconosciuto in Hyde: condanna o assoluzione?
Lo spettacolo ha inizio sui versi letti dalla voce narrante di Rubini in scena : “Una sera alle 10, era sceso un silenzio totale”. Immediatamente e improvvisamente, il pubblico in sala viene trasportato nella gelida e nebulosa atmosfera della Londra del diciannovesimo secolo. La scenografia con alte impalcature in vetro, versatile e cangiante, le luci e le sonorità, accompagnano perfettamente ogni scena inserendo lo spettatore di volta in volta in un contesto diverso. La platea si ritrova, così, ora con Utterson ed Enfield in una piazza illuminata da un lampione che disperde la fioca luce nella fuliggine della sera, ora in una buia taverna in un angolo della periferia londinese, o tra le melmose stradine di Soho dove Hyde affitta un lugubre rifugio. Lo spettatore si ritrova nelle varie stanze della sontuosa casa del Dottor Jekyll, dall’ingresso alla sala da pranzo allo studio e finanche alla sala da letto, ora invece vi accede dalla porta di servizio, dove, insieme con Utterson, si imbatte inaspettatamente nelle vesti di Hyde, subendo lo stesso stupore e lo stesso terrore che atterrisce l’avvocato. Uno spettacolo imperdibile, un thriller sensazionale, un giallo intrigante, un gioco di investigazione irrisolvibile. Svanendo dietro l’immenso drappo rosso, che lentamente si chiude, Rubini insinua il sospetto che il giudizio sia rivolto in fin dei conti verso ognuno di noi, chiamato a condannare sé stesso o ad assolversi, a riconoscere e accettare la propria ombra come emanazione della luce.
Francesca Sposaro
4 febbraio 2025
informazioni
Fondazione Teatro Di Napoli – Teatro Bellini Marche Teatro
Teatro Stabile di Bolzano SERGIO RUBINI DANIELE RUSSO
tratto da Robert Louis Stevenson adattamento Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini e con
Geno Diana, Roberto Salemi, Angelo Zampieri, Alessia Santalucia
scene Gregorio Botta scenografa Lucia Imperato costumi Chiara Aversano disegno luci Salvatore Palladino progetto sonoro Alessio Foglia foto di scena Flavia Tartaglia regia SERGIO RUBINI