Recensione dello spettacolo “L’estinzione della razza umana” in scena al teatro Spazio Diamante di Roma dal 23 al 26 gennaio 2025
È una black comedy ben orchestrata quella che è stata presentata al Teatro Spazio Diamante di Roma da cinque giovani artisti italiani: Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia e Riccardo Vicardi hanno fatto fare al pubblico un salto indietro di quattro anni ai tempi del primo periodo del Covid. Rispetto alla realtà, nello spettacolo c’è una piccola differenza: il virus di cui si racconta in L’estinzione della razza umana trasforma gli uomini in tacchini. Eppure, le reazioni dei vari personaggi di fronte a quest’emergenza sono proprio le stesse già note: opinioni egoistiche che si alternano e contrappongono al voler esibire un ritrovato senso di responsabilità verso la collettività. Un vortice di contraddizioni e contrapposizioni in cui i cinque personaggi sono coinvolti e che li porta in modo naturale a formare due schieramenti. E nel mezzo c’è il pubblico, che non riesce a parteggiare né con gli uni né con gli altri: pur rivivendo quelle stesse sensazioni, emozioni e pensieri, risulta ancora difficile decidere a chi dare ragione e a chi torto, se al personaggio di Marco che vuole impedire ad Andrea di uscire a contagiarsi in nome del bene della collettività o allo stesso Andrea che chiede solo di poter prendere una boccata d’aria.
In questo testo emerge fin da subito la volontà di creare un saggio equilibrio tra quelle azioni e reazioni che si sono realmente provate durante la quarantena: Emanuele Aldrovandi, sceneggiatore e regista, è stato sagace nel distribuire un egual carisma a entrambe le fazioni che si formano sul palco. Onde evitare una facile e più che ovvia polarizzazione delle opinioni degli spettatori in sala, Aldrovandi manovra i cinque attori in modo che si tengano testa in ogni discussione, così che non si sappia effettivamente da che parte stare. Ciò è possibile anche e soprattutto grazie al talento di questi giovani attori: carismatici, preparati e maturi, riescono a far divertire il pubblico in sala, a suscitare scontento e rabbia e a riportare a galla quell’emotività ormai sopita da quattro anni. Con battute serrate, scorrette e affilate rivivere quei momenti è stato forse più facile: si riesce a metabolizzarli in modo quasi catartico attraverso l’uso di un linguaggio tragicomico che rende lo spettacolo amaramente grottesco. Particolarmente simbolica e funzionale anche la scenografia curata da Francesco Fassone che ha rappresentato l’androne del palazzo proprio come una gabbia in cui convivono, si muovono e scalpitano i cinque protagonisti, anelando a una libertà che è probabilmente solo immaginata.
Diana Della Mura
26 gennaio 2025