Venerdì, 22 Novembre 2024
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Catania Off Fringe Festival, festa del teatro, delle arti performative e dell’arte contemporanea

Il nostro report sul terzo Catania Off Fringe Festival, dal 17 al 27 ottobre 2024 

 

Per il terzo anno Catania accoglie l’ Off Fringe Festival, un proseguo a pochissimi giorni dal termine  dell’edizione di Milano, che ci pare come una sorta di nastro immaginario e sospeso che collega i due capi estremi della nostra penisola. La colonizzazione attraverso il teatro e le arti performative del nostro stivale ci piace e ci pare la forma di occupazione più sana che in questi tempi si possa immaginare. Il tema di quest’ anno per entrambe le città che hanno accolto la manifestazione è “Il viaggio” e se nella tentacolare Milano il viaggio è una scoperta attraverso una città dalle lunghe distanze, Catania permette grazie alle sue dimensioni più ridotte una scoperta  dal passo più corto, ma non meno accattivante. Arriviamo a Catania nei giorni della grande alluvione, eppure nonostante i detriti che scorrono sulle vie della strada e si depositano in angoli inaspettati, Catania non perde il suo tepore, il tremolio sotto il terreno che la tiene sempre allerta, la voglia di sperimentare nei suoi luoghi “nascosti” nuove energie performative; quest’anno ci è parso sempre più internazionali, grazie alla piega sempre più “wordwilde” che il festival sta prendendo.  Un piccolo resoconto degli spettacoli che abbiamo visto , alcuni dei quali davvero di grande qualità. 

“Boxer”

Avevamo appuntato sul nostro taccuino degli imperdibili questo spettacolo già nella edizione del Fringe milanese, poi per una serie di incastri impossibili non ci è stato possibile vederlo a Milano. A Catania, appena giunta l’occasione, non ce lo siamo lasciato sfuggire. Uno spettacolo “fatto e finito” davvero ben concepito, che ha bisogno solo di piccolissime puliture, forse eliminare qualche eccesso, alcune ridondanze, per il resto ci sembra pronto per i teatri più blasonati e ci auguriamo che questo accada. Il protagonista in scena, Stefano Pietro Detassis, si ispira alla storia di Eugenio Lorenzoni partito da Cles intorno agli anni ’20 per lavorare come operaio in Francia. Lì Eugenio scopre la boxe tanto da arrivare a un passo dallo sfidare il campione del mondo. Settanta minuti di monologo ben congeniato che non stanca e adotta una serie di piccole soluzioni teatrali, grazie alla regia di Maura Pettorusso, che vivacizzano il movimento scenico.  

Detassis davvero bravo, si muove tra l’intimità profonda di raggiungere un sogno di rivalsa sociale di un uomo semplice che si sposta in Francia per cercare lavoro e il sogno inaspettato di diventare in pochissimo tempo un acclamato campione. Ci è piaciuto davvero questo intreccio di tensioni tra il “sogno” e il “riscatto sociale”, apparentemente simili, eppure con intenti diametralmente opposti. Emergono chiare le intenzioni e quando questo è evidente in scena, la riuscita è quasi sempre positiva. Una ultima nota di merito per la scelta della colonna sonora che decora ancora di più lo spettacolo di spunti colti e ricercati. 

 

“The sensemaker”

Chi vi scrive viene accolto prima della visione dello spettacolo all’interno di uno spazio polivalente meraviglioso, “Palazzo Scammacca del Murgo”, ristrutturato di recente che varrebbe  anche solo quello la serata. La sala adibita a spazio per la fruizione di spettacoli (ci raccontano soprattutto di musica jazz) prevede un piccolo palco, sul quale per poco più di un’ora assistiamo a una performance perfetta.  Non a caso “The Sensemaker” è stato rappresentato più di cento volte in tutto il mondo, in sei lingue diverse, e ha vinto quattordici premi internazionali.  A nostro parere, tutti più che meritati. Immaginate la protagonista, Elsa Couvreur, anche regista dello spettacolo, che non è altro che “una di noi” costretta al telefono e messa costantemente in attesa da una voce meccanica e ripetitiva che le continua a dire che “la tua richiesta è in fase di elaborazione”. Ci accadrà spessissimo e accade anche in scena in uno spettacolo geniale che racconta proprio questo tempo di attesa. Le richieste della voce si fanno sempre più estreme, fino a superare ogni limite. Geniale, carico di umorismo, tagliente, sovversivo, eppure così normale, questo spettacolo non a caso definito  nel suo genere “inclassificabile”, ci stupisce e sorprende come è accaduto a  tutte le critiche internazionali. “È uno spettacolo di danza in cui la protagonista trascorre gran parte del tempo ferma e allo stesso tempo è un pezzo di mimo che può diventare davvero molto rumoroso. È sia un sogno che un incub”, scrive  The Peg Review; nessuna definizione ci sembra più corretta per questa performance. Le poche chiacchiere che scambiamo con l’attrice a fine spettacolo, ragazza semplice ed estremamente preparata,  confermano l’idea che ci siamo fatti di questa rappresentazione e che a nostro parere dovrebbe muovere tutti gli artisti che decidono di presentarsi ai Fringe; ossia che  una performance per funzionare non ha davvero bisogno di inutili orpelli.  

 

 

“ImpostorA”

ImpostorA, messo in scena dalla compagnia TeatRing di Marianna Esposito che ne ha curato anche la regia, è un monologo di teatro fisico dove è molto rilevante il lavoro su corpo, oggetti e immagini. Sulla scena l’attrice Francesca Ricci vestita quasi tutto il tempo da un abito da sposa che durante lo spettacolo si trasforma in molteplici cose; contenitore, orpello, artificio, essenza. Già questa ci sembra una buona idea. Lo spettacolo è poi una commedia tragica sulla paura di essere felici, su come nei momenti di avvicinamento alla gioia più pura, c’è sempre un’assordante altro noi che ci traina dalla parte opposta e che spesso inizia a dominare la scena a nostra stessa insaputa.  Anche questa ci è parsa una buona idea. Insomma tutto torna, se non fosse,  a nostro parere, un accento spesso troppo spiccato alla competitività dovuta a una società che richiede sempre una prestazione estrema. Altro tema questo, che però avremmo tenuto un passo dietro al concetto di “io sabotatore” che isolato e trattato con una certa introspezione poteva essere davvero vincente. Francesca Ricci ci pare capace, seppure a volte troppo presa dal risolvere delle piccole difficoltà tecniche dovute all’abito ingombrante, agli oggetti di scena e alle soluzioni registiche, che forse avremmo snellito un po’. 

 

“Conosco l’amore per sentito dire”

Altro luogo interessante nel centro storico di Catania è la Sala Hernandez, un posto destinato a discipline olistiche, messo a disposizione del Fringe con uno spazio centrale che funge da palco, grande e che si predispone bene ad accogliere questo spettacolo. Diretto da Rita Gianini con protagonista Francesca Romana Miceli Picardi, è un testo molto intenso che invita a riflettere sulle debolezze dell’animo umano. La storia è quella di una donna poco amata e poco desiderata  in infanzia, che perdura il su processo di non accettazione attraverso il proprio corpo, incorrendo in periodi di anoressia, bulimia e dismorfismo. Il corpo è ovviamente al centro della scena con tutte le sue storture, già dal primo quadro appare vestito in abiti divelti e sciatti, con un trucco colato sul viso e chino su una tavoletta del water che diventa centrale in tutta la messa in scena, quasi da trasformarsi in un secondo protagonista. Tanti oggetti di scena a punteggiare un racconto intenso di testo, spesso davvero tanto, che seppure trova degli appigli a volte comici, è comunque sostanzialmente tragico. Una carrellata di parole, gettate sugli spettatori, con la stessa forza dirompente della compulsione della protagonista che chiusa nel bagno vomita assiduamente tutto il suo dolore. Il racconto passa dall’infanzia, fino ad un’ adultità che prevede un unico processo persistente: la mancanza totale di aver ricevuto amore e la fame atavica e aggressiva di andarselo a prenderlo dove capita. Se l’intento era dare uno scossone al pubblico su questa tematica, sempre contemporanea, allora lo spettacolo lo fa e ci riesce bene. Quello che però ci è mancato, al di là dell’intento, è il “prendere fiato” che lo spettatore deve necessariamente attivare. Il tempo dell’attesa che permette di riflettere, la stasi che nutre chi guarda. Insomma è come se l’impellenza del racconto fosse talmente urgente da non considerare la messa in scena teatrale e tutti i suoi tempi e canoni. Francesca Romana Miceli Picardi dà una bella prova di attrice, seppure avremmo preferito che desse un po’ più spazio ai suoi tempi comici che ci sembrano innati. 

 

 

 

 

“Dido”

Completamente un'altra atmosfera per lo spettacolo “Dido”  di Christopher Marlowe, realizzato dal coreografo e performer di Istanbul, Korhan Basaran, riscrittura contemporanea ispirata all'Eneide. La messa in scena nello spazio Zô Centro Culture Contemporanee, è un numero di forte impatto.  La rappresentazione esplora il mito di Didone, la regina cartaginese tradita dal suo amante Enea, attraverso una performance che intreccia danza, teatro, musica e proiezioni video. Veniamo accolti in scena dall’attore che prima dello spettacolo ci invita a piegare dei fogli di carta a mo’ di barchette e a riporli in un angolo della scena; da quest’incipit fresco e semplice parte subito dopo uno spettacolo di arte visuale davvero ben riuscito. La regia e interpretazione di Basaran, accompagnata dalle musiche originali di Tolga Yayalar e dalle proiezioni curate da Ataman Girisken, si integrano intensamente frutto di uno studio estremo sia sulle azioni corporee, sia su come queste possano innestarsi con totale sinergia dentro la messa in scena. Lo spettacolo invita il pubblico a immergersi nella mente di Didone, mostrando come il suo desiderio e la sua lealtà la conducano alla distruzione emotiva. Uno spettacolo multisensoriale, che fonde le forme artistiche e ci introduce all’interno del mondo di Didone non è solo una storia di amore e tradimento, ma una fusione di forme artistiche. Le proiezioni immersive e la colonna sonora originale completano un'esperienza che stimola tutti i sensi, conducendo gli spettatori in un viaggio introspettivo nelle emozioni più profonde di Didone della leggendaria regina. Il tormento in questa messa in scena c’è tutto, la musica e il corpo seguono la straziante vicenda della donna mantenendo sempre però un controllo epico, che è poi il vero senso delle scelta della donna, il perseguire la fedeltà come scelta razionale e sentita, dinanzi all’incarnarsi di ipotetiche nuove passioni. Basaran è un performer fantastico, con una padronanza dei movimenti invidiabile, lo spettacolo funziona e ci piace moltissimo!

Lasciamo il nostro report su Catania Off Fringe Festival con una certa malinconia, regalandovi un piccolo racconto “semiprivato” e un’ ulteriore nota di merito agli organizzatori di questa manifestazione, Francesca Vitale e Renato Lombardo in primis e ovviamente all’organizzazione tutta. Le serate dei Fringe spesso si allungano fino a tarda notte per accogliere concerti e spettacoli nello spazio “Village off”, a cui vengono invitati non solo gli astanti, ma ovviamente tutti gli attori che anno partecipato alle esibizioni. Abbiamo avuto la fortuna di essere presenti al concerto di “Francois e le coccinelle” storico gruppo rock comico catanese che ha intrattenuto e coinvolto con uno spettacolo scoppiettante. Ebbene, la sensazione che abbiamo avuto è che davvero ci fosse una volontà di accoglienza e inclusione dei partecipanti al Fringe, non scontata, ma partecipata. Un intento di fare  comunità fra giovani artisti internazionali, un “momento di condivisione fondato sull’aggregazione e l’empatia sociale” così come recita forte uno degli precetti del Fringe.  

 

 

Barbara Chiappa

27 ottobre 2024

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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