Mercoledì, 05 Febbraio 2025
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Stefano Fresi in DIOGGENE - al Teatro Ambra Jovinelli: la libertà di dire tutto ciò che si desidera

Recensione dello Spettacolo Dioggene al Teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 27 novembre all’ 08 dicembre 2024 

Dioggene, volutamente scritto con la g rafforzata del dialetto romano, è lo spettacolo di esordio in teatro di Giacomo Battiato, regista e sceneggiatore classe ’43 e una carriera televisiva e cinematografica pluripremiata.  Uno spettacolo che, nelle parole dell’autore, è allo stesso tempo epico e grottesco, dolce e feroce. Partendo  dal 1200 per arrivare ai nostri giorni, tre quadri che attraversano epoche e atmosfere diverse, Battiato  evidenzia come ogni tempo storico in fin dei conti si ripeta e le tematiche, ricorrenti e sempre uguali, assumano inevitabilmente un carattere tristemente attuale: la stupidità umana; la violenza, declinata in ogni  sua forma, dal conflitto genitore-figlio, alla violenza di genere, alla penosa e straziante brutalità della guerra; e, infine, il bisogno disperato e incessante di bellezza e amore (dal latino a-mors: senza morte), unica vera  possibilità di riscatto e accesso privilegiato e diretto a un livello di esplorazione e maturazione dell’io, per ritrovare un senso della coscienza, personale e sociale, morale ed etica. In scena sul palcoscenico dell’Ambra  Jovinelli, dal 27 novembre e fino all’8 dicembre e poi ancora in tournee in altre città italiane, Dioggene è, in  fine dei conti, una storia d’amore. Scritto e recitato in italiano del ‘200 nel primo atto e narrato nel terzo  quadro in romanesco, antico e moderno si mescolano per portare, oltre ogni bruttura e meschinità che la  vita presenta, un messaggio di speranza. Di questo messaggio si fa portavoce Stefano Fresi, volto noto e  amato del piccolo e del grande schermo, a cui Giacomo Battiato dedica e affida la sua opera, protagonista  assoluto di un monologo di novanta minuti, senza intervalli ad eccezione di una breve pausa per il cambio  scena. Nei panni di Nemesio Rea, il personaggio attorno al quale ruota tutta la messa in scena, Fresi si  confronta con un testo complesso, scritto in tre registri e lingue diversi e pregno di concetti e rimandi; una  prova di memoria e di coraggio, una sfida che accoglie con grinta e un’indiscutibile bravura e professionalità e che restituisce al pubblico con commovente generosità e passione. Calato il sipario, accompagnato in ogni  atto da una scenografia essenziale, capace di identificare in maniera chiara ognuno dei distinti momenti  descritti nei tre quadri, Fresi appare come un vero e proprio mattatore: dal primo atto, Historia de Oddi 

bifolco, passando per il secondo quadro, L’attore e il buon Dio, e per finire all’ultimo, Er cane de Via der Fosso  D’a Maijana, sul palcoscenico sembrano avvicendarsi non uno bensì molteplici attori. La sua interpretazione  è talmente vivida e la sua energia talmente potente che la sensazione è la stessa che si prova di fronte a un grande schermo di una sala cinematografica, con stimoli visivi e acustici in grado di generare un’esperienza  immersiva. Una commedia (perché l’auspicio del regista è nel lieto fine) a più capitoli, che corrispondono agli  stadi della vita di Nemesio, in una parabola che mostra al pubblico gli aspetti più infimi e quelli più illuminati  dell’animo umano. Nel primo capitolo il regista propone un interessante espediente di metateatro: un  giovane Nemesio Rea recita in uno spettacolo e indossa i panni del protagonista, un bifolco di nome Oddi,  contadino di umili origini, abbandonato da un padre vile e assente, con il quale avrà per sempre un rapporto  conflittuale, fino ad ucciderlo. Il pretesto è la battaglia di Montaperti tra Senesi e Fiorentini, che Oddi combatterà, quasi a sua insaputa, divenendo al tempo stesso vittima e carnefice. Accanto a Fresi (Nemesio/Oddi), scalzo e vestito di stracci, soltanto un enorme spaventapasseri; eppure, la guerra, quella  interiore di Oddi contro il padre, e quella di giovani guelfi e ghibellini morti in battaglia, sembra prendere vita  davanti agli astanti, così come l’odio di Oddi verso il padre, talmente palpabile che il coltello che maneggia  per ucciderlo pare infilarsi nella carne viva, per quanto invisibile. Chiuso e riaperto il sipario, nel secondo  episodio il pubblico ritrova Nemesio all’interno del suo camerino, dove si svolgerà l’intera scena, pronto per  interpretare il ruolo del protagonista ne “Il Diavolo e il Buon Dio” di Sartre. Attore ormai acclamato e nel  pieno della maturità attoriale, ogni sua certezza viene, tuttavia, scardinata via pochi minuti prima dell’inizio  del suo importantissimo spettacolo, dalle parole taglienti della moglie Isabella, che in preda a una crisi e  ormai certa di voler mettere fine al loro matrimonio, irrompe nel camerino,stravolgendo per sempre i destini  di entrambi. In un’escalation di accuse e recriminazioni, Isabella interromperà il loro sposalizio, definendo  Nemesio un “fasullo alessitimico di tipo due”. Interpretati entrambi da Fresi, che modula di volta in volta l’inflessione linguistica e la vocalità, per diventare prima Nemesio e poi Isabella, ora uomo, ora donna, ora 

romano ora toscano, in un’incalzante botta e riposta dal sorriso amaro, tra l’ironico e il cinico, la scena non  lascia nulla di inedito e ogni coppia può riconoscersi e immedesimarsi, finanche prendere spunto. Ormai  cristallizzato sulle sue convinzioni, Nemesio, descritto come un uomo narcisista ed egocentrico, incapace di  riconoscere le violenze perpetrate nei confronti della moglie, non può più mentire a sé stesso ed è costretto  a porsi la più difficile delle domande: “dentro quel personaggio c’è il migliore attore di tutti; ma dentro  l’attore, chi c’è?”. Privo di risposte, Nemesio crolla. L’ultimo episodio, probabilmente il più ridondante e  meno convincente dei tre, è il momento catartico, la presa di coscienza. Il pubblico ritrova Nemesio all’interno di un enorme bidone della spazzatura, verde e con un graffito di un cane dagli occhiali scuri disegnato. Uscendo dalla pattumiera, con una lampadina tra le mani, sporco e con i piedi scalzi, Nemesio, 

spogliato di ogni stortura, di ogni ricchezza fittizia, di ogni convinzione e libero dalle convenzioni sociali, persino dell’italiano forbito che sostituisce con il dialetto romanesco, più colloquiale e schietto, torna alle sue  origini più autentiche e ritrova, nella semplicità, nella ricerca della verità, il senso più profondo di sé,  addirittura la felicità. Con un escamotage da ritorno al futuro, Giacomo Battiato richiama, infine, alla  memoria del pubblico in sala la storia di Diogene di Sinope, figlio di un banchiere, vissuto nel 412 a.C. e  passato alla storia come il filosofo cinico per eccellenza. Spogliato di ogni bene materiale, visse l’intera  esistenza in una botte, scegliendo una vita semplice. Caustico e provocatorio, oltraggioso e  anticonvenzionale, Diogene urlava ai passanti la sua verità e, con una lanterna in mano, era alla costante  ricerca del vero e dell’uomo. (“Dimmi tutto quello che desideri”, chiese Alessandro Magno. “Lasciami il sole”,  rispose caustico Diogene). Che cosa penseresti, oggi, se, passeggiando tra le strade della tua città, ti  imbattessi nelle urla abbaiate da un uomo trasandato e con i piedi scalzi? Riconosceresti nel coraggio delle  sue parole la voce illuminata di un filosofo o, accelerando il passo, compatiresti la follia di un pover’uomo  preso a pugni dalla vita? Forse questo è il peso della libertà, d’esser presi per folli. E forse, proprio per questo,  Battiato ha scelto il palcoscenico del teatro, ha preso in prestito la voce e il corpo di Stefano Fresi e ha attinto alla storia di Diogene: per urlare liberamente, raggiunta l’età della saggezza, tutto ciò che desidera, senza  esser creduto un pazzo; per risvegliare gli animi intorpiditi, per redarguire il pubblico in sala, che è la sua  piazza, tutte le storture della vita e della stessa raccontare e ricordare le bellezze, la necessità di tornare ad  amare e di ritrovare un senso del bello e del vero, del giusto. Giacomo Battiato, Stefano Fresi, Nemesio Rea  e Oddi sono in fin dei conti la stessa persona e sono ognuna delle persone in sala, sedute ad assistere lo  spettacolo. In conclusione, volendo usare le parole di Fresi: “dentro ogni persona ci sono aspetti di Nemesio: nella parte della giovinezza, nella parte della centralità della sua vita e nella parte della risoluzione finale.  Siamo tutti un bel puzzle di tessere fresche, di tessere acerbe e di tessere marce. Bisognerebbe tagliare il  tassello marcio, alimentare quello acerbo e mantenere quello maturo.” 

 

Francesca Sposaro  

17 dicembre 2024

 

informazioni

STEFANO FRESI in 

DIOGGENE 

Scritto e diretto da Giacomo Battiato 

Musiche Germano Mazzocchetti 

Costumi Valentina Monticelli 

Scultore Oscar Aciar 

Luci Marco Palmieri 

Decoratore Bartolomeo Gobbo 

Produzione Teatro Stabile d’Abruzzo, Stefano Francioni Produzioni, Argot Produzioni

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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